Giorno 71 – In un mare di metano

Samarcanda-Bukhara (347 km. – tot. 25.145)

La delegazione Torino-Pechino e Fornovo Uzbekistan lascia Samarcanda dopo avere approfittato delle prime ore del mattino per fare le consuete foto di rito vicino al Registan e quelle con la cartellonistica d’ingresso alla città.
Il primo impegno del giorno è raggiungere la città di Karshi, a metà strada tra Samarcanda e Bukhara, dove siamo attesi per un pranzo a base di plov, il piatto tipico ed originario di questa zona, e per il rifornimento in una nuova stazione di metano appena aperta e dotata di compressori Fornovo. La strada è abbastanza buona e fa una certa impressione notare i cartelli che indicano Termez, la città di frontiera tra Uzbekistan e Afghanistan. Ancora un volta il transito lontano dalle città ci permette di poter provare a capire come si vive in campagna. Spesso lungo la strada possiamo ammirare le piantagioni di cotone di cui l’Uzbekistan è uno dei più importanti produttori mondiali. Questa coltivazione è indirettamente responsabile della diminuzione della portata dell’Amu-Darya, il fiume che alimentava la parte meridionale del quasi prosciugato Lago di Aral. L’animale più presente lungo la strada è il dromedario e più volte siamo costretti a rallentare improvvisamente per evitare di investire i branchi che brucano le erbe lungo il margine stradale. Il viaggio è un ottima occasione per parlare con l’amico Nozimjon, che ci racconta le dinamiche del suo lavoro e l’esplosione del fenomeno metano in Uzbekistan. La scoperta di una serie di giacimenti in tutto il Paese ha portato alla conversione quasi totale del parco automobilistico nazionale e all’apertura di cinquecento punti di rifornimento. Circolano molti autobus e camion alimentati completamente usando il metano. Nessun paese al mondo ha in così poco tempo cambiato la propria vocazione automobilistica. Superata Karshi arriviamo a Koson dove ci riforniremo dopo aver pranzato assieme agli amici di Fornovo Uzbekistan e ai gestori della stazione di metano presente in città. Si uniscono a noi Pavel e la moglie Anna, originari di Bukhara. Pavel è il responsabile tecnico degli impianti installati da Fornovo nel Paese. Procediamo al rifornimento della Toyota Hilux nella moderna stazione di metano aperta da meno di un anno dove abbiamo modo di vedere da vicino il potente compressore nuovo di zecca. Siamo accolti con simpatia da tutti coloro che lavorano presso questa struttura. Non mancano, come al solito, le foto commemorative dell’evento. Il viaggio prosegue con un curioso fuori programma a circa trenta chilometri da Bukhara, presso una riserva naturale voluta secoli fa dal locale emiro. Qui abbiamo modo di visitare un parte della struttura dove sono presenti animali tipici di questa regione. Tra le tante bestie facciamo amicizia con Sashka, un cucciolo di una specie di capra selvatica o forse di una specie a noi non nota di mini antilope uzbeka. Il piccolo ha tre mesi e si comporta come un cane, dato che segue passo passo gli umani e si fa accarezzare senza problemi.
Il paesaggio è completamente desertico fino all’arrivo vicino a Bukhara dove comincia il verde dell’oasi che circonda la ex capitale dell’omonimo khanato che per secoli ha dominato il territorio dell’attuale Uzbekistan. Alle porte della città c’è un’altra stazione di metano che vanta un piccolo record: nel 2013 fu il primo dei punti di rifornimento aperti da Fornovo in Uzbekistan. C’è molto traffico di auto che devono caricarsi di gas naturale, ma tutti i presenti ci lasciano il posto per rifornirsi dedicandoci parole di sostegno per il nostro viaggio. Come al solito rispondiamo a molte domande sul nostro impianto diesel-metano. Finalmente entriamo a Bukhara, che come Samarcanda appare notevolmente cambiata rispetto a dieci anni fa. Le case di epoca sovietica hanno lasciato il posto a molti nuovi palazzi con uno stile più in linea con l’architettura centroasiatica.
I nostri amici uzbeki ci hanno riservato tre camere singole in un dei migliori alberghi della città, ubicato a due passi dalla parte vecchia. L’ospitalità della locale filiale di Fornovo è davvero grande e siamo quasi imbarazzati nel vedere la qualità delle stanze dove siamo alloggiati. Riusciamo a convincere Pavel e Nozimjon a fare finalmente una cena leggera dopo i bagordi degli ultimi due giorni. Ottima frutta e una serie di buone insalate dominano la nostra tavola. Tutto questo è un buon inizio per la lunga e bellissima passeggiata nella parte vecchia di Bukhara. Impressionante l’immagine notturna del grande minareto Kalon con dietro una luna quasi piena e il pianeta Marte forte di tutto il suo caratteristico rossore. Il riposo nel comodo albergo sarà determinante per vivere con calma la rilassante giornata di domani.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– L’incremento delle stazioni di metano e gpl ha portato alla quasi scomparsa delle tradizionali stazioni di benzina e gasolio in alcune zone dell’Uzbekistan.
– A bordo strada è scomparsa una parte dei cartelli che ricordavano frasi del defunto presidente Karimov, prontamente sostituiti con frasi del nuovo presidente Shavkat Mirziyoyiev.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina, Nozimjon Shermuhamedov e gli altri amici di Fornovo Uzbekistan

Giorno 70 – Non è poi così lontana Samarcanda

24 agosto 2018, Panjakent-Samarcanda (67 km. – tot. 24.798)

La sana dormita tagika si conclude con un’ottima colazione offerta dalla struttura che ci ospita. A seguire perdiamo circa mezz’ora nella ricerca delle chiavi della macchina che in realtà erano disperse nel letto della camera. Superato questo momento di confusione ci incamminiamo verso la frontiera dopo aver consapevolmente finito i residui di valuta tagika acquistando qualche litro di gasolio. Circa quindici chilometri e siamo pronti per affrontare il confine tra Tagikistan e Uzbekistan. Il lato tagiko si rivela ancora una volta non complesso se non per lo smaltimento della piccola coda composta da cinque auto. Come potevamo aspettarci il lato uzbeko è molto più complicato. L’ispezione alla Hilux è lunga, con domande legate prevalentemente alla curiosità per l’impianto diesel-metano oltre che, per l’ennesima volta, sul commissario Corrado Cattani. Non è chiaro l’aspetto assicurativo dell’auto. Ci risultava di dover provvedere all’acquisto di un’assicurazione stradale, ma i doganieri ci dicono di no. Insistiamo e ci viene detto che in dogana non possiamo provvedere a sbrigare questa pratica. I tagiki di passaggio ottengono l’assicurazione senza problemi mentre a noi ciò non è permesso. Alla fine rinunciamo ad ulteriori domande e felicemente entriamo in Uzbekistan. I chilometri che ci separano da Samarcanda sono circa quaranta e li trascorriamo ascoltando ripetutamente la nota canzone di Roberto Vecchioni. Siamo in città attorno a mezzogiorno e dopo aver provveduto all’acquisto di una scheda telefonica uzbeka raggiungiamo il piccolo hotel Legend dove sono alloggiate da tre giorni Alessandra e Giulia, che si uniranno alla Torino-Pechino per la prossima settimana. In realtà le due ragazze toscane erano pronte ad unirsi al nostro viaggio già da quattro giorni, ma il ritardo accumulato in precedenza le ha costrette a visitare Tashkent e Samarcanda con la massima tranquillità. L’incontro tra i valtiberini dispersi nella città metà uzbeka e metà tagika avviene attorno alle 13 dell’ora locale. Subito usiamo il pranzo come briefing per stabilire il da farsi nei prossimi giorni. Poco dopo arrivano Sardorbek e Baktior, persone di fiducia della succursale uzbeka di Fornovo, uno dei principali partner del nostro viaggio. Con loro visitiamo alcune delle attrazioni turistiche di Samarcanda. Alterniamo russo ed inglese per comprendere completamente la storia di questa città che ha molto da raccontare. Notevoli i cambiamenti urbanistici e l’incremento degli aspetti turistici in soli dieci anni. Una delle poche novità di rilievo è il mausoleo di Islom Karimov, primo presidente dell’Uzbekistan indipendente venuto a mancare nel settembre del 2016. Sul suo conto la stampa occidentale non ha mai speso grandi elogi, pur riconoscendo la capacità di fermare qualsiasi deriva islamista della nazione da lui presieduta. Karimov era originario di Samarcanda e figlio di genitori uzbeki e tagiki, ovvero le due componenti etniche principali della città. Dopo un rapido passaggio nei principali monumenti cittadini ci rechiamo in un ristorante caratteristico, il Samarcanda, dove ci aspettano Tolib e Nozjmion, responsabili di Fornovo Uzbekistan, che ci hanno raggiunto apposta dalla capitale Tashkent. Nozjmion fin dall’inizio del viaggio risulta essere uno dei più attivi estimatori della Torino-Pechino 2018 grazie alla propria attività sui social network. Un banchetto di vaste proporzioni caratterizzerà la nostra cena. Tra tutto una lode particolare al vino di produzione locale e alla carne di agnello. Il lauto pasto è l’occasione per concordare la strategia per i prossimi giorni oltre che per scambiare commenti ed idee sullo sviluppo del metano in questo paese. Sono già cinquecento le stazioni di rifornimento dedicate al gas naturale e anche questo è un forte sviluppo avvenuto negli ultimi anni, visto che nel viaggio del 2008 il metano era praticamente assente dal panorama dei carburanti locali. Fornovo è naturalmente in prima linea nella costruzione di stazioni di rifornimento del metano, massicciamente presente nel sottosuolo del paese centroasiatico.
Alla fine del lauto pasto siamo riaccompagnati al nostro alberghetto. C’è il tempo per una passeggiata notturna sotto le mura del Registan, l’attrazione principale della città. Anche qui molto è cambiato negli ultimi dieci anni e tra tutto emerge una grande statua di Islom Karimov. Sperando che il cammino abbia aiutato la nostra complessa digestione proviamo a dormire, visto che già domani ci trasferiremo in un’altra città uzbeka.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– Samarcanda è molto cambiata e non solo per il mausoleo e la statua dedicata al da poco defunto presidente Karimov. Tutti i complessi monumentali sono collegati da un nuovo viale dedicato all’ex presidente. In linea di massima la città ha avuto uno sviluppo turistico decisamente forte.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 69 – Gita tagika

23 agosto 2018, Osh-Panjakent (616 km – tot. 24.731)

Fin dall’inizio della Torino-Pechino il Tagikistan era uno degli obiettivi del viaggio, visto che nel 2008 non riuscimmo a visitarlo. Il ritardo di cinque giorni con il quale siamo arrivati ad Osh non risulta essere l’unico problema. Il valico di confine che volevamo attraversare per entrare in Tagikistan risulta chiuso a non tagiki o kirghisi. Quello spettacolare della strada del Pamir è invece al momento sconsigliato dopo i recenti attacchi terroristi ai danni di turisti stranieri. Rimane quello di Kyzyl-Bel, una remota località della Kirghisia occidentale, in teoria non raggiungibile a causa di una enclave uzbeka nella quale passa la strada di collegamento. Bruciare il nostro unico visto di ingresso uzbeko per questa enclave non vale la pena. Da ieri sera è emersa una novità. Sembra esserci a nord dell’enclave uzbeka di Sokh un nuovo percorso alternativo. A dire il vero le poco precise mappe di Google indicano tre sconfinamenti in Uzbekistan e Tagikistan su questo percorso. Yandex, il “Google russo”, indica invece che tutta la nuova strada è all’interno della Kirghisia. Un ingegnere russo ospite nel nostro stesso albergo ci conferma l’esistenza della strada. Decidiamo di provare questa nuova e rischiosa esperienza. Partiamo dopo la colazione e qualche foto commemorativa della nostra presenza ad Osh. La prima parte del nostro cammino è all’interno dei soliti paesini trasformati in enormi bazar. Questo significa che gran parte del viaggio avviene a passo d’uomo. Un’anomalia al pedale della frizione che tende a rimanere bloccato in posizione attiva ci costringe ad una sosta da un gentilissimo meccanico che non vuole neppure farsi pagare per il ripristino del funzionamento del pedale. A parte i paesini e un tratto di quindici chilometri terribile a causa dei lavori di miglioramento del fondo stradale, il resto del viaggio scorre sulla nuova e confortevole strada che ci era stata segnalata. In effetti il percorso lambisce più volte i confini di stato e proprio per questo, a volte, fa delle curve davvero anomale per evitare sconfinamenti. Nessun rischio di finire nel lato sbagliato visto che blocchi di cemento e filo spinato sono praticamente ovunque. Chi ha disegnato i confini delle repubbliche sovietiche doveva non avere in simpatia il Kirghizistan. È evidente che tutte le zone fertili delle vallate che tocchiamo sono sotto la bandiera uzbeka, mentre le parti aride sono tutte per Bishkek. A proposito di enclavi uzbeke, possiamo notare nella zona dove il confine è più confuso una miriade di pozzi di petrolio. Questa ricchezza sicuramente non aiuta ad accordarsi sulle parti contese della linea di demarcazione.

Nessuna indicazione per trovare la stazione di frontiera che stiamo cercando. Alla fine chiediamo alla polizia che ci indica la giusta direzione. Le strutture doganali appaiono squallide e semiabbandonate. Nessuna fila in dogana e il cancello in ferro si apre solo per noi. Lato kirghiso molto veloce con solo la richiesta di denaro per la tassa ecologica. Paghiamo i circa 1000 sum (più o meno 13 euro) con quindici euro, dei quali non avremo mai il resto. Ottimo l’umore dei doganieri tagiki. Tutti sorridenti e simpatici mentre controllano l’auto, il visto e naturalmente anche qui una tassa ecologica di ben 25 dollari. Stavolta il resto ci viene dato in moneta locale dopo che avevamo usato una banconota da 50 verdoni. La qualità delle strade tagike è sorprendente: sono nastri d’asfalto impeccabili se non per il fatto che non si trova neppure un cartello. La polizia però è ovunque e come quella kirghisa non ferma mai gli stranieri. Sembra una decisione imposta dall’alto quella di non disturbare i turisti, esattamente l’opposto di quello che avveniva in passato. Noi però ci fermiamo volontariamente ad ogni posto di blocco per avere la conferma della direzione nella quale stiamo andando. Ad ogni sosta ci viene elargita una stretta di mano da entrambi i membri della pattuglia. Proviamo a consumare i nostri “somoni” tagiki presso un ristorante lungo la strada che porta a Dushanbe. Come al solito il suino Bruno, non amato dagli islamici, rimane in auto a mangiare le ghiande kirghise mentre Guido siede da solo al proprio tavolo. Un camionista e due altri viaggiatori invitano Guido a sedersi vicino a loro per raccontare il viaggio che sta facendo. I tagiki sono molto ospitali e tutto il cibo del tavolo viene diviso tra tutti i presenti. Il conto sarà pagato da loro in cambio di un piccolo passaggio di un chilometro al paese vicino per uno dei commensali. La penuria di cartelli continua e trovare la dogana di Nov-Bekobod per raggiungere l’Uzbekistan diventa una vera impresa. Alla fine arriviamo alla stazione di frontiera, ma il cancello per noi non si apre. Trattasi di dogana pedonale e se vogliamo passare in auto c’è un punto di passaggio a sessanta chilometri a nord-est, cosa che allungherebbe la strada per Samarcanda. Tra l’altro la strada che dovremmo percorrere è sterrata. Ci pensiamo un attimo e poi torniamo sulla ottima strada per Dushambe che porta anche all’altra dogana verso l’Uzbekistan. In questo tratto è previsto un piccolo valico montano di quasi 3.400 metri. La saggezza impone di fermarsi in un albergo e aspettare il mattino, ma con nostro dispiacere scopriamo che in Tagikistan, oltre ai cartelli stradali, mancano del tutto le strutture ricettive lungo le strade. Le prossime città con alberghi sono Panjakent o la capitale Dushanbe. Entrambe sono a circa duecento chilometri da noi. Si parte, consapevoli che faremo una lunga parte di strada, per fortuna ottima, con il buio. La salita verso il valico è molto diversa dalle asperità affrontate in Kirghizistan. Anche qui la strada sale con pendenze disumane e con pochissime curve sempre a largo raggio, ma il panorama è molto meno alpino. Si arriva ai tremila metri con grande facilità e quasi senza accorgersene. Come ieri si supera il valico all’interno di una lunga e fumosa galleria. Peccato che l’oscurità impedisca di dedicarci alle fotografie del paesaggio, ma visto che la discesa è senza parapetti su burroni che conducono direttamente all’inferno, forse è meglio non vedere… Sulla sinistra i massi che si staccano dalla montagna, sulla destra il nulla. Procedere a passo lento e in fila dietro ad altre macchine diventa una necessità per avere punti di riferimento nell’oscurità. Tornati a valle si raggiunge con massima tranquillità la cittadina di frontiera di Panjakent, dove dormiamo all’hotel Umarion su consiglio del camionista con cui avevamo mangiato a pranzo. Piccola cena in un locale vicino dove, come quasi ovunque, non si servono alcolici. La passeggiata serale avviene tra tanti manifesti improbabili del Presidente tagiko Emomali Rahmon, in carica ininterrotamente dal 1994 e protagonista di quasi tutte le immagini ammirate nelle centinaia di chilometri di strada percorsa oggi.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La Kirghisia ha costruito una bella rete stradale per saltare tutte le anomalie di confine che rendeva molto complesso il viaggio da un luogo all’altro.

– Il Tagikistan fa pagare continuamente piccoli pedaggi stradali, ma ha le strade di gran lunga migliori dell’ex Unione Sovietica.

– La polizia di queste due nazioni non ferma mai gli stranieri. Dieci anni fa era lo sport preferito.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 68 – Kirghisia “coast to coast”

22 agosto 2018, Bishkek-Osh (655 km. – tot. 24.115)

Partenza prima delle sette per fare in modo di arrivare ad Osh, dall’altra parte del Paese, prima che faccia buio. Nessun problema per uscire dal traffico cittadino visto che la maggior parte degli automobilisti sta entrando nella capitale mentre noi ne usciamo. Manca del tutto la segnaletica che ci possa aiutare a capire la direzione giusta e siamo costretti ad affidarci all’intuito e chiedere conferma ai passanti. Una volta fuori da Bishkek, dopo aver sbagliato almeno due volte strada, imbocchiamo quella giusta, come conferma il pedaggio di quasi cinque euro che ci viene chiesto per percorrere questa strada speciale. La particolarità di questo percorso è la presenza di due valichi montani di 3.300 metri e 3.200. La strada è aperta tutto l’anno ed è anche in buone condizioni! L’inizio del percorso è spettacolare, dato che si affrontano subito dei tratti in salita costante al 12%. Pochissimi i tornanti, piuttosto ci sono lunghe curve a largo raggio per favorire il traffico dei camion. Si risale prima la valle del fiume Kara-Balta e poi quella di un suo affluente, l’Abla. Ogni cambio di direzione corrisponde ad un nuovo panorama, ma la parte più spettacolare è il passaggio sopra le nuvole. Il finale è costituito da una stretta galleria di tre chilometri completamente satura di smog. Sull’altro versante scopriamo numerosi villaggi fatti delle tipiche tende, le yurte, i cui abitanti, oltre a controllare i pascoli, gestiscono attività di vendita e degustazione di prodotti tipici, ristorantini e addirittura alberghi nelle tende. Il sole illumina le vallate e regala colori molto vivaci. Se nella prima salita predominava il rosso della pietra, ora è il verde dei pascoli a fare da cornice.

Nella cima della seconda salita incontriamo Valentina, una ciclista italiana che ci chiama riconoscendo la targa familiare dell’Hilux. È di origine trentina e sta tornando in Italia direttamente dal Vietnam. Percorre in circa due anni l’intera Eurasia in bicicletta, quasi sempre in solitaria. Ci fermiamo alcuni minuti a parlare delle rispettive avventure, ma la sua è davvero più ecologica della nostra! Sia per Valentina che per noi comincia una lunga discesa di oltre cinquanta chilometri che ci riporta ad altezze moderate, con temperature che ritornano sopra i 30°. La seconda parte di strada è meno bella dal punto di vista naturalistico, ma interessante da quello energetico. Una serie di centrali idroelettriche sul fiume Naryn creano alcuni laghi artificiali di un azzurro molto forte a contrasto con il rosso e il marrone delle rocce attorno. La strada sale e scende attorno ai laghi e alle dighe fino al secondo punto di pedaggio, dove paghiamo altri quasi cinque euro. Impressionante vedere la differenza tra le zone verdissime nei pressi dell’acqua e tutto il resto decisamente arido.

Lasciato il fiume, la strada compie una serie di deviazioni innaturali a causa del confine con l’Uzbekistan, che costeggia l’asfalto. Siamo nella Valle di Fergana, uno dei puzzle geopolitici più complessi al mondo. Ai tempi dell’Unione Sovietica la strada entrava e usciva più volte dai due stati federati senza creare problemi a nessuno. Oggi per raggiungere Osh, a causa del confine, ci sono tre modifiche del percorso che allungano il cammino di circa centoventi chilometri. Assai curioso vedere come i fatti del 1991 abbiano diviso queste popolazioni lasciando in Kirghizistan una cospicua minoranza uzbeka e viceversa. A complicare il quadro ci sono anche numerose comunità tagike con lo stesso problema e separate dai connazionali da questo folle confine nel quale, come vedremo domani, ci sono anche numerose enclavi. Non è un caso che nella uzbeka Andjan e nella kirghisa Osh negli scorsi anni siano scoppiate rivolte che hanno portato a diversi sanguinosi scontri tra le due popolazioni. Il confine tra Kirghizistan e Uzbekistan è stato ufficialmente riaperto da pochi mesi e il nuovo presidente uzbeko sta cercando di accordarsi con i kirghisi per la definizione del pazzo confine.

L’ultima parte del viaggio ci vede attraversare una miriade di paesini pericolosissimi dove bambini, animali, guidatori indisciplinati mettono a dura prova la nostra pazienza. Procediamo con cautela anche a causa del fatto che qui non esiste l’assicurazione per l’auto e quindi ogni eventuale danno procurato o subito potrebbe generare grossi problemi. Poco prima di Osh superiamo il Kara-Darya, che pochi chilometri a valle, unendosi al già citato Naryn, crea il Syr-Darya, uno degli emissari del lago d’Aral. Il cospicuo prelievo d’acqua per le coltivazioni di cotone in Uzbekistan impedisce in molte annate al fiume di raggiungere ciò che resta del lago, contribuendo ad un disastro ambientale in atto da decenni.

Dopo tredici ore di viaggio, praticamente al tramonto, siamo finalmente ad Osh. Il traffico cittadino è quello tipico di una città araba con grande caos lungo le strade strapiene di negozi di ogni genere. Siamo alloggiati all’hotel Osh-Nuru, un residuo di epoca sovietica elegante e centrale. Infatti raggiungere a piedi la piazza principale con la relativa statua di Lenin è questione di pochi minuti. Questa sera ceniamo in un locale alla moda dove dopo le 22 comincia anche uno scatenato ballo tra i clienti. Il piatto tipico di Osh è la “samsa”, un impasto a forma triangolare con dentro di tutto. La proviamo ancora una volta con gusto pur conoscendo già di cosa si tratta.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– È stato riaperto il confine tra Uzbekistan e Kirghizistan. Se questo non fosse avvenuto alcuni mesi fa, adesso saremmo in un vicolo cieco dal quale sarebbe difficile uscire.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 67 – Festa a Biškek

21 agosto 2018, Bishkek (20 km, tot. 23.460)

La mattinata viene dedicata al turismo nella capitale kirghisa. Approfittando del deserto urbano motivato dalla ricorrenza islamica della “Festa del Sacrificio”, in centro non c’è quasi anima viva. Scattiamo foto nelle principali attrazioni cittadine che si concentrano essenzialmente nei pressi di Piazza Ala-Too. Al contrario di quello che succede in altre repubbliche post sovietiche, qui sopravvive una grande statua di Lenin. Riusciamo anche a procurarci una carta telefonica kirghisa, delle cartoline con francobolli alla posta centrale e una mappa della città e della nazione prodotta in occasione dei prossimi campionati mondiali di giochi nomadi che si svolgeranno in Kirghizistan. Una delle cose che più colpisce è la presenza di numerosi fiori ottimamente curati.

Passaggio dall’albergo e poi percorriamo i circa dieci chilometri che ci separano dalla stazione del metano Gazprom dove oggi saremo ospiti di un evento da loro organizzato. Lungo la strada ci sono numerosi negozi che si occupano di cambio di olio per auto. È impressionante che ognuna di queste strutture abbia tutte le marche possibili sia in taniche che in fusti da centinaia di litri. Bishkek sembrerebbe la capitale mondiale dell’olio per motore! Anche per questo scegliamo di fermarci al negozio Castrol 219, fornito anche di olio Toyota. Qui conosciamo i simpatici Rasul e Bakut che si occupano di cambiare olio e filtro, quest’ultimo non richiesto ma regalato da loro, alla Toyota Hilux. Dopo 34.000 chilometri è arrivato il momento di intervenire. Durante le operazioni di manutenzione, arriva un furgone che scarica una preziosa merce per questa giornata: la pecora, per la quale è prevista una fine non ottima, considerato la già ricordata tipologia di festività odierna. Altre persone arrivano dalle attività dei dintorni per assistere a quello che sembra essere un evento eccitante. Veniamo invitati a partecipare, ma per rispetto del loro momento di preghiera restiamo defilati dalla scena principale. Bruno, essendo un suino, non è ammesso all’evento, ma per Guido è stato riservato un posto d’onore in prima fila perché l’ospite è sacro anche in queste occasioni. La scena del lavaggio del coltello e del successivo sgozzamento della pecora è davvero cruenta, anche se siamo sollevati nel vedere che l’animale muore all’istante. Un signore anziano che percepisce la non serenità di Guido nell’assistere all’evento, con la propria saggezza ricorda che quell’animale è nato per essere ucciso e mangiato. Se non fosse stato oggi, sarebbe successo domani. Per fortuna che il cambio di olio si conclude prima del sezionamento della povera bestia e così Guido evita di doverne mangiare una parte.

Poco più avanti, senza montone, si consuma un veloce pasto per non arrivare in ritardo dagli amici di Gazprom. Finalmente avviene l’incontro di cui abbiamo discusso in numerose chat in giro per l’Eurasia. Per Gazprom Kirghizistan sono presenti il responsabile Ruslanbek e i curatori delle pubbliche relazioni Alibek e Karimbek. Di fronte a un cartellone con le scritte degli sponsor locali facciamo numerose foto, video e anche difficili interviste in russo! Naturalmente non manca il rifornimento gratuito offerto dalla Gazprom locale. Come in ogni bella occasione l’evento si conclude alla tavola di un ristorante nei pressi del confine kazako. I piatti nazionali kirghisi sono a base di cavallo e non ci sottraiamo alla cosa. Si parla del viaggio e delle strategie di Gazprom in Kirghizistan. Non manca l’idea di realizzare in futuro un altro viaggio dedicato solo ai cinque paesi dell’Asia Centrale. Ritorniamo nella capitale dove non avevamo previsto di dormire una seconda notte, ma vista la stanchezza accumulata nei due pranzi non si può fare a meno di riprendere un stanza di albergo per riposare nel modo migliore in vista della difficile giornata in alta montagna che domani ci porterà ad Osh. Causa tutto esaurito migriamo in un’altra struttura dello stesso quartiere. Nel centro cittadino, che oggi vive un grande clima di festa, avviene una passeggiata propedeutica alla leggerissima cena di nuovo al Concorde, il locale nella piazza principale dove avevamo cenato anche ieri. Citiamo questo ristorante perché il personale di sala ci ha accolto per due sere con una gentilezza e amicizia davvero sopra ad ogni aspettativa. Ci chiedono una foto prima del saluto definitivo di questa sera. Con il numero incredibile di pasti consumati quest’oggi abbiamo senza ombra di dubbio onorato tutte le tradizioni legate alla festa musulmana a cui abbiamo di fatto preso parte.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– In Kirghizistan non c’erano stazioni di metano. Oggi ne possiamo trovare cinque.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale e gli amici di Gazprom Kirghizistan

Giorno 66 – Arrivo in Kirghizistan

20 agosto 2018, Almaty-Bishkek (264 km – tot. 23.440)

Anche al mattino all’hotel Turkestan manca l’acqua calda. Per la seconda volta in poche ore sarà quella fredda a curare la nostra igiene. Poco importa visto che la giornata rimarrà quasi per intero attorno ai 38° di temperatura. Dopo la colazione facciamo una passeggiata diurna nei pressi dell’albergo. Uno sguardo al mercato agricolo all’interno del bazar verde per poi proseguire fino al Parco Panfilov. Qui c’è un imponente memoriale dedicato a ventotto soldati dell’Armata Rossa di provienienza kazaka e kirghisa che riuscirono a rallentare l’avanzata tedesca nei pressi di Mosca nel 1941. La loro storia è molto popolare in tutti i paesi dell’ex Urss. Sempre in questo parco sorge la bella Cattedrale dell’Ascensione che ha la particolarità di essere tutta in legno, chiodi compresi.

Lasciamo il centro cittadino per effettuare un pieno di metano in una delle stazioni che riforniscono gli autobus della città, che sono tutti a metano o elettrici. Sebbene in questa stazione non ci conoscesero, l’accoglienza è sempre di livello molto elevato e non ci sottraiamo alle ormai consuete foto di gruppo.

Rispetto a dieci anni fa notiamo che la città ha avuto un grande boom urbanistico che ne ha cambiato buona parte dei connotati, soprattutto le zone attorno al centro, che nel 1887 era stato devastato da un terremoto che aveva lasciato in piedi solo la già citata cattedrale in legno.

Giunge l’ora di lasciare la viva e piacevole Almaty percorrendo la trafficatissima tangenziale che ci porta all’inizio della grande strada che conduce nell’ovest del Paese e naturalmente anche a Bishkek, non lontano obiettivo di giornata. È molto in uso l’abitudine di chiedere passaggi lungo le principali strade e in quella che parte verso Bishkek c’è quasi una stazione per l’autostop, visto che ci sono almeno trecento persone intente a chiedere passaggi. Oltre questo ci colpiscono le angurie giganti presenti in centinaia di bancarelle lungo la stessa strada. Tra la frutta e i pedoni diventa davvero complesso uscire dalla città.

Veloce pranzo lungo il tragitto e i circa duecento chilometri che ci separano del confine volano in poco tempo grazie alla strada costruita negli ultimi anni. Korday è la città di confine e la propria economia è tutta dedicata a cambio di valuta, distributori di benzina, tassisti, piccoli market e tutto ciò che potete immaginare a livello di commercio, dai divani alle auto. Le due stazioni doganali sono ai due lati del piccolo fiume Cu e ci sorprende il fatto di non trovare file significative. In effetti le operazioni sul lato kazako sono piuttosto veloci, ma quelle kirghise ci sorprendono ancora di più visto che si limitano al timbro sul passaporto e null’altro. La gentilezza dei doganieri è impressionante e le uniche domande che ci vengono fatte sono relative alla Juventus e Cristiano Ronaldo a causa del nome di Torino che portiamo scritto sull’auto. Chiediamo notizie sull’assicurazione per l’auto e ci viene risposto che non è necessaria. Oltre il confine c’è un posto di blocco della polizia. Anche qui facciamo presente di non avere una assicurazione valida per il Kirghizistan e con un sorriso ci dicono che nessuno ha l’assicurazione in questo paese.

Percorrendo i circa venti chilometri che ci separano dalla capitale troviamo il distributore di metano Gazprom dove domani avremo un incontro con i nostri partners kirghisi.

Notiamo molti richiami all’Unione Euroasiatica, il soggetto economico e forse a breve anche doganale che unisce Kirghizistan, Kazakistan, Russia, Bielorussia e Armenia, una sorta di Unione Sovietica in miniatura. Prendiamo alloggio presso l’Astor Hotel, veramente difficile da trovare senza un navigatore satellitare. Arrivati nella strada dove pensavamo che fosse troviamo al suo posto una medressa. Dalla scuola islamica escono dei barbuti seguaci di Maometto che gentilmente ci aiutano a rintracciare la struttura, ubicata proprio sotto la torre della televisione, una panacea dal punto di vista delle emissioni elettromagnetiche. La Hilux suscita curiosità e non mancano le domande da parte degli altri clienti dell’hotel. Approfittando dei pochi minuti di luce rimasta tentiamo una sortita in centro dove facciamo in tempo a vedere alcune delle attrattive principali dove torneremo domani mattina. Dopo giorni di scarsi pasti ci concediamo una lussuosa cena con vista sulla piazza Ala-Too, l’animato cuore pulsante di Bishkek. L’architettura cittadina rispecchia molto lo stile sovietico con delle personalizzazioni kirghise che non rovibano l’effetto complessivo.
Il rientro in albergo avviene ad ora non tardiva per favorire il meritato riposo.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La principale strada che collegava Almaty a Bishkek era in realtà una strada sovietica che ignorando quelli che sarebbero diventati i futuri confini tra stati sovrani collegava est e ovest del Kazakistan attraversando la capitale kirghisa. Oggi i kazaki hanno costruito una grande strada che evita da nord il problema. Non si trova più traccia nei nuovi atlanti o nei navigatori satellitari della vecchia strada.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 65 – Alle falde del Pamir

19 agosto 2018, Usharal-Almaty (558 km – tot. 23.176)

La luce mattutina entra troppo presto attraverso le tende nella nostra camera, e alle otto ci ritroviamo per una colazione collettiva con i due equipaggi del Mongol Rally che dormono nel nostro stesso albergo. Espletato l’aspetto nutritivo si passa alle foto commemorative dell’incontro che è servito a rendere meno monotono il sabato sera a Usharal. Loro partono verso nord, Bruno e Guido vanno a sud. Usharal nel mondo post sovietico è nota per un terribile episodio di cronaca avvenuto nel 2012. In una postazione militare posta tra Usharal e il confine cinese furono trovati morti 14 militari e un cacciatore. In un primo momento fu difficile comprendere le dinamiche del fatto, ma successivamente emerse una possibile verità, secondo cui un commilitone non in servizio avrebbe compiuto la strage per vendicare episodi di nonnismo e di discriminazione etnica, essendo l’unico russo nella guarnigione kazaka. La versione ufficiale dei fatti è stata cambiata più volte, e il militare è al momento in carcere.

La marcia mattutina non procede spedita a causa delle condizioni non eccellenti delle strade. L’asfalto c’è sempre, ma spesso è in condizioni tali da rischiare di distruggere cerchi e sospensioni. Poco oltre la città di Sarkand, ottimizzando il tempo si provvede a cibarsi e ad effettuare il necessario lavaggio alla sempre più sporca Toyota Hilux.

Superata la grande città di Taldiqorgan comincia una ottima quattro corsie che permette di tenere buone velocità. In lontananza si cominciano a vedere le innevate montagne del Pamir, dove alcune vette superano i cinquemila metri. Proprio dal Pamir scendono i fiumi e i torrenti, in questo periodo colmi di acqua, che portano vitalità alla terra che passa dall’aridità della steppa al verde delle coltivazioni agricole.

La macchina pulita non poteva che essere benedetta da pioggia e grandine poco prima di entrare ad Almaty. Va a vuoto un tentativo di rifornirsi di metano dato che il distributore che ci era stato segnalato in realtà vende gpl. Decidiamo di rinviare l’operazione al giorno successivo consapevoli che il metano si troverà visto l’enorme numero di bus a gas naturale che percorrono le strade cittadine. Nel frattempo con il pieno di Barnaul abbiamo raggiunto l’incredibile cifra di 1476 chilometri, migliorando di molto il precedente record. I fattori che hanno aiutato la prestazione sono, oltre l’ottimo metano russo, la bassa velocità tenuta nella parte kazaka del viaggio e un minor numero di chilogrammi tra bagaglio e passeggeri rispetto al viaggio di andata.

Nella Torino-Pechino 2008 approdammo, proprio in questa settimana, all’hotel Turkestan di Almaty. Tentiamo con successo di rinnovare la tradizione e per pochi tenghe prendiamo anche questa volta una stanza in questo centrale albergo davanti al popolare “mercato verde” dedicato ai prodotti ortofrutticoli. La città ha conservato una grande vivacità nonostante la perdita dello status di capitale e lo svuotamento di tutti i ministeri prontamente recuperati con altre funzioni. Ceniamo in una “stolovaja” di epoca sovietica e passeggiamo lungo la “Nazarbayeva”, una delle vie centrali della città che porta il nome del presidente in carica, quindi non defunto, del Kazakistan. Il primo e unico presidente di questa nazione è in carica dai tempi dell’Unione Sovietica e apparentemente, visti i risultati elettorali in cui pure gli avversari dichiarano di votarlo, sembra che goda di un vasto appoggio popolare.

Il rientro in albergo avviene in taxi e il tutto porta ad una curiosa gag. Anche il tassista è un fan del commissario Cattani e chiede chiarimenti sul fatto che la Sicilia sia un’isola oppure no. Spieghiamo che è un’isola separata dal resto dell’Italia da pochi chilometri. A questo punto il tassista chiede perché non sia mai stato fatto un ponte tra Sicilia ed Italia per poi correggersi e dire che in fondo, visto quello che è successo a Genova, è meglio così. La triste storia del ponte ligure contribuisce ulteriormente a rovinare l’immagine dell’Italia nel mondo, lo conferma anche un tassista qualsiasi kazako. Con questa amara considerazione possiamo andare a letto.

Cosa è cambiato nel mondo in dieci anni?

– Almaty, nonostante non sia più la capitale del Kazakistan, continua ad essere un polo di attrazione economica importantissimo. La città in dieci anni si è notevolmente estesa e la popolazione ha superato i due milioni di abitanti; considerando i sobborghi e i molti irregolari si arriva anche a tre milioni.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 64 – Nella steppa kazaka

18 agosto 2018, Semej-Usharal (575 km – tot. 22.618)

La sveglia e la conseguente colazione avvengono più tardi del solito per recuperare la stanchezza della giornata precedente. Curiosamente in sala da pranzo ci sono gli stessi tre individui che avevamo lasciato a tarda notte della sera precedente mentre bevevano più bottiglie di vodka. Il tavolo dove sono posizionati è lo stesso e l’entusiasmo con il quale uno di loro ci ricorda che la Juventus con Cristiano Ronaldo sarà imbattibile ci fa dedurre che non abbiano ancora dormito. Prima di lasciare Semej ci occupiamo di cambiare denaro e di procurarci una sim card kazaka. L’idea iniziale di lavare la macchina viene rinviata a possibile attività contemporanea al pranzo. Semej, in russo Semipalatynsk, è stata per quarant’anni una città chiusa agli stranieri. Non lontano sorgeva il poligono nucleare dove l’Unione Sovietica sperimentava il proprio arsenale. Si racconta che nei primi anni gli scoppi avvenivano in superficie contaminando la zona circostante e causando numerosi problemi alla salute di uomini e animali. L’attività del poligono è cessata nel 1989, ma la fama di questa città non è lontana da quella di Chernobyl.

Appena imbocchiamo la strada per Almaty, e per il sud della nazione, siamo fermati da una pattuglia della polizia per un normale controllo. Come già accaduto in passato riemerge il tormentone legato al Commissario Corrado Cattani e la fortunata serie televisiva “La Piovra”. I simpatici poliziotti citano molti dei personaggi della fiction e chiedono se Michele Placido sia ancora vivo. Interessante il fatto che abbiano collegato la tragedia del ponte di Genova alla corruzione negli appalti legata alla mafia. Naturalmente non facciamo nostre queste opinioni, ma visto che arrivano dalla polizia kazaka, può darsi che loro sappiano qualcosa in più…

La prima parte della strada di oggi non è pessima, un asfalto non sempre ottimo ma senza buche o avvallamenti. Attorno a noi la steppa kazaka che caratterizzerà la nostra giornata. Oltre ai pochi e malmessi villaggi, possiamo ammirare numerosi cimiteri islamici con tombe di famiglia che sembrano palazzi in stile barocco e vecchi sovkoz abbandonati. In una deviazione stradale attraversiamo un piccolo villaggio abitato ma in completa decadenza. All’inizio del paesino, un cartellone con il Presidente Nuzarbajev ci ricorda il “Piano 2050” che porterà prosperità all’intero Kazakistan. Per ora basterebbe un poco di asfalto per non uccidere di polvere gli abitanti di questo gruppo di case.

Dopo la pausa pranzo avvenuta in un luogo sperduto e senza nome, riprendiamo il viaggio con la strada in netto peggioramento. Arrivando dalle piste mongole tutto sommato l’asfalto deforme kazako ci sembra una cosa bella. Alle sei del pomeriggio dobbiamo decidere se fermarci o percorrere altri duecento chilometri prima della prossima città dove poter alloggiare. Andiamo avanti con la consapevolezza che finiremo di viaggiare dopo il tramonto. La luce nelle ultime ore del giorno, qui nella steppa, è molto bella. Purtroppo con la scomparsa del sole la strada peggiora notevolmente e dopo aver centrato alcune buche senza danni apparenti, siamo costretti a scendere ad una andatura attorno ai trenta orari. Tanto per cambiare gli ultimi chilometri diventano un calvario a cui fatichiamo ad abituarci. Finalmente arriviamo ad Usharal, pochi chilometri fuori dal nostro itinerario. Qui, scovato via internet, c’è il mediocre hotel Kabanbay che ci ospiterà per la notte. Nel parcheggio del ristorante a fianco della struttura ci sono una Marbella e una Fiat Uno con targa italiana con tre italiani e uno svizzero ticinese. Si tratta di due uomini, Fabio e Marco, e due donne, Giuditta e Paola, impegnati nel Mongol Rally, con cui abbiamo la possibilità di trascorrere la serata scambiando finalmente due chiacchiere nella lingua di Dante. Vengono da Almaty e quindi siamo reciprocamente utili per scambiarci informazioni sulle rispettive strade da fare. Più tardi del solito saliamo nelle nostra camere per dormire e ricaricare le pile per la giornata di domani.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Nel 2008 in ogni città si potevano osservare cartelli del “Piano 2030”, un ambizioso progetto del presidente kazako Nursultan Nazarbajev destinato a trasformare il Kazakistan in un luogo ricco e prosperoso entro quell’anno. Dieci anni dopo gli stessi cartelli parlano di “Piano 2050”!

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 63 – Discesa a valle

17 agosto 2018, Karakol-Semej (884 km – tot. 22.043)

La temperatura mattutina quando andiamo ad usare i servizi igenici nel campo dietro casa è attorno ai sei gradi. Per fortuna l’acqua è calda e assieme alla piacevole colazione ci permette di iniziare con la marcia giusta la giornata. Se vogliamo uscire dalla Russia entro sera è necessario trascorrere molte ore per strada. La P-256 “Chujskij Trakt” oggi ci offre un panorama meno spettacolare ma senz’altro vivace. Non mancano le strutture ricettive, i locali dove mangiare e le tante bancarelle di prodotti tipici dell’Altaj. Contrariamente ad altre zone della Russia troviamo numerosi cartelli in lingua inglese che indicano i luoghi di interesse turistico.

Arrivati a Gorno-Altajsk, capoluogo della Repubblica degli Altaj, possiamo finalmente fare un nuovo rifornimento di metano in una stazione Gazprom. Siamo accolti con simpatia da Aleksej, l’addetto al rifornimento, che chiede di fare foto assieme. Come è risaputo, Bruno abitualmente non può guidare, e in questa giornata Guido accusa la stanchezza accumulata finora. Il poco sonno e la tensione delle giornate precedenti emergono tutti assieme e solo un bel pranzo liberatorio, assieme alla notizia che la dogana di oggi non chiude di notte, riescono a far recuperare energie fisiche e morali. Ancora altri chilometri ed eccoci a Barnaul, capoluogo del Territorio degli Altaj, un soggetto federale diverso dalla Repubblica citata in precedenza. Ormai siamo in pianura e le temperature superano abbondantemente i trenta gradi, candidando la giornata odierna al record di escursione termica tra la mattina e il pomeriggio. Barnaul appare come una città molto vivace, attraversata dall’Ob come la vicina Novosibirsk. Qui facciamo un secondo rifornimento di metano presso un’altra stazione Gazprom. Naturalmente non ci sono problemi di autonomia, ma decidiamo di rabboccare il prezioso gas e di fare visita anche a questa stazione di rifornimento. Da Gorno-Altajsk avevano avvisato del nostro arrivo e quindi troviamo Anna, Igor e il responsabile Michail pronti ad accoglierci e a farci la consueta carrellata di fotografie.

Nel traffico cittadino perdiamo quasi un’ora che cerchiamo di recuparare aumentando il ritmo nei poco oltre trecento chilometri che ci separano dalla frontiera con il Kazakistan. Le montagne restano solo un ricordo dato che siamo circondati da grano e girasoli.
La dogana di Veselojarsk appare davvero malmessa e vecchia. Nella copertura del padiglione del controllo auto c’è una scritta che definisce questo luogo la “porta dell’Asia”. La fatiscenza della struttura non è giustificabile visto che Russia e Kazakistan sono separati solo dalla fine del 1991 e quindi le strutture non dovrebbero apparire in queste condizioni. In ogni caso l’organizzazione è buona e tutto sommato in meno di tre ore siamo fuori dalla Russia. Durante l’attesa, bloccati per circa mezz’ora tra le due dogane, ci è capitato di parlare con alcuni russi in coda che elargivano parole poco carine nei confronti di Eltsin e Gorbaciov, corresponsabili dello sfascio dell’Unione Sovietica e della nascita di questa e altre centinaia di dogane. Di fatto un tempo questa frontiera non esisteva e passare da una parte all’altra era come andare dalla Toscana all’Umbria.

Ormai è notte quando comincia il viaggio sulla strada kazaka, intervallato da una lunga sosta per fare l’assicurazione auto obbligatoria, con il funzionario che sbaglia i dati anagrafici di Guido e dell’auto almeno tre volte. Il primo albergo dovrebbe essere a circa ottanta chilometri dal posto di confine. La strada è decente, senza buche ma con difficoltà nella notte a stabilire i limiti della carreggiata, oltre i soliti attraversamenti di animali stavolta di piccola taglia. I pochi villaggi che attraversiamo non hanno alcuna forma di illuminazione pubblica. L’albergo segnalato è pessimo, decadente e sporco e a questo punto facciamo altri trenta chilometri alla ricerca di qualcosa di migliore a Semej, più conosciuta con il nome russo di Semipalatynsk. Qui dopo alcuni minuti di ricerca troviamo il semilussuoso “Golden Plaza”, che oltre la prevista fornitura di una stanza per dodici ore ci permette di cenare a mezzanotte inoltrata.

Cosa è cambiato in dieci anni?

– Incredibilmente il prezzo delle assicurazioni temporanee per le auto in Russia e in Kazakistan è diminuito. In parte questo è dovuto alla svalutazione delle due monete, ma complessivamente i prezzi sono davvero molto più bassi

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 62 – Un giorno in dogana

Olgij-Karakol (km. 437) – Tot. 21.159

Il vetusto e decadente hotel Duman offre una colazione modesta, ma che si rivelerà molto importante nel corso della giornata. Finiamo i tugrik mongoli con un pieno di gasolio a prezzo conveniente e partiamo verso il confine russo-mongolo. I primi settanta chilometri sono asfaltati e gli ultimi trenta sono pessimi. Dobbiamo essere prudenti vista l’assenza della ruota di scorta. Arriviamo al piccolissimo paese di Ulaan Baishint qualche minuto prima dell’apertura della dogana prevista per le 9.30. Siamo la quarta auto e c’è cauto ottimismo sulle tempistiche. In effetti il controllo doganale sul lato mongolo avviene in tempi rapidi nonostante sia ostacolato da una mandria di mucche che non vuole liberare il piazzale della postazione doganale. Da qui si percorrono altri nove chilometri di pista per arrivare ad un cancello chiuso dove un soldato russo è di guardia. Questo è il vero e proprio punto di confine e quando si accumulano due o tre veicoli viene aperto il cancello. Siamo in altura: anche se ignoriamo l’esatta altitudine, ci troviamo oltre i duemila metri. Nella parte russa ricomincia l’asfalto e dopo poco meno di venti chilometri arriviamo al punto di controllo russo, presso il villaggio di Tashanta, dove trascorreremo piacevolmente circa quattro ore. Le ispezioni passano veloci, il problema dove la fila si blocca è solamente burocratico. Gli addetti ai documenti relativi alle auto non russe lavorano molto lentamente. I russi, che non hanno bisogno di questo documento, passano senza problemi. Noi, gli altri europei e i mongoli siamo in attesa del nostro turno. Finalmente nel primo pomeriggio arriva una seconda addetta a questa procedura che decide deliberatamente di occuparsi dei quattro mezzi europei. Oltre a noi ci sono: il tedesco Jonas con la moglie e la bimba di dieci mesi con cui avevamo trascorso del tempo a Krasnojarsk un mese fa, Vlad il motociclista polacco entrato con noi in Mongolia dal confine di Khiakta e due coniugi francesi, Caroline e Christian, con un camion tipo quelli della Parigi-Dakar. Molti europei sono in fila anche sull’altro lato, per entrare in Mongolia, e sono quasi tutti equipaggi del Mongol Rally. Tra i tanti notiamo una panda italiana alla quale forniamo indicazioni sulle problematiche stradali in Mongolia. Uno dopo l’altro riusciamo a passare il confine e dopo circa trenta chilometri, presso il paesone di Kos Agac, ci fermiamo tutti senza esserci accordati nello stesso kafè per un frugale e necessario pasto. Seguono le foto commemorative dell’evento.

Per la Toyota Hilux incombe l’esigenza di riparare la gomma forata e tentare il lavaggio del veicolo ormai irriconoscibile. In dogana abbiamo dovuto almeno pulire dalla polvere le targhe e i fari. A tal proposito è molto interessante il fatto che il furgone di Jonas, nonostante abbia perso la targa, sia passato in dogana senza alcun problema. Sempre a Kos Agac troviamo uno “shinomontazh” (gommista) che si occupa di accomodare la ruota e di rimetterla al proprio posto. Il prezzo è davvero economico al punto che converrebbe venire qui a fare questo tipo di lavori!

Siamo sorpresi dalla bellezza della Repubblica degli Altaj, di cui in effetti avevamo sentito parlare molto bene da amici russi. La zona è popolata dall’etnia che dà il nome alla Repubblica, da russi e da kazaki. La strada segue per molti chilometri un altopiano prima di gettarsi nella valle di un fiume che chilometro dopo chilometro aumenta di portata, ingrossato dalla nevi ancora presenti nei monti attorno a noi. Capiamo che la lunga sosta in dogana non ci permetterà di raggiungere il capoluogo Gorno-Altajsk che doveva essere l’obiettivo di giornata per tentare di entrare in Kazakistan già domani. Anche il tramonto è davvero bello in questo scenario montano. L’oscurità rallenta ulteriormente la nostra marcia, visto che per ben due volte rischiamo di scontrarci con dei cavalli a passeggio lungo la strada. Proprio per questo decidiamo di sostare in una specie di camping nel microscopico villaggio di Karakol, circa dieci chilometri dopo la più grande Ongudaj. Ci viene assegnata una micro-casina senza bagno. I servizi igenici sono all’interno di un casottino ubicato nel campo dietro la casetta. Molto bello scoprire che all’interno del bagno c’è un vero water e non il solito buco sulla terra. Non c’è nulla di aperto per cenare e siamo costretti ad accontentarci di alcuni “pirozhki” di un vicino negozio lungo la P-256 “Chuyskiy Trakt”, la strada che ci condurrà domani a Gorno-Altajsk.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La strada che attraversa la Repubblica dell’Altaj e arriva fino al confine di Tashanta è completamente asfaltata e in ottime condizioni. Dieci anni fa no.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale