Giorni 81-100 – Fuga in Kazakistan e attesa del parto

4-23 settembre 2018, Kazan e dintorni – Uralsk e dintorni (km. 907, totale 29.131)

Il diario della Torino-Pechino si era interrotto in occasione della lunga sosta a Kazan in attesa che il viaggio verso la paternità di Guido si compisse. Il percorso che ha portato alla nascita di Alisa Guidovna Guerrini è stato decisamente complesso e merita un diario speciale dedicato al lieto evento e al perché il capo-spedizione della Torino-Pechino sia adesso in Kazakistan lontano dalla propria famiglia. Andiamo per ordine. La Torino-Pechino era stata programmata senza tenere conto di una possibile maternità che riguardasse uno dei membri della spedizione. Alla notizia che Guido sarebbe diventato padre, il viaggio ha subito delle modifiche per permettere al capo-spedizione di poter essere a Kazan in compagnia della moglie con tre settimane di anticipo sul tempo previsto per il parto e con un margine di tempo successivo a vivere con la propria famiglia i primi giorni di vita della figlia. Il problema occorso alla dogana russo-cinese ha creato un corto circuito al programma di viaggio che è stato rimodulato con una modifica del percorso e del calendario. Ciò ha portato due conseguenze: la perdita di sette giorni di visto russo di Guido, consumati nel tentativo di riprendere il programma di viaggio dal Kirghizistan, e l’arrivo a Kazan in ritardo rispetto al primo programma. Questo secondo inconveniente non ha generato alcun problema: lo avrebbe generato solo in caso di parto anticipato. Il primo problema è stata la fonte dei fatti che andremo a descrivere nelle prossime righe.

Giorno 81 – 4 settembre 2018

Il primo della lunga serie di giorni di attesa a Kazan. Da questo giorno il diario di viaggio si è fermato. Alessandra e Giulia si sono spostate a Mosca per poi tornare in Italia il giorno successivo. Viene utilizzato lo spazio delle pagine social per ringraziare tutti gli sponsor del viaggio.

Giorno 96 – 19 settembre 2018

Il giorno in cui termina il tempo della gravidanza di Olga coincide con l’inizio di serie preoccupazioni di non riuscire a vedere la nascita della bambina da parte di Guido. Il visto della durata complessiva di 90 giorni, senza ulteriori uscite dalla Russia terminerebbe il 29 settembre. Considerato che la Torino-Pechino dovrebbe partecipare ad un importante evento a San Pietroburgo nei primi giorni di ottobre, questo costringerebbe ad uscire dalla Russia il 28 settembre via Lettonia per rientrare il giorno stesso dell’evento dalla frontiera estone distante da San Pietroburgo appena 160 chilometri. A questo aggiungiamo che da Kazan, per arrivare al confine lettone, occorrono circa due giorni. Di fatto Guido dovrebbe lasciare la città il 26 settembre e il rischio di non assistere al parto o di non vedere la bambina è elevato.

Giorno 97 – 20 settembre 2018

Nessun segnale che possa fare pensare ad un parto nelle prossime ore. Le procedure legate alla nascita dei bambini in Russia non prevedono la presenza del padre accanto al letto della madre. Allo stesso tempo nei tre giorni successivi alla nascita è di fatto impedito qualsiasi contatto con l’esterno da parte di mamma e nascitura. La possibilità di non vedere la bambina diventa certezza. L’ultima possibilità è che la nascita avvenga nel giorno successivo.

Giorno 98 – 21 settembre 2018

Diventa necessario prevedere un piano B che permetta a Guido di vedere la bambina, ma con il rischio di non poter accompagnare Olga in ospedale il giorno dell’inizio del travaglio. Vengono valutate due opzioni possibili: raggiungere la città di Uralsk in Kazakistan, ovvero la frontiera più vicina a Kazan, e aspettare la nascita della bambina risparmiando giorni di visto, oppure volare dall’aeroporto internazionale di Kazan. L’opzione aerea viene approfondita con diversi preventivi con biglietti con data aperta nel giorno del ritorno. Eliminate tutte le destinazione interne alla Russia e quelle esterne dove fosse necessario il visto e preso atto che i restanti voli avevano prezzi molto elevati, è incredibilmente emerso che l’unica combinazione a prezzi elevati ma sostenibili era raggiungere Bologna via Mosca con voli Aeroflot. In ogni caso la partenza sarebbe dovuta avvenire il 22 settembre. Dopo aver meditato l’intera notte è emersa la discriminante che i 550 chilometri verso la frontiera kazaka avrebbero permesso un repentino ritorno a Kazan in caso di bisogno, come del resto i 600 chilometri da Uralsk permettono in circa dieci ore di tornare nel capoluogo tartaro. La decisione è presa. Si torna in Kazakistan. Partenza al mattino del giorno successivo.

Giorno 99 – 22 settembre 2018

Senza alcun entusiasmo, cosa insolita per Guido che ama viaggiare, la Torino-Pechino riparte e il Toyota Hilux a diesel-metano si rimette in moto ufficialmente per un drive test e una prova consumi. La strada è la stessa che lo scorso primo settembre portò l’equipaggio da Uralsk a Kazan. Stavolta il capo-spedizione farà il percorso inverso accompagnato solo dall’immancabile Bruno Cinghiale. Samara è a circa metà strada ed è il luogo dove riforniamo di metano nella seconda stazione cittadina, non la stessa di venti giorni prima. Doppio spostamento di lancetta dell’orologio in avanti e arrivo in frontiera a sole quattro ore dalla mezzanotte. Le infinite auto di uzbeki stracarichi di ogni bene possibile spaventa Guido e Bruno, che tuttavia scoprono che in modo leggermente discriminatorio sono state allestite più file dove russi, kazaki e forse altre nazionalità protette passano prima. Così è, ed in appena un’ora il sospirato timbro russo è apposto sul passaporto di Guido. Il tempo della burocrazia si ferma e restano sette giorni da usare nel mondo migliore in attesa del parto di Olga. Circa cinquanta chilometri di guida notturna ed eccoci nella città dove passa il fiume Ural, storico confine tra Europa e Asia. Urge trovare una sistemazione e dei pasti caldi, per questo la scelta ricade di nuovo sull’Hotel Kurmet dove alloggiammo in precedenza e dove si può mangiare a qualsiasi ora del giorno o della notte. Qui finisce la giornata, dopo una passeggiata digestiva nelle climaticamente tiepide strade di Uralsk, e dopo avere visto la partita del mondiale di pallavolo tra Italia e Russia.

Giorno 100 – 23 settembre 2018

Il centesimo giorno di viaggio inizia con il più tardivo possibile check out dall’albergo per aumentare le ore di riposo. A seguire la riattivazione della scheda telefonica kazaka comprata in precedenza. Quindi in vista di una permanenza di più giorni ecco un bel giretto in auto per tutta la città per valutare alberghi, monumenti e ristoranti e capire come trascorrere il tempo. Nel corso della passeggiata automobilistica varchiamo il ponte che superando l’Ural riporta la Torino-Pechino per circa mezz’ora nel continente asiatico. Interessante la toponomastica della città dove tra tutti i nomi spicca il principale viale “Eurasia”. Nel primo pomeriggio decidiamo di trovare un luogo per pranzare tra i piccoli ristoranti situati nella sponda europea del fiume. Molti sono chiusi essendo già terminato il periodo estivo. Non lontano dal fiume e vicino alla stazione di polizia notiamo la “traktir” (trattoria) “ASS”, che scopriremo essere l’acronimo del titolare Sergej Sergeevic Abakumov. Qui in un tavolo all’esterno pranzano Sergej, la cuoca Tanja e l’amico Andrej. Bruno sceglie di cibarsi lungo le accidentate sponde del fiume, mentre Guido viene invitato ad unirsi ai commensali che festeggiano il compleanno di Sergej. Poco dopo arrivano anche Sasha, figlio di Tanja, e un altro amico. Il racconto dell’avventura della Torino-Pechino affascina i nuovi amici kazaki come pure le interessanti difficoltà burocratiche che hanno portato Guido di nuovo ad Uralsk. Sergej dimostra di essere l’uomo dei miracoli poiché trova in pochi minuti un bello e pulito appartamento a soli 12 euro al giorno per Guido e Bruno e ci conduce personalmente ad una vecchissima stazione di metano che nemmeno gli amici di Ecomotori conoscevano. A circa dieci chilometri da Uralsk sorge un incredibile cimelio dell’Unione Sovietica. La stazione di metano risale agli anni ‘70 e in tutti i macchinari resiste la scritta “sdelano v CCCP”  (made in URSS), con anni di produzione dei pezzi attorno all’inizio degli anni ‘80, ovvero in occasione dell’ultimo ammodernamento. Peculiare il fatto che l’unico rifornimento possibile si basa sul dichiarare la capienza delle bombole e pagare per intero senza la possibilità di far presente che a bordo potrebbe esserci, come nel nostro caso, un cospicuo residuo di gas. Paghiamo più del solito, ma siamo felici dell’esperienza museale vissuta. La giornata si conclude con un’altra, più solenne, cena per il compleanno di Sergej. Stavolta sono molti i commensali e la presenza di un “italiano vero” al tavolo porta come sempre a discutere di Al Bano, Toto Cutugno e del Commissario Cattani. Si susseguono i brindisi di compleanno e di auguri per il parto di Olga e la prossima paternità di Guido. A questo punto possiamo affermare di avere degli amici ad Uralsk e la paura di affrontare i brindisi in occasione della nascita della figlia senza compagnia lascia spazio all’ipotesi di brindare assieme a dei nuovi conoscenti. I fiumi di vodka costringono Guido a lasciare Bruno e l’auto nel parcheggio della trattoria e rientrare al nuovo appartamento in taxi.

Giorno 80 – Tempo di attese

di Guido Guerrini, capospedizione della Torino-Pechino 2018

3 settembre 2018, Kazan (0 km – tot. 28.224)

Dopo oltre 26.000 chilometri, dei quali molti vissuti in situazione di emergenza e di corsa a causa del noto problema alla frontiera cinese, finalmente si può respirare con calma e senza la preoccupazione di dover raggiungere ad ogni costo la città meta del programma del giorno.
Un’altra ansia che ha caratterizzato buona parte del mio viaggio è stata quella di non riuscire a raggiungere Kazan in tempo per la nascita di mia figlia. Anche questo possibile problema è stato scongiurato. Ero consapevole del rischio fin dal momento della partenza per questa avventura, ma il ritardo accumulato dopo Pechino e la paura di avere qualsiasi altro tipo di problema nel prosieguo del viaggio potevano azzerare il margine di sicurezza che avevo previsto. Adesso sono a Kazan, dove vivo per metà dell’anno assieme alla mia famiglia e dove si è chiuso il complicato anello che ha composto il viaggio principale della Torino-Pechino. Da qui all’Italia sono altri 4.000 chilometri che andranno in parte a sovrapporsi a quelli fatti nel viaggio di andata. Prima di questo ci sono alcune “attese” che nei prossimi giorni delineeranno tempi e itinerari dell’ultima parte della Torino-Pechino.

Primo tra tutti la nascita della bambina, prevista attorno alla metà di settembre e che naturalmente sarà un evento talmente importante che influenzerà le dinamiche di tutti gli altri.
Tra questi, è da valutare una possibile partecipazione della nostra auto all’evento ROS-GAZ-EXPO, la più importante fiera dedicata al mondo del metano, che si svolgerà a San Pietroburgo dal 2 al 5 ottobre. Una giornata di queste potrebbe essere dedicata al lungo viaggio con l’uso del metano che abbiamo appena effettuato.
Infine, c’è anche l’attesa di capire come avverrà il rientro in Italia della nostra Hilux, chiamata ancora a quattro rifornimenti di metano e una probabile festa di arrivo nella nostra Penisola in una location ancora da definire.

Nei prossimi giorni il diario quotidiano di viaggio sospenderà la propria attività, pronto a ricominciare in occasione degli eventi sopra descritti ed in ogni caso ricomincerà alla vigilia dell’inizio del viaggio di ritorno. Non si fermerà l’attività delle pagine social che vi terranno al corrente di ogni sviluppo, oltre a continuare a pubblicare materiali inediti dei primi 26.000 chilometri della Torino-Pechino.

Aregolavanti!

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Olga Fedotova, Bruno Cinghiale.

Giorno 79 – Una domenica di riposo

2 settembre 2018, Kazan (25 km – tot. 28.224)

La giornata a quasi chilometri zero comincia molto più tardi del solito. Sono le dieci quando l’equipaggio della Torino-Pechino decide di esplorare la città che ospitò la nostra auto per una settimana a cavallo tra giugno e luglio. I mondiali di calcio sono terminati e i prezzi sono tornati normali. Molta meno gente in giro per le strade di Kazan, che comunque dimostra la consueta vivacità. Il primo impegno della mattina è tornare a visitare il mercatino delle pulci che si svolge ogni domenica non lontano dal porto fluviale sul Volga. Qui è possibile trovare oggettistica originale di epoca sovietica ma addirittura anche della Russia di prima del 1917. Non mancano gli oggetti di uso quotidiano che vanno dai vecchi telefonini ai piccoli elettrodomestici di casa. La componente femminile dell’equipaggio si dedica all’acquisto di numerosi oggetti da regalare in vista del ritorno in Toscana. Il resto della giornata prosegue con la visita della parte centrale della città subito dopo aver testato una mensa in stile e prezzo sovietico ubicata nella strada pedonale Baumana. Durante la permanenza al Cremlino della città si aggiungono alla squadra Olga, Olesya e Matvey. In successione visitiamo la grande moschea Kul Sharif, la Cattedrale ortodossa dell’Annunciazione, la torre pendente Sjujumbike, il palazzo presidenziale e la bella terrazza panoramica che domina il fiume Kazanka e permette di osservare tutte le innovazioni urbanistiche ed immobiliari che hanno cambiato Kazan in questi ultimi anni. La moschea Kul Sharif è la più grande d’Europa se non vengono considerate quelle di Istanbul. Fu ricostruita all’inizio del XXI secolo nell’esatto luogo dove esisteva una simile moschea distrutta dai russi dopo la conquista di Kazan. La Cattedrale dell’Annunciazione ha una lunga storia e fu costruita immediatamente dopo la capitolazione della capitale tartara. La torre Sjujumbike, che vanta una inclinazione di ben due gradi, è protagonista di una curiosa leggenda: Sjujumbike era l’ultima principessa tartara e si racconta che per evitare il matrimonio con Ivan il Terribile, conquistatore di Kazan, abbia preferito lanciarsi dai cinquantotto metri della torre. Il riconoscimento di “patrimonio della umanità” concesso dall’Unesco è senza ombra di dubbio pienamente meritato per questo luogo ricco di fascino ed interesse. Il poco tempo non ci permette la visita dei numerosi complessi museali presenti all’interno della cittadella fortificata. Lasciando il Cremlino e scendendo nel lungofiume, luogo molto amato dai cittadini del capoluogo tartaro, abbiamo modo di fermarci a degustare i dolci tipici della città accompagnati da un buon tè. L’impegno successivo è la separazione dell’equipaggio visto che Alessandra e Giulia avranno un treno nel tardo pomeriggio che viaggiando di notte le porterà a Mosca dove visiteranno la capitale russa. Da segnalare che il treno che effettua la tratta Mosca-Kazan e Kazan-Mosca è lo stesso che circa due mesi fa portò qui Emanuele e Marina. Siamo quindi alla stazione ferroviaria per la cerimonia di saluto mentre il bellissimo treno a due piani lascia il Tatarstan diretto verso ovest. Guido e Bruno restano per l’ennesima volta soli, ma stavolta con la consapevolezza che non ci saranno nei prossimi giorni imprese chilometriche da effettuare. La serata prosegue nella massima tranquillità e con contatti con tutti i soggetti coinvolti nel viaggio per definire i dettagli della parte conclusiva della Torino-Pechino, che vedrà la Toyota Hilux alimentata a diesel e metano ritornare in Italia dopo aver percorso oltre 30.000 chilometri.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina, Olga Fedotova, Olesya Fedotova, Matvey Fedotov

Giorno 78 – Di nuovo a Kazan

1° settembre 2018, Uralsk-Kazan (621 km. – tot. 28.199)

La sveglia suona con un’ora di anticipo rispetto al previsto, ma solo perché sbagliamo il fuso orario. Tutto sommato questo tornerà comodo visto che anche oggi i chilometri da fare saranno molti. Essendo il primo settembre, e quindi il primo giorno di scuola in numerosi paesi ex sovietici, possiamo osservare molti bambini elegantissimi recarsi con mazzi di fiori alle proprie scuole. Spiccano i fiocchi bianchi nelle teste delle femmine e le cravatte indossate da molti bambini di appena sei anni.
Il primo possibile rallentamento della giornata è il vicino confine tra Kazakistan e Russia. Siamo la seconda auto in attesa e in meno di quindici minuti siamo al cospetto dei doganieri russi. La Russia è burocraticamente lenta e complessa, ma completiamo le pratiche abbastanza in fretta. Sembra che il confine tra gli stati dell’unione doganale euroasiatica sia diventato più permeabile rispetto al passato. Neppure la documentazione di importazione temporanea dell’auto viene compilata, sperando che questo non si trasformi in un problema quando dovremo uscire dalla Russia. Spostiamo le lancette indietro di un’ora e ci allineiamo all’orario in cui aveva suonato la sveglia questa mattina. La strada è buona e si prosegue senza alcun inconveniente fino alla stazione di metano Gazprom di Samara dove effettuiamo il rifornimento di gas naturale. Poco dopo siamo fermati dalla polizia di Samara nel posto di blocco all’ingresso della città. Non capiamo il perché dell’attento controllo ai nostri documenti e a quelli dell’auto. Non ci sono problemi se non quello di avere perso un quarto d’ora. Approfittiamo del lento e trafficato transito nel centro di Samara per cambiare i soldi e per pranzare nella periferia della città. Nonostante abbiamo cambiato nazione anche qui la città pullula di bambini impegnati nel ritorno dal primo giorno di scuola. Uscendo da Samara osserviamo con curiosità i cartelli che indicano la vicina città di Togliatti, dedicata all’ex Segretario del Partito Comunista Italiano, dove sorge la fabbrica Lada. Oltre cinquanta anni fa il governo sovietico avviò una cooperazione con la Fiat per creare una industria automobilistica in grado di permettere alla popolazione locale di dotarsi di auto. L’intera linea della 124 fu portata a Togliatti per far partire la produzione di un modello, la “Žigulí”, che fino a sei anni fa non aveva subito quasi alcuna modifica. Oggi la Fiat ha perso questa posizione di quasi monopolio e la fabbrica è sotto il controllo di altre case automobilistiche che hanno saputo sfruttare nel modo migliore la situazione. Il viaggio prosegue attraverso piccole strade che ci portano in tempi brevi a rientrare, dopo aver guadagnato una ulteriore ora in un solo giorno, nella Repubblica del Tatarstan dove torniamo quasi due mesi dopo il primo transito. La chiusura di un cerchio geografico di oltre ventimila chilometri è di fatto una enorme soddisfazione. Dopo qualche ora di pausa tornano le moschee ad accompagnarci lungo il cammino che ci porterà a Kazan. L’attraversamento della Kama, grande affluente del Volga, ci permette di ammirare l’enorme lago generato alla confluenza dei due fiumi e controllato dalla diga di Kujbishev. Alle 18.00 siamo in città, per l’esattezza presso la casa tartara di Guido dove ci accoglie la moglie Olga con il resto della famiglia. Qui comincia una nuova parte del viaggio, quella dell’attesa della nascita della figlia di Guido e Olga prevista per le prossime settimane. La serata finisce con la divisione del gruppo in due squadre: Guido e Bruno si dedicano alla serenità del riposo in famiglia, Alessandra e Giulia cominciano l’esplorazione della città iniziando, visto dove abbiamo trascorso i giorni precedenti, dal ristorante uzbeko denominato Karshi.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– L’unione doganale euroasiatica regala qualche buon risultato. I confini tra Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia sono diventati più semplici da attraversare. Oggi, per esempio, siamo passati dal Kazakistan alla Russia in appena quaranta minuti. Un record.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 77 – Il fiume che divide Asia e Europa

31 agosto 2018, Beyneu-Uralsk (916 km. – tot. 27.578)

La giornata comincia con un vecchio classico del repertorio centroasiatico. Dopo la colazione lasciamo il piccolo albergo che ci ha ospitato. Neppure un chilometro di strada e siamo fermati dalla polizia locale che ci raggiunge da dietro con i lampeggianti accesi. Secondo il poliziotto abbiamo acceso i fari, obbligatori in Kazakistan, solo quando abbiamo incrociato l’auto della polizia. Questo è vero, ma è dovuto al fatto che abbiamo incrociato l’auto mentre partivamo dal piazzale del nostro albergo. Probabilmente la notizia della scomparsa delle richieste di mazzette nelle strade kazake non deve essere ancora arrivata a Beyneu. Seguendo il vecchio rituale Guido viene invitato a salire nell’auto della polizia dove avviene la proposta di togliere la multa in cambio di un “regalo”. Guido accetta con entusiasmo e prende dalla Hilux il volantino che racconta la storia della Torino-Pechino e fa perdere almeno un quarto d’ora al vorace poliziotto che nel frattempo si sta perdendo l’interessante passaggio di una carovana di auto storiche con targa europea. Alla fine il milite molla la presa e dopo oltre due mesi la Torino-Pechino mantiene la verginità in fatto di multe nelle strade centroasiatiche. Risolto con successo anche questo piccolo inghippo ci lanciamo nell’ottima strada che, costeggiando il Mar Caspio, conduce alla città petrolifera di Atyrau. La giornata di oggi è caratterizzata dal raggiungimento della minore altitudine dell’intero viaggio. Abbiamo toccato i meno venti metri sul livello del mare essendo il Caspio situato in una depressione. In un villaggio prima di Atyrau riusciamo a pranzare, mentre sempre nello stesso posto troviamo chiusa una stazione di metano che ci era stata segnalata in precedenza. Inutile la nostra attesa e il tentativo di chiedere informazioni alle stazioni di benzina circostanti. I gestori del ristorante dove abbiamo consumato il pranzo ci ricordano che oggi è la “Festa della Costituzione” e che probabilmente alcune attività sono chiuse per questo. Anche per cambiare i nostri soldi siamo costretti ad usufruire dei servigi di una anziana ed esperta signora che gestisce un piccolo negozio di generi alimentari, che pretende una commissione di circa tre dollari.
Ci consoliamo con l’ottima qualità del fondo stradale che ci fa sperare di riuscire a recuperare il ritardo accumulato ieri dopo la dogana uzbeka. Si percorrono circa cento chilometri ogni ora nonostante alcune brusche frenate per evitare di impattare contro cammelli e dromedari che affollano i bordi della strada. Il sud del Kazakistan è arido e l’unico colore differente dal marrone della sabbia desertica è il bianco del fondo dei laghi salati che in questa stagione sono asciutti. Da dopo Atyrau la strada risale il corso del fiume Ural, il confine geografico tra Asia ed Europa. L’Ural colora di verde il paesaggio creando una cerniera di vita che interrompe i deserti circostanti. Nel piccolo paese di Inderbor avviene lo storico passaggio del fiume. Oltrepassato il ponte siamo di nuovo in Europa dopo cinquantasette giorni di Asia. Pur non essendo collegato al passaggio da un continente all’altro, notiamo come avvenga un interessante cambio nella vegetazione che ci circonda. All’arido terreno della steppa desertica si sostituisce un verde sempre più intenso. Finisce la parte desertica del nostro viaggio per tornare ad una situazione di normalità, o perlomeno di similitudine con i panorami a cui siamo più abituati. Con le prime luci della sera entriamo finalmente ad Uralsk, in kazako Oral. Abbiamo percorso oltre novecento chilometri e siamo ad appena seicento da Kazan dove da domani la Torino-Pechino dovrebbe sostare. Uralsk non è la prima volta che diventa sede di tappa di un nostro viaggio. La cittadina è attraversata dal fiume Ural e molte cose sono legate alla particolarità di essere a cavallo tra i due continenti. Non mancano le insegne, anche bizzarre, legate al tema dell’Eurasia.
Dormiamo in un hotel centrale e ceniamo in una struttura all’aperto ubicata nell’isola pedonale nei pressi del teatro cittadino, il più vecchio mai costruito in Kazakistan. La città ha un aspetto russo e di kazako c’è solo qualche monumento a personaggi sconosciuti. Anche le facce tornano ad essere anche europee, dato che qui i russi sono circa il 40% della popolazione. La passeggiata serale per digerire i buoni shashlyki è utile anche per capire meglio come si vive in questa simpatica cittadina, che come Istanbul si trova a cavallo di due continenti.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Almeno oggi siamo ben felici di raccontare che le strade in questa parte di Kazakistan sono notevolmente migliorate negli ultimi dieci ani.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 76 – Sul fondale del lago d’Aral

30 agosto 2018, Moynaq (lago d’Aral) – Beyneu (km 513 – tot. 26.662)

Il primo mattino al di fuori della yurta che ci ospita è piuttosto freddo. Siamo costretti ad indossare felpe per recarci a fare colazione nel vecchio faro del porto di Moynaq. Le barche arenate sul fondale sotto di noi sono impressionanti. Qui mancano almeno dieci metri di acqua che corrispondono a decine di chilometri di distanza dalla nuova e sempre più precaria riva di ciò che resta del lago. Sono ancora visibili alcuni canali artificiali che per alcuni anni hanno permesso alle barche di raggiungere la riva del lago sempre più lontana. Qui si viveva di pesca e dell’inscatolamento dei prodotti del lago. Oggi si vive di agricoltura, soprattutto frutta, e il famigerato cotone responsabile di gran parte del prelevamento idrico degli affluenti del lago. Molti libri e inchieste sul tema raccontano di uno scenario catastrofico anche dal punto di vista economico, oltre a quello naturalistico ed a problemi per la salute delle persone. Le testimonianze che abbiamo raccolto a Monyaq non sembrano essere favorevoli ad un ritorno del lago se questo dovesse significare la perdita del lavoro che ha portato l’agricoltura. Interessante registrare una forte nostalgia dell’Unione Sovietica, vista come soggetto al di sopra delle conflittualità tra le cinque repubbliche centroasiatiche che non si mettono d’accordo su come provare a salvare quello che resta del lago. I nostri interlocutori sono dei muratori protagonisti di un episodio che ha caratterizzato la nostra mattinata. Dopo aver fatto le foto alle barche sul fondale del lago, abbiamo avuto la sciagurata idea di andarci anche in auto, consapevoli dei rischi di insabbiamento che anche una potente 4×4 come la nostra può correre. Come volevasi dimostrare siamo rimasti in mezzo alle due navi più grandi del memoriale dedicato alla scomparsa del lago. Per un attimo pensiamo ai turisti che tra qualche anno potrebbero trovare l’Hilux arrugginito parcheggiato per sempre vicino ai pescherecci dell’Aral. Senza eccessive preoccupazioni Guido si è incamminato fino ad un cantiere di una casa in costruzione notata in precedenza. Da qui è tornato all’auto con una squadra di muratori karacalpachi che armati di badili, sacchi da mettere sotto le ruote e molta forza fisica sono riusciti a disincagliare la Hilux. Abbiamo ringraziato offrendo un pranzo, regalando una bottiglia di vodka e gli ultimi cappelli BTS-Biogas rimasti a bordo della nostra auto. Con l’occasione abbiamo scambiato opinioni sul disastro ambientale in questo luogo. Come accennavamo siamo rimasti sorpresi dalle risposte date. Alla nostra affermazione che proprio le politiche sovietiche avessero portato al disastro, uno di loro ci ha corretto dicendo che le attuali politiche sono responsabili di tutto ciò e che non è un caso che il grosso del problema sia avvenuto dopo il 1991 quando le singole repubbliche post sovietiche hanno attuato politiche egoistiche e di propria convenienza relativamente alle acque dei fiumi immissari. “Fin quando c’era l’Urss”, sottolinea il capocantiere, “le esigenze del cotone, della pesca e degli altri prelievi idrici dai fiumi erano controllate da una autorità centrale che permetteva a tutte queste attività di non scomparire”. Non siamo in grado di fare un contraddittorio sul tema, ma in tutta la squadra è netto il giudizio sul fatto che si stava meglio prima. In tutto ciò è interessante anche il rivendicare la propria identità culturale karacalpaca che si sentiva più tutelata ai tempi dell’Unione Sovietica rispetto ad oggi. Non siamo qui per fare giornalismo d’inchiesta, semmai per raccontare la storia di un disastro ecologico con la speranza che in futuro non si ripeta nulla di simile. Resta interessante aver ascoltato le voci di alcuni abitanti del luogo, non giovani, che raccontano come il cotone sia stato più importante per l’economia locale rispetto al pesce del lago. L’acqua del lago, essendo salata, non era adatta ad irrigare e quindi era necessario usare quella del fiume, sottolinea un altro muratore del cantiere che ci ha salvato dal rimanere ore sul fondo del lago. Come spesso accade la verità sta nel mezzo visto che sono indiscutibili le responsabilità in epoca sovietica di coloro che scelsero di convertire la zona alla coltivazione del cotone, come del resto è innegabile che la disgregazione dell’Urss abbia portato ad enormi personalismi su questo tema da parte dei vari capi di stato delle repubbliche centroasiatiche. In ultimo aggiungiamoci che nella parte uzbeka sono stati trovati giacimenti di metano che con un eventuale ritorno dell’acqua sarebbero difficili da sfruttare.

Lasciata in modo definitivo Moynaq, riprendiamo la vecchia strada già percorsa nella giornata di ieri. Nella città di Kungirot, dove riprenderemo la strada verso nord, sostiamo per comprare provviste (tra cui giganteschi cocomeri e meloni) e fare quello che sarà l’ultimo rifornimento di metano in Uzbekistan. Una cinquantina di chilometri più avanti, ottimisti anche per il buon asfalto che stiamo percorrendo, decidiamo di fermarci per un ottimo pranzetto. Poi però la strada che percorriamo verso la frontiera kazaka peggiora drasticamente e presto riemerge quella che deve essere stata l’ultima asfaltatura di epoca sovietica. La media oraria scende a meno di quaranta chilometri ogni ora. Gli ultimi chilometri prima della dogana sono addirittura un alternarsi di terra battuta, sterrato e crateri di tutte le dimensioni. Puntiamo a salvaguardare il veicolo e arriviamo alla frontiera alle 17.30. In teoria saremmo la ventesima auto sul lato uzbeko, ma i doganieri ci fanno passare per primi poiché siamo turisti. Questa ulteriore attenzione si va ad aggiungere al non essere mai stati fermati in nessun posto di blocco della polizia nei giorni precedenti. È evidente che c’è un ordine ben chiaro di non disturbare in alcun modo i turisti presenti nel paese. Tutto questo facilita anche le operazioni doganali e in pochi minuti passiamo al lato kazako. Qui tutto avviene più lentamente, ma non per la burocrazia del paese post sovietico. Purtroppo bussiamo alla finestra dell’addetto all’importazione temporanea dell’auto proprio mentre inizia la pausa cena. Subito dopo comincia la pausa di coloro che ispezionano l’auto e tutto questo porta il tempo complessivo di attesa a oltre due ore. Sottoliniamo che neppure una valigia è stata aperta. Siamo nelle strade kazake poco dopo il tramonto e questo significa che dovremo per forza guidare anche di notte. I circa novanta chilometri che portano al paese di Beyneu, sulle sponde del Mar Caspio, sono peggio del previsto. La strada è in terra battuta, per fortuna con poche buche, ma la differenza la fanno i camion e la polvere che sollevano che rende impossibile vedere dove si va, soprattutto quando arriva il buio. Arriviamo a Beyneu a notte inoltrata e prendiamo il primo hotel con ristorante aperto che troviamo nei pressi della stazione ferroviaria. Proprio durante la cena partecipiamo involontariamente ad una festa con danze di gente del posto. Ci limitiamo a guardare, ma lo spettacolo è comunque molto interessante. I kazaki si confermano ad ogni occasione gente amante delle feste e non esitano mai nel lanciarsi in danze che coinvolgono anche i bambini. La stanchezza ben presto vince le nostre resistenze e siamo costretti ad abbandonare il piacevole osservatorio.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Per quanto riguarda il Lago d’Aral qualcosa è cambiato. La parte kazaka è tornata a vivere grazie ad opere di ingegneria idraulica, ovvero una semplice diga. Ancora poco tempo e la parte nord del lago tornerà a bagnare il porto di Aralsk, la città che prende il nome dal lago. Per quanto riguarda la parte sud, quella uzbeka, siamo lontanissimi da una soluzione. Un buon segnale è il fatto che il nuovo presidente uzbeko abbia organizzato un incontro con gli altri “stan” per discutere del problema. I fiumi che alimentavano il lago passano anche attraverso gli stati non rivieraschi e un qualsiasi tentativo di tornare agli antichi splendori deve per forza passare da un accordo tra tutti.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 75 – Giornata karakalpaca

29 agosto 2018, Khiva-Moynaq (Lago d’Aral) – km. 524, tot. 26.149

Secondo e ultimo risveglio a Khiva. Dopo la colazione siamo in alcuni dei punti più caratteristici ed esterni alle mura per fotografare la nostra auto che nel giorno di ieri ha meritatamente riposato. Un gruppo di donne locali sente il desiderio di essere fotografata assieme a noi e alla Toyota Hilux, come del resto negli ultimi giorni molti bambini hanno manifestato la propria cordialità nei nostri confronti salutandoci con un “hello”.

Lasciamo definitivamente la bella città storica per dirigerci, dopo circa un’ora di viaggo, a Beruniy dove ad attenderci c’è di nuovo Gajrat con il quale avevamo condiviso l’ottimo pranzo di lunedì. Ci riforniamo di metano nella sua stazione, aperta negli ultimi anni grazie alla collaborazione con Fornovo. Sempre con il suo aiuto riusciamo, in un altro luogo di Beruniy, a fare un rabbocco di rarissimo gasolio per poter raggiungere il confine kazako senza problemi. Anche in questa occasione la qualità del gasolio lascia a desiderare, come del resto la pompa stessa apparentemente molto vecchia e semiabbandonata. Pure stavolta dobbiamo sorvolare e accettare la situazione visto che ora abbiamo la consapevolezza che con questi due pieni potremo arrivare al confine con la Russia.

La successiva meta di giornata è Nukus, capitale della Repubblica di Karakalpakstan, soggetto federato all’interno dello stato uzbeko. Qui pranziamo spendendo la modica cifra di poco più di un euro a testa. Nukus è una città abbastanza anonima e costruita nel corso del XX secolo con i classici palazzoni sovietici che almeno qui sono ornati e decorati con caratteristiche tipiche della cultura locale. In linea teorica non ci dovrebbe essere nulla di particolare che la possa differenziare dalle altre città delle stesse dimensioni costruite nel Novecento. In pratica qualcosa di particolare c’è: nel centro della molto pulita e ordinata città sorge un grande museo che ospita delle collezioni molto originali. Nel corso di molti anni il pittore e archeologo sovietico Igor Savickij ha raccolto  un elevato numero di opere di pittori avanguardisti sovietici, spesso artisti non in perfetta sintonia con le indicazioni politiche dello stato sovietico. Accumulò queste opere a Nukus dove le autorità locali permisero l’esposizione all’interno di un museo allestito per questo e per ospitare anche raccolte di oggetti legati alla storia del popolo e della cultura karacalpachi. Il risultato è che oggi ci sono persone che vengono a Nukus, davvero fuori da ogni itinerario turistico, appositamente per vedere questo luogo. Vedere, ma senza fotografare visto che gli zelanti addetti al museo chiedono quasi venti euro per il permesso di scattare foto e contestualmente obbligano alla consegna del cellulare. Il sequestro del telefono non ci era accaduto neppure nell’escursione in Corea del Nord a fine luglio. Molto interessanti le scene di vita quotidiana che avvengono nella piazza vicino al museo, con sposi che utilizzano questo scenario per le proprie foto di nozze e numerosi bambini che chiedono di fare selfie assieme ai turisti. Noi ribaltiamo la cosa e chiediamo agli entusiasti bambini karacalpaki di fare un selfie con noi. Loro accettano con grande gioia. A lato della piazza sventolano due enormi bandiere, quella uzbeka e quella karacalpaca, molto simili tra loro ma con una banda orizzontale di colore arancione invece che bianca per il soggetto politico locale. Una volta indipendente l’Uzbekistan faticò a rapportarsi con il Karakalpakastan. Sembra che nei primi anni ‘90 si sviluppò un movimento locale indipendentista, subito stroncato dalle autorità centrali. Di fatto l’aspetto somatico delle persone è di nuovo cambiato rispetto a Khiva o Samarcanda, stavolta prevale la somiglianza con i vicini kazaki.

Lasciamo Nukus e la sua gentilissima popolazione a metà pomeriggio per dirigersi verso Monyaq, circa ottanta chilometri al di fuori del nostro percorso, ma meta di grande interesse per il nostro viaggio. Qui arrivava la sponda del Lago di Aral prima della catastrofe ecologica che ha visto quello che fu il quarto lago più grande del mondo arretrare di centinaia di chilometri fino quasi a sparire. Appena usciti da Nukus attraversiamo per l’ultima volta l’Amu Darya, uno dei due emissari dell’Aral. Il fiume è praticamente asciutto visto il prelievo irriguo destinato alle piantagioni di cotone e frutta che rendono viva l’economia di questo territorio. La strada che ci porta a Monyak non è affatto una delle migliori percorse negli ultimi giorni, ma con qualche attenzione ci permette di arrivare nella cittadina un tempo lacustre poco prima del tramonto. La città ha ancora come simbolo un pesce, almeno questo si capisce dal grande monumento ad inizio paese. Entrando siamo rallentati da una marea di gente che si sta recando nello stadio centrale per una festa cittadina della quale non abbiamo compreso il significato. Forse una specie di patrono locale, ci sembra di capire dalla conversazione con una persona del luogo.

Prima del calare della notte facciamo in tempo a scorgere dall’alto il cimitero di barche che si trova nel pressi del vecchio porto. Decidiamo di rinviare la visita al mattino di domani vista l’ora non idonea per avventurarsi nel greto asciutto del lago. Ceniamo e dormiamo in delle yurte in riva all’ex lago. Curiosa l’iniziativa di una famiglia del luogo che ha costruito queste tende proprio attorno all’ex faro del porto e che riesce a noleggiarle ai pochi turisti che vengono a Monyak. Grazie alla quasi assenza di pubblica illuminazione possiamo godere di un cielo stellato stupendo arricchito anche dal sorgere della luna direttamente da quello che resta del lago.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Nella parte nord del lago di Aral le autorità kazake sono riuscite, grazie alla costruzione di una diga, a riportare il livello della parte settentrionale del lago molto vicino ai livelli del passato. Anche in Uzbekistan il nuovo presidente dimostra interesse sull’argomento, nonostante qualsiasi tipo di progetto per invertire la tendenza sia ancora in alto mare.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 74 – Khiva, la città nel deserto

28 agosto 2018, Khiva (0 km – tot. 25.625)

La Torino-Pechino ha deciso di sostare un giorno a Khiva per potersi godere con calma la piacevole cittadina ubicata in un’oasi nella provincia uzbeka di Corasmia, al confine tra Uzbekistan e Turkmenistan. La decisione è arrivata dopo aver dato un rapido sguardo allo splendido centro cittadino nelle ultime ore di luce di ieri sera. A questo punto siamo consapevoli che accumuleremo ulteriore ritardo, ma non approfondire la conoscenza di questo luogo sarebbe stato un crimine. La leggenda dice che la città sia stata fondata da Sed, uno dei figli di Noè. La realtà dice che era un centro importante della Via della Seta e le prime tracce storiche si trovano in documenti datati circa mille anni fa. Le piazze di Khiva erano note nei secoli scorsi per i propri mercati di schiavi e per almeno due sconfitte patite dall’Impero Russo nel tentativo di sottomettere il Khanato.

La giornata inizia con la massima tranquillità visto che approfittiamo per riposare leggermente più del solito. Dopo la colazione ci avventuriamo nei vicoli di Khiva senza bisogno della nostra auto, lasciata a riposare nel parcheggio dell’albergo che ci ospita. Per accedere al centro della città è necessario acquistare un biglietto di circa dieci euro che permette la visita di tutti i musei, moschee, minareti, medresse presenti all’interno delle mura cittadine. Questo è un chiaro segnale di attenzione nei confronti dei turisti e del fatto che la città è molto più moderna e commerciale di quanto possa sembrare al primo sguardo. La cosa ai nostri occhi incredibile è che la maggior parte delle case e buona parte delle mura che cingono il centro storico sono fatte di terra e paglia. Questo dimostra l’inesistenza del fenomeno delle piogge in questa zona geografica, altrimenti sarebbe stato impossibile per queste strutture resistere per centinaia di anni. Alcuni palazzi, stavolta in mattoni e pietra, hanno la veneranda età di mille anni. Khiva con il suo Khanato per secoli è stata una fiera avversaria di Bukhara e Samarcanda e oggi di fatto è assieme alle due ex rivali una delle tre principali attrazioni turistiche dell’Uzbekistan. Rimane la differenza che il cuore storico di Khiva appare più vero e realmente abitato da persone normali rispetto ai centri molto modernizzati di Samarcanda e Bukhara. Anche l’aspetto delle persone è leggermente diverso, con tratti molto più turchi e meno asiatici. Tra le visite effettuate, forse una delle più curiose è la salita in cima ai cinquantasette metri del minareto del complesso Islam Khodya. Le guide cartacee scrivono quarantacinque metri, ma la custode della torre assicura che sbagliano. Le scale che portano in vetta sono elicoidali in legno, prive di luce o qualsiasi misura di sicurezza. Il panorama che regala questa esperienza è degno della fatica e tensione accumulate per scalare la struttura. Il veloce pranzo in uno dei tanti ristoranti è utile per organizzare le ulteriori visite del pomeriggio. La degustazione tris di plov, manty e golubtsy è un gustoso capolavoro della cucina ex sovietica. Moschee, giro delle mura, antichi palazzi, vecchi bazar, nuovi mercatini e perfino la vecchia e scalcinata ruota panoramica made in Urss dimostrano che in una giornata è impossibile visitare con il sufficiente tempo le sedici attrazioni comprese nel biglietto pagato in mattinata. Facciamo il possibile rimanendo dell’idea che la città abbia meritato questa sosta non prevista di un giorno in più. Tra i punti di forza di una fermata qui ci sono i prezzi delle bancarelle presenti nelle stradine della città che sono almeno la metà degli stessi souvenir acquistabili a Samarcanda o Bukhara. Bello poter osservare per il secondo giorno di fila lo spettacolo del tramonto che illumina di un colore speciale le cupole delle moschee con in lontananza i riflessi del deserto. Ieri la posizione privilegiata era una terrazza sopra le mura della città, oggi il balcone del nostro albergo. Scegliamo uno dei migliori ristoranti di Khiva per l’ultima cena in questo scenario. Anche in questo caso l’alta posizione domina la fortezza e il tozzo minareto incompleto chiamato Kalta Minor. Il nostro sfarzo ci costa ben cinque euro a testa, cifra davvero folle a queste latitudini. Il riposo in vista delle difficili giornate che ci aspettano è doveroso e proprio per questo non facciamo le ore piccole.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– Khiva essendo meno popolare di Samarcanda e Bukhara vive in modo minore la presenza dei flussi turistici. Questo fa in modo che la città sia nelle stesse condizioni in cui erano Bukhara e Samarcanda dieci anni fa. Le strade sterrate, i pavimenti vecchi, alcuni edifici in abbandono oltre alle case del centro veramente abitate rendono Khiva più reale delle altre due mete turistiche. Speriamo che il cambiamento inesorabile che ci sarà non sia simile a quello avvenuto nelle altre mete turistiche uzbeke.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina.

Giorno 73 – Nel deserto del Kizilkum tra uzbeki, kazaki e karakalpachi

27 agosto 2018, Bukhara-Khiva (442 km. – tot. 25.625)

Di primo mattino, dopo la consueta abbondante colazione, lasciamo il piacevole hotel Edem gentilmente messo a disposizione da Fornovo Uzbekistan. Partiamo alla volta di Khiva assieme a Nozimjon, ormai nostra personale guardia del corpo. La distanza che ci separa dalla città storica obiettivo di giornata è di poco superiore ai quattrocento chilometri, ma con una parte di strada dal fondo non eccellente. Khiva era nel mirino anche della Torino-Pechino 2008, ma a causa del conflitto russo-georgiano dell’agosto di quell’anno fummo costretti a cambiare itinerario e rinunciare a questa bella città.

I primi cento chilometri di strada sono, come previsto, davvero pessimi, con i famosi avvallamenti dovuti al peso dei mezzi pesanti. A seguire comincia una superstrada in cemento, con quattro corsie, nella quale si superano in massima tranquillità i cento km/h. Entriamo nella Repubblica di Karakalpakstan, un soggetto autonomo all’interno dell’Uzbekistan dove vivono ben oltre un milione di persone suddivise in tre gruppi etnici equivalenti: uzbeki, kazaki e karakalpachi. Le lingue ufficiali sono l’uzbeko e il karacalpaco. Il territorio di questa zona è caratterizzato dalla presenza del deserto del Kizilkum che divideva l’emirato di Bukhara da quello di Khiva. Le uniche macchie di verde sono in lontananza lungo il corso del fiume Amu-Darya, che in questo tratto divide l’Uzbekistan dal Turmenistan. Avvistiamo il fiume e il confine tra i due stati più volte durante il trasferimento. In un punto qualsiasi del deserto decidiamo di inoltrarci tra le piccole dune per fare alcune fotografie. Sorprendentemente scopriamo un mondo nuovo, fatto di pecore e pastori. Le povere pecore hanno davvero poco da mangiare e si gettano tra i pochi cespugli dove sopravvive qualcosa di verde. Suscitiamo la curiosità dei pastori che probabilmente si chiederanno cosa siamo venuti a fare dall’Italia fino a questo luogo ameno.

Alle 14 siamo finalmente presso la cittadina di Beruniy dove ci aspetta Gajrat, titolare della locale stazione di metano. Naturalmente non ci occupiamo solo di fotografare il sito e di rifornire l’auto, ma come di consueto andiamo a pranzare assieme e non sarà uno spuntino leggero. Sul nostro tavolo, in un ristorante della zona compare anche il pesce dell’Amu-Darya oltre alle consuete verdure, ottima frutta e carne. Siamo in un’oasi, ulteriormente alimentata dalle acque del fiume che, come già detto, non ha più le forze per sfociare nel Lago di Aral. Gajrat ci presenta la prestigiosa vodka “Karatau”, pluripremiata tra le migliori esistenti in Russia e dintorni. Il capospedizione Guido, essendo impegnato nella guida, non può che assaggiare un piccolissimo bicchiere del prezioso liquido. Gajrat si adegua e ci regala una cassa da sei bottiglie da bere quando non guidiamo… Ringraziamo per la gentilezza e spieghiamo che torneremo alla stazione di Beruniy per rifornire anche quando lasceremo Khiva.

Ultimi quaranta chilometri e finalmente raggiungiamo la storica città dove prendiamo possesso di una stanza presso il centralissimo Hotel Islambek. A questo punto la missione di accompagnamento di Nozimjon si conclude e con un comodo passaggio d’auto, a metano, della durata di sedici ore ritornerà a Tashkent nella notte. Doniamo al nostro più accanito fan la maglia ufficiale della Torino-Pechino 2018 e lui gradisce molto il pensiero. La difficoltà a visitare la città di Khiva emerge anche quest’anno visto che, a causa di tutti gli impegni della giornata, cominciamo il tour turistico praticamente alle 19.00. Facciamo in tempo a percepire la bellezza di questo luogo anche grazie all’escursione in una delle torri più alte e panoramiche della città, da cui possiamo godere del tramonto. Durante la cena consumata in un piccolo locale all’aperto del centro cittadino emergono tutti i nostri dubbi sul restare o meno un giorno in più a Khiva per potere avere il tempo di gustarsela con calma. Ci sono aspetti positivi in questa scelta e altri negativi che ci potrebbero costringere a fare velocemente le visite successive. Ci prendiamo alcune ore per approfondire l’argomento e comprendere con esattezza quale potrebbe essere la scelta migliore.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La morte del già Presidente Karimov, di cui il 2 settembre ricorre il secondo anniversario, ha portato al potere il suo ex primo ministro Shavkat Mirziyoyev, il quale ha molto alleggerito il controllo della polizia all’interno del paese. Uno dei cambiamenti più evidenti è la cessazione dei numerosi posti di blocco lungo le strade che opprimevano gli automobilisti.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina, Nozimjon Shermuhamedov

Giorno 72 – Lo splendore di Bukhara

26 agosto 2018, Bukhara (38 km. – tot. 25.183)

La giornata comincia con un interessante fuori programma. Come avevamo già accennato precedentemente in Uzbekistan stanno del tutto scomparendo i carburanti tradizionali, in particolar modo il gasolio. Sopravvive qualche luogo di rifornimento, ma se non si è in possesso di uno speciale permesso riservato ai veicoli dello Dtato o a quelli dell’esercito, comprare il diesel diventa impossibile. In questo periodo dell’anno, complice la raccolta del cotone, la disponibilità di questo carburante è ancora più limitata. I nostri angeli custodi di Fornovo fin da ieri, senza successo, hanno cercato la possibilità di assicurarci un rifornimento che ci permettesse di uscire senza problemi dall’Uzbekistan. Oggi si è aperta la possibilità di poter acquistare una cinquantina di litri di gasolio in una località a circa 20 chilometri da Bukhara, non lontano dal confine turkmeno. Guido, accompagnato da Pavel, si reca in questa stazione di servizio. Il luogo è abbastanza “retrò” e i dubbi sulla qualità di quello che metteremo nel serbatoio sono molti, ma non ci sono molte alternative e non possiamo fare gli schizzinosi. Qualunque sarà la qualità del gasolio non possiamo rinunciare. L’erogatore è addirittura con le lancette, di quelli che Guido nei suoi oltre quarant’anni di vita non ha mai visto. Completata l’operazione si rientra a Bukhara dove può finalmente iniziare la giornata quasi interamente turistica che avevamo programmato.

La città ha una storia molto lunga e complicata ed è legata indiscutibilmente al passaggio di personaggi importanti come Tamerlano o Gengis Khan. Pure Niccolò e Matteo Polo, padre e zio del più noto Marco, sostarono per diversi anni in questo luogo. Bukhara è una delle tappe più importanti della Via della Seta e i numerosi caravanserragli e mercati presenti ne sono ancora oggi una importante testimonianza. Tra i luoghi più affascinanti della città c’è la fortezza di Ark dove risiedeva fino al 1920 l’Emiro e il complesso religioso attorno all’imponente minareto Kalon, una torre che forse era uno degli edifici più alti al mondo nel tredicesimo secolo. Si racconta che quando Gengis Khan conquistò e distrusse Bukhara, volle risparmiare il grande minareto per la sua bellezza ed imponenza. Altri dicono che, sollevando la testa per ammirare il manufatto, al condottiero mongolo cadde il cappello e questo segnale lo convinse a rispettare questa torre e risparmiarla. Non visitabile internamente la scuola coranica che rimase attiva anche in epoca sovietica. Qui ha studiato Kadirov, l’attuale presidente ceceno. In questa zona della città ci dedichiamo al pranzo a base di samsa e verdure. L’Emiro perse il proprio potere con l’arrivo dei sovietici, che trasformarono questo territorio prima in una repubblica all’interno dell’Urss e poi in quello che oggi è l’Uzbekistan. Di fatto il territorio era sotto il protettorato dell’Impero Russo già da cinquanta anni. In ogni caso il Khanato di Buhkara e poi l’Emirato riuscirono a resistere per secoli sottomettendo buona parte degli stati confinanti. La storia di questo soggetto politico è fortemente legata alla pazzia dei confini delle attuali repubbliche post sovietiche centroasiatiche.

Pomeriggio dedicato alla visita dei mercati presenti in tutta la città dove con costanza, pazienza e spirito di intraprendenza si possono fare ottimi affari. Particolare è la piazzetta con al centro una grande vasca d’acqua. Per molte analogie ci viene in mente la piazza della cittadina toscana di Bagno Vignoni. Anche qui rispetto a dieci anni fa è apparsa una pavimentazione consona e la zona è stata chiusa al traffico veicolare. Forse nel complesso tutto è diventato molto turistico e siamo convinti che la polvere delle strade sollevata dalle vecchie Lada di dieci anni fa non rovinasse lo scenario. Dopo un riposo pomeridiano nel nostro bell’albergo ceniamo per l’ultima volta assieme a Pavel e Nozimjon. Con il primo avvengono anche i saluti ufficiali visto che non potrà accompagnarci nel viaggio del giorno successivo causa impegni di lavoro. Un’ultima passeggiata nel cuore di Bukhara e quindi torniamo in albergo in vista della giornata che domani ci porterà a Khiva, altra storica città ubicata lungo la Via della Seta.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– Anche Bukhara, come Samarcanda, è un’altra città, molto abbellita e molto turistica rispetto alla dimensione più rurale del 2008. In particolare le strade sono molto migliorate e dotate di marcipiedi. Il turismo di massa ha fatto la sua comparsa e le maggiori attrazioni sono diventate a pagamento, anche se per cifre molto modeste.
– La mitica torre dell’acqua, la paurosa struttura in metallo da dove si godeva di un ottimo panorama sulla fortezza Ark, è al momento chiusa al pubblico. Una ristrutturazione in corso porterà alla nascita di un bar sulla terrazza che domina la sommità.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina, Nozimjon Shermuhamedov, Pavel e Anna.