Giorno 112 – Attraversando quell’Europa che parla russo

5 ottobre 2018, Narva-Daugavpils (km. 559 – tot. 32.181)

Qualche decina di minuti in più a rotolarsi nel letto visto che non c’è più la preoccupazione del visto o delle assicurazioni in scadenza. Il risveglio nell’Unione Europea ha qualcosa di positivo oltre alla davvero buona colazione dell’Hotel Inger. La prima missione della mattina è andare lungo le sponde del fiume Narva che dà il nome alla città e la divide dalla parte orientale chiamata Ivangorod e facente parte della Russia. Sono poco più di cento i metri che distanziano le due parti del fiume e nei pressi del ponte stradale che abbiamo attraversato ieri sera sorgono due castelli contrapposti dove sventolano le due bandiere nazionali. L’Estonia, in base al Trattato di Tartu stipulato nel 1920, rivendica anche il possesso di Ivangorod. La Russia non riconosce queste rivendicazioni e allo stesso tempo sottolinea come oltre l’80% degli abitanti di Narva siano di etnia russa e discriminati dalle normative estoni. Una grande parte di russi residenti in Estonia non ha diritto ad avere il passaporto estone. Di conseguenza una parte di questi ha il passaporto russo e gli altri sono apolidi. L’Estonia non riconosce la propria cittadinanza ai russi arrivati in questa terra dopo il 1940, anno che gli estoni ritengono l’inizio dell’occupazione sovietica della propria nazione. Ad oggi questo problema non è stato risolto e sul tema della tutela dei russi-apolidi sono intervenute anche le istituzioni europee. Questi cittadini votano solo alle elezioni amministrative e sono esclusi dalla vita politica nazionale. Oltre alla frontiera internazionale che abbiamo attraversato nelle ultime ore, ne esiste una pedonale riservata a coloro che si spostano frequentemente tra Narva ed Ivangorod. Molte famiglie furono divise da quello che fino al 1991 era un confine interno all’Unione Sovietica, paragonabile a quello tra due regioni italiane. Oggi non solo il fiume divide due nazioni, ma anche l’Unione Europea da quella Euroasiatica. Un muro burocratico di immense proporzioni.
Nonostante le normative europee prevedano il roaming telefonico tra tutti gli stati membri, non riusciamo ad acquistare una scheda estone che funzioni anche nel resto d’Europa. Alla fine riusciamo a risolvere il problema con un aiuto dall’Italia e la riattivazione della sim card che usavamo fino a quattro mesi fa. Ultimo atto in quel di Narva è la visita alla colonnina di metano completamente automatica e a self service. Peccato che il prezzo sia quattro volte superiore a quello del metano russo. Sotto una pioggia continua ripartiamo verso l’Italia con un pausa pranzo a Tartu, celebre per il trattato di cui abbiamo scritto poche righe prima. Le strade, nonostante siano viscide per la pioggia, sono ottime. Nel primo pomeriggio, dopo aver costeggiato a lungo il lago dei Ciudi che fa da confine con la Russia ed è il quinto per grandezza in Europa, raggiungiamo un altra stranezza geografica, ovvero la cittadina di Valga (in estone) – Valka (in lettone). Questo paese è diviso dalla linea di confine. Fortunatamente i buoni rapporti tra Lettonia ed Estonia, oltre all’abolizione delle dogane europee e alla moneta unica, rendono oggi meno problematica la vita in questo luogo tranne che per il problema linguistico delle due comunità. Paradossalmente l’unica lingua di mediazione per tutti comprensibile è il russo, ovvero quella di coloro che sono considerati gli occupanti di questo territorio per settanta anni. Lasciate le stranezze di Valga-Valka, riprendiamo il cammino tra foreste di betulle e laghi. La qualità dell’asfalto è peggiore di quello estone, ma il bello arriva dopo una quarantina di chilometri, quando il fondo stradale diventa in terra battuta. Questo tipo di pavimentazione in presenza di pioggia diventa davvero pessimo. La nostra Toyota Hilux cambia colore e il rosso della terra copre completamente l’argento della carrozzeria. Fortunatamente questo piccolo inferno si conclude dopo circa cinquanta chilometri. La strada non asfaltata si chiamava P-38, esattamente come la pistola che molti vorrebbero usare contro il ministero dei trasporti lettoni in queste circostanze. L’ultimo centinaio di chilometri ci porta a Daugapils, capoluogo della Letgallia, che come abbiamo raccontato nel viaggio di andata è un’altra zona dei Paesi Baltici dove la popolazione è russofona. La conferma di quale idioma sia parlato arriva sia nel prendere una camera nell’alberghetto centrale chiamato Biplan e pure nell’ordinare cibo al ristorante Gubernators, dove ceniamo per la quarta o quinta volta durante i nostri viaggi. I russi di Lettonia godono di pieni diritti politici ed eleggono regolarmente un discreto numero di parlamentari, ma sono impegnati fortemente nel rivendicare l’uso del russo come lingua ufficiale almeno nelle regioni a maggioranza di popolazione russa.
In questo clima si inseriscono i contingenti Nato qui inviati per dissuadere la Russia a fare pressione militare verso questi territori. In sincerità non avvertiamo alcun pericolo di questo genere, almeno muovendoci e parlando con chi vive in questa terra.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale