Giorni 106-109 – Metano, patrie e famiglia

29-30 settembre – 1-2 ottobre 2018 Kazan-Mosca-San Pietroburgo (km. 1472, tot. 31.329)

29 e 30 settembre 2018

Il sabato e la domenica successive all’arrivo di Alisa in Via dei Cosmonauti sono il momento di pace che precede il lungo e come al solito complicato viaggio verso l’Italia della Toyota Hilux della Torino-Pechino. Il programma prevede il lunedì il trasferimento a Mosca e il giorno successivo adempimenti burocratici al Consolato italiano e trasferimento a San Pietroburgo. Nella ex Leningrado la Hilux e il capospedizione Guido Guerrini saranno ospiti dell’International Gas Forum. Il giorno 4, ultimo giorno di validità del visto, la spedizione uscirà dalla Russia per entrare nelle Repubbliche Baltiche. Il week-end trascorre più veloce del previsto tra i preparativi della ripartenza e gli assestamenti dovuti al nuovo membro della famiglia. Guido dopo aver aspettato a lungo l’arrivo della figlia è costretto a salutarla per rivederla tra cinque settimane, ovvero quando inizierà il periodo del nuovo visto russo. Il rifornimento di metano alla nuova stazione Gazprom di Kazan, dove scopriamo la presenza dell’attacco europeo oltre a quello russo, precede di pochi minuti il momento di addormentarsi.

1° ottobre 2018

La sveglia delle 6 mattutine lascia la bocca davvero amara. Colazione, valige in auto, saluti a moglie e figlia per poi partire verso Mosca cercando di evitare il traffico della capitale tartara. Poco oltre l’attraversamento del Volga la Torino-Pechino “tocca” il chilometro 30.000 del lungo viaggio. Si festeggia con una colazione abbondante appena entrati nella Repubblica di Ciuvascia, ennesima entità federale della Russia. Il percorso che collega Kazan e Mosca è ormai molto conosciuto e in senso contrario fu percorso dalla Toyota Hilux lo scorso giugno. Il Mondiale di Calcio 2018 ha contribuito ad un miglioramento della viabilità e permette di viaggiare molto più sereni, visto che le temibili buche del passato sono scomparse. Le voragini impedivano di superare i limiti di velocità, cosa oggi più probabile rispetto al passato. Episodio curioso nei pressi di Nizhnij Novgorod, quando nel parcheggio del kafè dove pranziamo troviamo uno spazio riservato ai “visitatori cosmici” accompagnato da un simbolo con un disco volante… Accompagnati da un bel sole e con una temperatura tornata attorno ai quindici gradi, Bruno e Guido arrivano poco prima del tramonto a Vladimir dove riforniscono di metano nella nuova stazione Gazprom inaugurata circa un mese fa, che quindi non era attiva durante il viaggio di andata. La stazione ci è stata segnalata da Fornovo, che ha installato il compressore, ed è molto all’avanguardia, considerato che oltre al metano ha una colonnina elettrica in grado di caricare a 22 kW. Circa tre ore di buio accompagnano il viaggio fino al quartiere di Otradnoe a nord di Mosca, dove è in programma una curiosa cena tra alcuni protagonisti della Torino-Pechino. Guido e Bruno incontrano il padrone di casa Emanuele e rivedono, dopo averlo salutato in quel di Vilnius oltre tre mesi fa, anche Augusto. Se Emanuele da molto tempo vive a Mosca, Augusto è appena arrivato per seguire un master universitario. Si cena, si brinda all’incontro e alla paternità di Guido per poi concentrarci e metterci a lavorare in vista dell’evento di San Pietroburgo di dopodomani. Non possiamo sfigurare con Gazprom, visto che essere invitati a questa fiera era un sogno fin dall’inizio del viaggio, ma la stanchezza della lunga giornata ci costringe ad addormentarci in poco tempo.

2 ottobre 2018

Qualche ora di riposo in più del consueto e, per Guido, fuga al Consolato italiano per adempimenti burocratici conseguenti alla nascita della figlia. Come da copione, dopo quasi un’ora di lunga fila, emerge la mancanza di un qualcosa che costringerà ad un ennesimo ritorno a Mosca nel corso del mese di novembre. La burocrazia italiana è complessa, quella russa è terribile. Se le due si sommano insieme si possono raggiungere perversioni non pensabili. La mezza giornata persa dietro ai documenti costringe la Toyota Hilux a lasciare Mosca attorno all’ora di pranzo. Volante girato verso nord nel tentativo di arrivare a San Pietroburgo ad un’ora non troppo tarda. Ad agevolare il cammino c’è la nuova autostrada M11, che in parte prende il posto della vecchia M10 che avevamo percorso nei viaggi precedenti. La M11 ricorda molto l’Italia sia per i cartelli verdi che la contraddistinguono che per il salatissimo pedaggio nei primi ottanta chilometri. Senza alcuna giustificazione plausibile, la prima parte di strada costa esattamente come tutto il restante. Circa 1200 rubli (15 euro) per i cinquecento chilometri già costruiti, suddivisi in 650 rubli per la prima parte e 550 per la seconda. Esattamente come le autostrade belghe, tutto il tratto in questione è dotato di un ottimo e funzionante impianto di illuminazione. Al completamento finale mancano ancora circa centocinquanta chilometri, in parte attorno a Tver’ e l’ultima parte, comunque già a doppia corsia, che conduce a San Pietroburgo. La strada passa attraverso il Rialto del Valdaj, che oltre ad essere un parco nazionale è anche il luogo dove nasce il fiume Volga. Curioso che un fiume di oltre 3.500 chilometri, dal Valdaj al Mar Caspio, abbia la propria sorgente ad appena 228 metri di altitudine. La catena collinare che supera in alcuni punti i trecento metri dà origine anche al Dnepr, che sfocia sul Mar Nero, e alla Dvina, che si tuffa nel Mar Nero. Pochi metri di altitudine che riescono a dividere tre bacini idrografici. Usando con attenzione i rifornimenti di metano e gasolio fatti nella giornata di ieri riusciamo ad arrivare nella città di Tosno, a circa cinquanta chilometri dalla sede fieristica che domani ci ospiterà. Sempre qui domani mattina visiteremo una nuova stazione di rifornimento dove si trova anche, e non solo, il metano. Un’ottima cenetta all’interno dell’hotel che porta lo stesso nome della città precede gli ultimi preparativi per la conferenza di domani.

Equipaggio di questi giorni: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Emanuele Calchetti, Augusto Dalla Ragione

Giorni 102-105 – Dalla fine dell’esilio kazako al primo viaggio in auto di Alisa

25-26-27-28 settembre 2018, Uralsk e dintorni – Kazan e dintorni (km 702, tot. 29.857)

Giorno 102 – 25 settembre 2018

La giornata successiva alla lieto evento comincia il più tardi possibile a causa delle difficoltà ad abbandonare il letto dell’appartamento 47. I postumi della serata di festa si fanno sentire e con fatica Guido e Bruno raggiungono il ristorante di Sergej dove consumano il pranzo e dove vengono arruolati dall’amico kazako per un trasloco che impegnerà l’equipaggio della Torino-Pechino l’intero pomeriggio. Il lavoro fisico aiuta a superare i problemi di inizio giornata. Nel frattempo da Kazan arrivano notizie confortanti sulla salute della partoriente e della nuova arrivata. Si decide di proseguire l’esilio kazako per continuare a guadagnare giorni di visto russo da spendere nei primi giorni di ottobre. La stanchezza consiglia di cenare prima che tramonti il sole per permettere di andare a letto non molto tempo dopo e cercare di recuperare le energie.

Giorno 103 – 26 settembre 2018

Ritornate le forze, continua anche il lavoro a fianco di colui che sta ospitando a pranzo e cena nel proprio ristorante l’equipaggio italiano. Tra un infisso e una lastra di vetro portata da una parte all’altra della città, c’è la comunicazione che il soggiorno di Olga e della bambina in ospedale terminerà venerdì, probabilmente immediatamente dopo l’ora di pranzo. A questo punto i giorni recuperati sul visto sono quattro se il confine verrà passato prima della mezzanotte o addirittura cinque se il transito avverrà dopo. Da bravi incoscienti prediligiamo la seconda opzione. Nell’ultima parte del pomeriggio torniamo alcuni minuti in Asia facendo il giro dei due ponti sull’Ural, approfittando della bella giornata per scattare qualche foto. Interessante serata con un vecchio compagno di scuola di Sergej emigrato in Israele negli anni ’90. L’occasione è utile per parlare di politica internazionale e della fine dell’Unione Sovietica, verso la quale rimane una grande nostalgia da parte di molti commensali di entrambe le etnie principali in Kazakistan. La conversazione si addentra nei dettagli della vita nel grande paese a cavallo tra Europa e Asia. Chiedo con garbo le opinioni dei presenti sul presidente kazako Nursultan Nazarbajev, che ha il primato di essere stato l’ultimo Segretario del Partito Comunista Kazako ai tempi dell’Urss e il primo ed unico Presidente del Kazakistan indipendente e quindi in sella da oltre trenta anni. Mi viene risposto che è molto meglio non avere una democrazia compiuta che rischiare un guerra civile come in Ucraina.

Giorno 104 – 27 settembre 2018

Ormai deciso che in tarda serata la Torino-Pechino tornerà in Russia, la giornata diventa utile per riposare e poi preparare nel modo migliore il nuovo trasferimento a Kazan. Non mancano anche oggi i momenti dedicati al trasporto di vetrate assieme a Sergej. Il resto del pomeriggio serve per lavare l’auto in vista di un importante ospite che salirà a bordo nella giornata di domani, per fare compere a prezzi convenienti al mercato agricolo di Uralsk e rifornirsi di gasolio kazako, uno dei più economici al mondo. Dopo l’ultima cena con gli amici del ristorante ASS e con la promessa di un ritorno nella città divisa tra i due continenti appena la figlia avrà la possibilità di viaggiare in auto, la Toyota Hilux si incammina a velocità moderata verso il confine con la Russia, che si trova a meno di sessanta chilometri da Uralsk. L’uscita dopo le ore 24 ci permette di chiudere l’esperienza kazaka con un guadagno netto di cinque giorni sul visto russo. Il vecchio programma prevedeva di lasciare Kazan il 26 settembre, la Russia il 28 e dopo aver vagato per le repubbliche baltiche rientrare a San Pietroburgo per l’evento Gazprom dedicato al metano il solo giorno del 3 ottobre. Adesso invece possiamo goderci la nuova arrivata alcuni giorni, lasciare Kazan il primo ottobre e raggiungere direttamente San Pietroburgo, dopo una sosta a Mosca al Consolato italiano, senza ulteriori strani passaggi di confine. Sempre nella giornata di oggi arriva la conferma che avremo l’onore di essere presenti e relatori all’evento dedicato al metano che si terrà nella ex Leningrado nella prima settimana di ottobre. Siamo attesi la mattina del giorno 3 per la tavola rotonda dedicata alla sicurezza nel mondo del gas naturale.

Giorno 105 – 28 settembre 2018

Alla mezzanotte dell’ora di Uralsk entriamo nella stazione doganale kazaka. Le pratiche di questa dogana interna all’Unione Euroasiatica durano appena quindici minuti. Per pura curiosità e cautela chiediamo a tre doganieri diversi che ora sia poco oltre il ponticello che divide il Kazakistan dalla Russia. Tutte e tre le volte il personale della stazioni di confine ci fa presente che i russi sono indietro di un’ora. Queste affermazioni minano le nostre certezze visto che eravamo sicuri che nell’oblast’ di Orenburg ci fosse lo stesso fuso orario del Kazakistan occidentale. Nel dubbio, per non perdere un giorno di visto, decidiamo di trascorrere circa quarantacinque minuti nella “terra di nessuno” per poi presentarci alla dogana russa dove apprendiamo che i kazaki si sbagliavano. Nella regione di Orenburg vige la stessa ora di Uralsk e noi abbiamo buttato via un’ora inutilmente. Per fortuna i controlli russi non sono particolarmente opprimenti e attraversiamo il confine con oltre cento chili tra patate, cipolle, cocomeri comprati nel mercato della città kazaka da commercianti indicati dall’entusiasmo di Sergej. Nella lunga notte di guida attraversiamo due fusi orari e superiamo un centinaio di uzbeki in viaggio con auto stracariche di ogni bene possibile. Arriviamo all’ospedale di Kazan di prima mattina dopo circa undici ore spese tra guida e dogana. Il programma della giornata prevede adempimenti burocratici per la registrazione anagrafica di Alisa. Purtroppo la levataccia notturna e quindi la presenza di Guido non è sufficiente a risolvere un problema legato alla traduzione del passaporto che deve essere rifatta e autenticata in fretta e furia. Questo costringe il capo-spedizione della Torino-Pechino a non andare a dormire come precedentemente sperato e dedicarsi all’ennesimo problema burocratico che potrebbe far tardare il passaporto italiano, ma anche quello russo, alla neonata. L’evento più interessante della giornata è programmato per le tre del pomeriggio: alla clinica “RKB” è prevista la dimissione di Olga e Alisa. In Russia il momento dell’uscita dall’ospedale e di fatto dell’inizio di vita del neonato è considerato molto importante. Non mancano fotografi e cameraman pronti a rivendere ai genitori i frutti del proprio lavoro. Per Guido il momento è ancora più importante visto che dopo diversi giorni di esilio forzato lontano dalla famiglia finalmente vedrà la nuova arrivata Alisa. La direzione dell’ospedale permette alla Toyota Hilux di arrivare fino alla porta del padiglione dove nascono i bambini e, scherzando, chiede visibilità per l’ospedale pubblico nei nostri racconti di viaggio. L’incontro avviene con il consueto cerimoniale fastoso della tradizione russa. Oltre all’emozione e mancanza di parole nell’incontrare il frutto in carne ed ossa dei tanti viaggi in giro per l’Eurasia, per Alisa arriva il momento del primo viaggio in automobile, ma non in un’auto qualsiasi! La più giovane viaggiatrice sul Toyota Hilux della Torino-Pechino è finalmente a bordo e i circa dieci chilometri che la separano dalla casa di Via dei Cosmonauti sono carichi di attenzione. Anche l’arrivo al nuovo domicilio è una festa e la lunga giornata si conclude con un banchetto familiare allietato da buon vino italiano delle Tenute Nardi. La serata di Alisa, invece, finisce con l’emozione del primo bagnetto. Peccato che la giovanissima neoviaggiatrice potrà far parte della squadra solo fino a lunedì mattina, quando la Torino-Pechino riprenderà la via occidentale che la porterà prima a Mosca e poi a San Pietroburgo per prendere parte al Ros-Gaz-Expo 2018, uno dei più grandi eventi al mondo dedicati al metano.

Equipaggio di questi giorni: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Sergej Abakumov, Olga Guerrini, Alisa Guerrini

Giorno 101 – Il giorno più lungo, il giorno più bello, arriva Alisa!

24 settembre 2018, Uralsk (24 km, tot. 29.155)

di Guido Guerrini

La vodka di Sergej condiziona il mio sonno che non mi permette di trascorrere una notte tranquilla. Nella mattinata di Uralsk, corrispondente alle prime ore del mattino a Kazan, arriva la telefonata che potrebbe cambiare i programmi di viaggio, ma anche di una vita intera. Il ricovero di Olga in ospedale è dovuto ai sintomi del parto. Sembra che il centounesimo giorno di viaggio sia quello buono. Come accennato nei diari precedenti, il sistema sanitario russo ha regole molto diverse da quello italiano o da quelli dei telefilm americani. Una volta che il paziente entra in ospedale non c’è il medico che esce e ti aggiorna. Questo significa che avrò notizie solo a parto avvenuto e direttamente dalla partoriente attraverso i normali sistemi di comunicazione. Ripartire per tornare a Kazan sarebbe inutile e di conseguenza stabilisco che diventerò padre in una città del Kazakistan dove non avrei mai pensato di essere nella mia vita, soprattutto in un momento come questo. Le ore precedenti al ricovero avevano evidenziato alcune problematiche che non possono trasmettere la tranquillità che le cose fileranno nel modo più sereno. Con questo clima inizio la mia giornata più lunga in quel di Uralsk. Oltre al silenzioso Bruno, l’unico punto di appoggio è il ristorante di Sergej dove a bordo di un taxi mi trasferisco all’ora del pranzo. Proprio il titolare e la cuoca Tanja sono gli unici amici. Li chiamo amici anche se li ho conosciuti 24 ore prima. Solo loro in questa città di trecentomila abitanti potranno essere un punto di riferimento visto che la sera precedente avevamo parlato a lungo proprio di questa eventualità. Non arrivando comunicazioni dalla Russia la mia preoccupazione aumenta. I due kazaki si impegnano nel confortarmi, arrivando a propormi un salto nella non lontana moschea o se preferisco nella chiesa ortodossa. Pur rispettando tutti i culti non me la sento di ricorrere a questo sistema e scelgo un luogo laico dove concentrare le mie speranze. Non lontano dalla trattoria di Sergej c’è l’enorme memoriale delle vittime della seconda guerra mondiale, una delle poche cose sovietiche rimaste ad Uralsk. Il memoriale è anche un balcone sul fiume Ural e quindi sulla vicinissima Asia. Qui trascorro del tempo provando a recuperare serenità. Saluto Tanja e Sergej promettendo notizie appena ne avrò. Rientrato nell’appartamento 47 della casa 17 della quarta microregione, ubicato nella parte orientale della città, entro nella stanza meno nobile dei 40 metri quadri che mi ospitano e squilla il telefono. È Olga che chiama e questo mi fa ben sperare. Ascolto le parole “3300 grammi per 51 centimetri” pronunciate in lingua russa e sento le urla di disperazione, uguali in tutto il mondo, di chi fino a pochi minuti prima si godeva il caldo della pancia della madre. Sono le ore 16 in Kazakistan (le 14 a Kazan e le 13 in Italia), e quaranta minuti prima ero diventato padre di una bambina che avrà un doppio passaporto e che potrà viaggiare in tutto il mondo quasi senza visti, al contrario di sua madre e suo padre che anche per concepirla hanno dovuto avere un visto nel passaporto. Le complicazioni pre e post parto costringono Olga a riposare e nella frenesia della comunicazione non mi conferma il nome che è stato scelto per la piccola, dato che ne avevamo concordati tre e lo avrebbe scelto lei al momento in cui avrebbe visto la bambina. Non conosco ancora il nome di mia figlia, ma so che posso festeggiare la nascita di colei che tre ore dopo sarà chiamata Alisa, come la protagonista di un noto telefilm sovietico, “Ospiti dal futuro”, che piace molto sia a sua madre che a suo padre. Il primo giorno di Alisa abbiamo deciso di godercelo in privato e la notizia circola solo tra i nostri stretti familiari con alcune piccole eccezioni, come Sergej, Tanja e gli altri del ristorante. Proprio con loro decido di passare la serata e corro in un supermercato a cercare dei vini e spumanti italiani riuscendo al terzo tentativo a trovare anche qualcosa di toscano. Mentre Olga si gode il riposo e la nostra bambina, per me è arrivato il momento di festeggiare come il copione prevede per ogni nuovo padre. Tutti gli amici che la sera prima erano al compleanno di Sergej si ritrovano una seconda volta per onorare Alisa e, terminati il vino e lo spumante, torna in campo la vodka kazaka, per fortuna accompagnata da qualche chilo di ottimo plov. Al tavolo si aggiungono altre persone nuove e tra le donne presenti conto almeno tre Olga, forse un avvertimento subliminale. A turno ognuno propone un brindisi che non sempre comprendo, visto che alcuni sono pronunciati in kazako. Sono comunque certo che le parole ascoltate siano tutte ben auguranti. Alcuni dei presenti hanno anche comprato un piccolo regalo per la figlia. Sono felice che questa serata lontano da Kazan e dall’Italia si sia rivelata foriera di cose belle e non triste come potevo immaginare al momento in cui sono stato costretto ad allontanarmi dalla Russia a causa dei noti problemi che la burocrazia ci ha regalato.
Come era ampiamente prevedibile, per la seconda sera consecutiva il Toyota Hilux rimarrà nel parcheggio del ristorante e il ritorno nella casa di Uralsk, alle 2 della notte, avviene di nuovo con un sicuro taxi.

Giorni 81-100 – Fuga in Kazakistan e attesa del parto

4-23 settembre 2018, Kazan e dintorni – Uralsk e dintorni (km. 907, totale 29.131)

Il diario della Torino-Pechino si era interrotto in occasione della lunga sosta a Kazan in attesa che il viaggio verso la paternità di Guido si compisse. Il percorso che ha portato alla nascita di Alisa Guidovna Guerrini è stato decisamente complesso e merita un diario speciale dedicato al lieto evento e al perché il capo-spedizione della Torino-Pechino sia adesso in Kazakistan lontano dalla propria famiglia. Andiamo per ordine. La Torino-Pechino era stata programmata senza tenere conto di una possibile maternità che riguardasse uno dei membri della spedizione. Alla notizia che Guido sarebbe diventato padre, il viaggio ha subito delle modifiche per permettere al capo-spedizione di poter essere a Kazan in compagnia della moglie con tre settimane di anticipo sul tempo previsto per il parto e con un margine di tempo successivo a vivere con la propria famiglia i primi giorni di vita della figlia. Il problema occorso alla dogana russo-cinese ha creato un corto circuito al programma di viaggio che è stato rimodulato con una modifica del percorso e del calendario. Ciò ha portato due conseguenze: la perdita di sette giorni di visto russo di Guido, consumati nel tentativo di riprendere il programma di viaggio dal Kirghizistan, e l’arrivo a Kazan in ritardo rispetto al primo programma. Questo secondo inconveniente non ha generato alcun problema: lo avrebbe generato solo in caso di parto anticipato. Il primo problema è stata la fonte dei fatti che andremo a descrivere nelle prossime righe.

Giorno 81 – 4 settembre 2018

Il primo della lunga serie di giorni di attesa a Kazan. Da questo giorno il diario di viaggio si è fermato. Alessandra e Giulia si sono spostate a Mosca per poi tornare in Italia il giorno successivo. Viene utilizzato lo spazio delle pagine social per ringraziare tutti gli sponsor del viaggio.

Giorno 96 – 19 settembre 2018

Il giorno in cui termina il tempo della gravidanza di Olga coincide con l’inizio di serie preoccupazioni di non riuscire a vedere la nascita della bambina da parte di Guido. Il visto della durata complessiva di 90 giorni, senza ulteriori uscite dalla Russia terminerebbe il 29 settembre. Considerato che la Torino-Pechino dovrebbe partecipare ad un importante evento a San Pietroburgo nei primi giorni di ottobre, questo costringerebbe ad uscire dalla Russia il 28 settembre via Lettonia per rientrare il giorno stesso dell’evento dalla frontiera estone distante da San Pietroburgo appena 160 chilometri. A questo aggiungiamo che da Kazan, per arrivare al confine lettone, occorrono circa due giorni. Di fatto Guido dovrebbe lasciare la città il 26 settembre e il rischio di non assistere al parto o di non vedere la bambina è elevato.

Giorno 97 – 20 settembre 2018

Nessun segnale che possa fare pensare ad un parto nelle prossime ore. Le procedure legate alla nascita dei bambini in Russia non prevedono la presenza del padre accanto al letto della madre. Allo stesso tempo nei tre giorni successivi alla nascita è di fatto impedito qualsiasi contatto con l’esterno da parte di mamma e nascitura. La possibilità di non vedere la bambina diventa certezza. L’ultima possibilità è che la nascita avvenga nel giorno successivo.

Giorno 98 – 21 settembre 2018

Diventa necessario prevedere un piano B che permetta a Guido di vedere la bambina, ma con il rischio di non poter accompagnare Olga in ospedale il giorno dell’inizio del travaglio. Vengono valutate due opzioni possibili: raggiungere la città di Uralsk in Kazakistan, ovvero la frontiera più vicina a Kazan, e aspettare la nascita della bambina risparmiando giorni di visto, oppure volare dall’aeroporto internazionale di Kazan. L’opzione aerea viene approfondita con diversi preventivi con biglietti con data aperta nel giorno del ritorno. Eliminate tutte le destinazione interne alla Russia e quelle esterne dove fosse necessario il visto e preso atto che i restanti voli avevano prezzi molto elevati, è incredibilmente emerso che l’unica combinazione a prezzi elevati ma sostenibili era raggiungere Bologna via Mosca con voli Aeroflot. In ogni caso la partenza sarebbe dovuta avvenire il 22 settembre. Dopo aver meditato l’intera notte è emersa la discriminante che i 550 chilometri verso la frontiera kazaka avrebbero permesso un repentino ritorno a Kazan in caso di bisogno, come del resto i 600 chilometri da Uralsk permettono in circa dieci ore di tornare nel capoluogo tartaro. La decisione è presa. Si torna in Kazakistan. Partenza al mattino del giorno successivo.

Giorno 99 – 22 settembre 2018

Senza alcun entusiasmo, cosa insolita per Guido che ama viaggiare, la Torino-Pechino riparte e il Toyota Hilux a diesel-metano si rimette in moto ufficialmente per un drive test e una prova consumi. La strada è la stessa che lo scorso primo settembre portò l’equipaggio da Uralsk a Kazan. Stavolta il capo-spedizione farà il percorso inverso accompagnato solo dall’immancabile Bruno Cinghiale. Samara è a circa metà strada ed è il luogo dove riforniamo di metano nella seconda stazione cittadina, non la stessa di venti giorni prima. Doppio spostamento di lancetta dell’orologio in avanti e arrivo in frontiera a sole quattro ore dalla mezzanotte. Le infinite auto di uzbeki stracarichi di ogni bene possibile spaventa Guido e Bruno, che tuttavia scoprono che in modo leggermente discriminatorio sono state allestite più file dove russi, kazaki e forse altre nazionalità protette passano prima. Così è, ed in appena un’ora il sospirato timbro russo è apposto sul passaporto di Guido. Il tempo della burocrazia si ferma e restano sette giorni da usare nel mondo migliore in attesa del parto di Olga. Circa cinquanta chilometri di guida notturna ed eccoci nella città dove passa il fiume Ural, storico confine tra Europa e Asia. Urge trovare una sistemazione e dei pasti caldi, per questo la scelta ricade di nuovo sull’Hotel Kurmet dove alloggiammo in precedenza e dove si può mangiare a qualsiasi ora del giorno o della notte. Qui finisce la giornata, dopo una passeggiata digestiva nelle climaticamente tiepide strade di Uralsk, e dopo avere visto la partita del mondiale di pallavolo tra Italia e Russia.

Giorno 100 – 23 settembre 2018

Il centesimo giorno di viaggio inizia con il più tardivo possibile check out dall’albergo per aumentare le ore di riposo. A seguire la riattivazione della scheda telefonica kazaka comprata in precedenza. Quindi in vista di una permanenza di più giorni ecco un bel giretto in auto per tutta la città per valutare alberghi, monumenti e ristoranti e capire come trascorrere il tempo. Nel corso della passeggiata automobilistica varchiamo il ponte che superando l’Ural riporta la Torino-Pechino per circa mezz’ora nel continente asiatico. Interessante la toponomastica della città dove tra tutti i nomi spicca il principale viale “Eurasia”. Nel primo pomeriggio decidiamo di trovare un luogo per pranzare tra i piccoli ristoranti situati nella sponda europea del fiume. Molti sono chiusi essendo già terminato il periodo estivo. Non lontano dal fiume e vicino alla stazione di polizia notiamo la “traktir” (trattoria) “ASS”, che scopriremo essere l’acronimo del titolare Sergej Sergeevic Abakumov. Qui in un tavolo all’esterno pranzano Sergej, la cuoca Tanja e l’amico Andrej. Bruno sceglie di cibarsi lungo le accidentate sponde del fiume, mentre Guido viene invitato ad unirsi ai commensali che festeggiano il compleanno di Sergej. Poco dopo arrivano anche Sasha, figlio di Tanja, e un altro amico. Il racconto dell’avventura della Torino-Pechino affascina i nuovi amici kazaki come pure le interessanti difficoltà burocratiche che hanno portato Guido di nuovo ad Uralsk. Sergej dimostra di essere l’uomo dei miracoli poiché trova in pochi minuti un bello e pulito appartamento a soli 12 euro al giorno per Guido e Bruno e ci conduce personalmente ad una vecchissima stazione di metano che nemmeno gli amici di Ecomotori conoscevano. A circa dieci chilometri da Uralsk sorge un incredibile cimelio dell’Unione Sovietica. La stazione di metano risale agli anni ‘70 e in tutti i macchinari resiste la scritta “sdelano v CCCP”  (made in URSS), con anni di produzione dei pezzi attorno all’inizio degli anni ‘80, ovvero in occasione dell’ultimo ammodernamento. Peculiare il fatto che l’unico rifornimento possibile si basa sul dichiarare la capienza delle bombole e pagare per intero senza la possibilità di far presente che a bordo potrebbe esserci, come nel nostro caso, un cospicuo residuo di gas. Paghiamo più del solito, ma siamo felici dell’esperienza museale vissuta. La giornata si conclude con un’altra, più solenne, cena per il compleanno di Sergej. Stavolta sono molti i commensali e la presenza di un “italiano vero” al tavolo porta come sempre a discutere di Al Bano, Toto Cutugno e del Commissario Cattani. Si susseguono i brindisi di compleanno e di auguri per il parto di Olga e la prossima paternità di Guido. A questo punto possiamo affermare di avere degli amici ad Uralsk e la paura di affrontare i brindisi in occasione della nascita della figlia senza compagnia lascia spazio all’ipotesi di brindare assieme a dei nuovi conoscenti. I fiumi di vodka costringono Guido a lasciare Bruno e l’auto nel parcheggio della trattoria e rientrare al nuovo appartamento in taxi.

Giorno 80 – Tempo di attese

di Guido Guerrini, capospedizione della Torino-Pechino 2018

3 settembre 2018, Kazan (0 km – tot. 28.224)

Dopo oltre 26.000 chilometri, dei quali molti vissuti in situazione di emergenza e di corsa a causa del noto problema alla frontiera cinese, finalmente si può respirare con calma e senza la preoccupazione di dover raggiungere ad ogni costo la città meta del programma del giorno.
Un’altra ansia che ha caratterizzato buona parte del mio viaggio è stata quella di non riuscire a raggiungere Kazan in tempo per la nascita di mia figlia. Anche questo possibile problema è stato scongiurato. Ero consapevole del rischio fin dal momento della partenza per questa avventura, ma il ritardo accumulato dopo Pechino e la paura di avere qualsiasi altro tipo di problema nel prosieguo del viaggio potevano azzerare il margine di sicurezza che avevo previsto. Adesso sono a Kazan, dove vivo per metà dell’anno assieme alla mia famiglia e dove si è chiuso il complicato anello che ha composto il viaggio principale della Torino-Pechino. Da qui all’Italia sono altri 4.000 chilometri che andranno in parte a sovrapporsi a quelli fatti nel viaggio di andata. Prima di questo ci sono alcune “attese” che nei prossimi giorni delineeranno tempi e itinerari dell’ultima parte della Torino-Pechino.

Primo tra tutti la nascita della bambina, prevista attorno alla metà di settembre e che naturalmente sarà un evento talmente importante che influenzerà le dinamiche di tutti gli altri.
Tra questi, è da valutare una possibile partecipazione della nostra auto all’evento ROS-GAZ-EXPO, la più importante fiera dedicata al mondo del metano, che si svolgerà a San Pietroburgo dal 2 al 5 ottobre. Una giornata di queste potrebbe essere dedicata al lungo viaggio con l’uso del metano che abbiamo appena effettuato.
Infine, c’è anche l’attesa di capire come avverrà il rientro in Italia della nostra Hilux, chiamata ancora a quattro rifornimenti di metano e una probabile festa di arrivo nella nostra Penisola in una location ancora da definire.

Nei prossimi giorni il diario quotidiano di viaggio sospenderà la propria attività, pronto a ricominciare in occasione degli eventi sopra descritti ed in ogni caso ricomincerà alla vigilia dell’inizio del viaggio di ritorno. Non si fermerà l’attività delle pagine social che vi terranno al corrente di ogni sviluppo, oltre a continuare a pubblicare materiali inediti dei primi 26.000 chilometri della Torino-Pechino.

Aregolavanti!

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Olga Fedotova, Bruno Cinghiale.

Giorno 79 – Una domenica di riposo

2 settembre 2018, Kazan (25 km – tot. 28.224)

La giornata a quasi chilometri zero comincia molto più tardi del solito. Sono le dieci quando l’equipaggio della Torino-Pechino decide di esplorare la città che ospitò la nostra auto per una settimana a cavallo tra giugno e luglio. I mondiali di calcio sono terminati e i prezzi sono tornati normali. Molta meno gente in giro per le strade di Kazan, che comunque dimostra la consueta vivacità. Il primo impegno della mattina è tornare a visitare il mercatino delle pulci che si svolge ogni domenica non lontano dal porto fluviale sul Volga. Qui è possibile trovare oggettistica originale di epoca sovietica ma addirittura anche della Russia di prima del 1917. Non mancano gli oggetti di uso quotidiano che vanno dai vecchi telefonini ai piccoli elettrodomestici di casa. La componente femminile dell’equipaggio si dedica all’acquisto di numerosi oggetti da regalare in vista del ritorno in Toscana. Il resto della giornata prosegue con la visita della parte centrale della città subito dopo aver testato una mensa in stile e prezzo sovietico ubicata nella strada pedonale Baumana. Durante la permanenza al Cremlino della città si aggiungono alla squadra Olga, Olesya e Matvey. In successione visitiamo la grande moschea Kul Sharif, la Cattedrale ortodossa dell’Annunciazione, la torre pendente Sjujumbike, il palazzo presidenziale e la bella terrazza panoramica che domina il fiume Kazanka e permette di osservare tutte le innovazioni urbanistiche ed immobiliari che hanno cambiato Kazan in questi ultimi anni. La moschea Kul Sharif è la più grande d’Europa se non vengono considerate quelle di Istanbul. Fu ricostruita all’inizio del XXI secolo nell’esatto luogo dove esisteva una simile moschea distrutta dai russi dopo la conquista di Kazan. La Cattedrale dell’Annunciazione ha una lunga storia e fu costruita immediatamente dopo la capitolazione della capitale tartara. La torre Sjujumbike, che vanta una inclinazione di ben due gradi, è protagonista di una curiosa leggenda: Sjujumbike era l’ultima principessa tartara e si racconta che per evitare il matrimonio con Ivan il Terribile, conquistatore di Kazan, abbia preferito lanciarsi dai cinquantotto metri della torre. Il riconoscimento di “patrimonio della umanità” concesso dall’Unesco è senza ombra di dubbio pienamente meritato per questo luogo ricco di fascino ed interesse. Il poco tempo non ci permette la visita dei numerosi complessi museali presenti all’interno della cittadella fortificata. Lasciando il Cremlino e scendendo nel lungofiume, luogo molto amato dai cittadini del capoluogo tartaro, abbiamo modo di fermarci a degustare i dolci tipici della città accompagnati da un buon tè. L’impegno successivo è la separazione dell’equipaggio visto che Alessandra e Giulia avranno un treno nel tardo pomeriggio che viaggiando di notte le porterà a Mosca dove visiteranno la capitale russa. Da segnalare che il treno che effettua la tratta Mosca-Kazan e Kazan-Mosca è lo stesso che circa due mesi fa portò qui Emanuele e Marina. Siamo quindi alla stazione ferroviaria per la cerimonia di saluto mentre il bellissimo treno a due piani lascia il Tatarstan diretto verso ovest. Guido e Bruno restano per l’ennesima volta soli, ma stavolta con la consapevolezza che non ci saranno nei prossimi giorni imprese chilometriche da effettuare. La serata prosegue nella massima tranquillità e con contatti con tutti i soggetti coinvolti nel viaggio per definire i dettagli della parte conclusiva della Torino-Pechino, che vedrà la Toyota Hilux alimentata a diesel e metano ritornare in Italia dopo aver percorso oltre 30.000 chilometri.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina, Olga Fedotova, Olesya Fedotova, Matvey Fedotov

Giorno 78 – Di nuovo a Kazan

1° settembre 2018, Uralsk-Kazan (621 km. – tot. 28.199)

La sveglia suona con un’ora di anticipo rispetto al previsto, ma solo perché sbagliamo il fuso orario. Tutto sommato questo tornerà comodo visto che anche oggi i chilometri da fare saranno molti. Essendo il primo settembre, e quindi il primo giorno di scuola in numerosi paesi ex sovietici, possiamo osservare molti bambini elegantissimi recarsi con mazzi di fiori alle proprie scuole. Spiccano i fiocchi bianchi nelle teste delle femmine e le cravatte indossate da molti bambini di appena sei anni.
Il primo possibile rallentamento della giornata è il vicino confine tra Kazakistan e Russia. Siamo la seconda auto in attesa e in meno di quindici minuti siamo al cospetto dei doganieri russi. La Russia è burocraticamente lenta e complessa, ma completiamo le pratiche abbastanza in fretta. Sembra che il confine tra gli stati dell’unione doganale euroasiatica sia diventato più permeabile rispetto al passato. Neppure la documentazione di importazione temporanea dell’auto viene compilata, sperando che questo non si trasformi in un problema quando dovremo uscire dalla Russia. Spostiamo le lancette indietro di un’ora e ci allineiamo all’orario in cui aveva suonato la sveglia questa mattina. La strada è buona e si prosegue senza alcun inconveniente fino alla stazione di metano Gazprom di Samara dove effettuiamo il rifornimento di gas naturale. Poco dopo siamo fermati dalla polizia di Samara nel posto di blocco all’ingresso della città. Non capiamo il perché dell’attento controllo ai nostri documenti e a quelli dell’auto. Non ci sono problemi se non quello di avere perso un quarto d’ora. Approfittiamo del lento e trafficato transito nel centro di Samara per cambiare i soldi e per pranzare nella periferia della città. Nonostante abbiamo cambiato nazione anche qui la città pullula di bambini impegnati nel ritorno dal primo giorno di scuola. Uscendo da Samara osserviamo con curiosità i cartelli che indicano la vicina città di Togliatti, dedicata all’ex Segretario del Partito Comunista Italiano, dove sorge la fabbrica Lada. Oltre cinquanta anni fa il governo sovietico avviò una cooperazione con la Fiat per creare una industria automobilistica in grado di permettere alla popolazione locale di dotarsi di auto. L’intera linea della 124 fu portata a Togliatti per far partire la produzione di un modello, la “Žigulí”, che fino a sei anni fa non aveva subito quasi alcuna modifica. Oggi la Fiat ha perso questa posizione di quasi monopolio e la fabbrica è sotto il controllo di altre case automobilistiche che hanno saputo sfruttare nel modo migliore la situazione. Il viaggio prosegue attraverso piccole strade che ci portano in tempi brevi a rientrare, dopo aver guadagnato una ulteriore ora in un solo giorno, nella Repubblica del Tatarstan dove torniamo quasi due mesi dopo il primo transito. La chiusura di un cerchio geografico di oltre ventimila chilometri è di fatto una enorme soddisfazione. Dopo qualche ora di pausa tornano le moschee ad accompagnarci lungo il cammino che ci porterà a Kazan. L’attraversamento della Kama, grande affluente del Volga, ci permette di ammirare l’enorme lago generato alla confluenza dei due fiumi e controllato dalla diga di Kujbishev. Alle 18.00 siamo in città, per l’esattezza presso la casa tartara di Guido dove ci accoglie la moglie Olga con il resto della famiglia. Qui comincia una nuova parte del viaggio, quella dell’attesa della nascita della figlia di Guido e Olga prevista per le prossime settimane. La serata finisce con la divisione del gruppo in due squadre: Guido e Bruno si dedicano alla serenità del riposo in famiglia, Alessandra e Giulia cominciano l’esplorazione della città iniziando, visto dove abbiamo trascorso i giorni precedenti, dal ristorante uzbeko denominato Karshi.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– L’unione doganale euroasiatica regala qualche buon risultato. I confini tra Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia sono diventati più semplici da attraversare. Oggi, per esempio, siamo passati dal Kazakistan alla Russia in appena quaranta minuti. Un record.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 77 – Il fiume che divide Asia e Europa

31 agosto 2018, Beyneu-Uralsk (916 km. – tot. 27.578)

La giornata comincia con un vecchio classico del repertorio centroasiatico. Dopo la colazione lasciamo il piccolo albergo che ci ha ospitato. Neppure un chilometro di strada e siamo fermati dalla polizia locale che ci raggiunge da dietro con i lampeggianti accesi. Secondo il poliziotto abbiamo acceso i fari, obbligatori in Kazakistan, solo quando abbiamo incrociato l’auto della polizia. Questo è vero, ma è dovuto al fatto che abbiamo incrociato l’auto mentre partivamo dal piazzale del nostro albergo. Probabilmente la notizia della scomparsa delle richieste di mazzette nelle strade kazake non deve essere ancora arrivata a Beyneu. Seguendo il vecchio rituale Guido viene invitato a salire nell’auto della polizia dove avviene la proposta di togliere la multa in cambio di un “regalo”. Guido accetta con entusiasmo e prende dalla Hilux il volantino che racconta la storia della Torino-Pechino e fa perdere almeno un quarto d’ora al vorace poliziotto che nel frattempo si sta perdendo l’interessante passaggio di una carovana di auto storiche con targa europea. Alla fine il milite molla la presa e dopo oltre due mesi la Torino-Pechino mantiene la verginità in fatto di multe nelle strade centroasiatiche. Risolto con successo anche questo piccolo inghippo ci lanciamo nell’ottima strada che, costeggiando il Mar Caspio, conduce alla città petrolifera di Atyrau. La giornata di oggi è caratterizzata dal raggiungimento della minore altitudine dell’intero viaggio. Abbiamo toccato i meno venti metri sul livello del mare essendo il Caspio situato in una depressione. In un villaggio prima di Atyrau riusciamo a pranzare, mentre sempre nello stesso posto troviamo chiusa una stazione di metano che ci era stata segnalata in precedenza. Inutile la nostra attesa e il tentativo di chiedere informazioni alle stazioni di benzina circostanti. I gestori del ristorante dove abbiamo consumato il pranzo ci ricordano che oggi è la “Festa della Costituzione” e che probabilmente alcune attività sono chiuse per questo. Anche per cambiare i nostri soldi siamo costretti ad usufruire dei servigi di una anziana ed esperta signora che gestisce un piccolo negozio di generi alimentari, che pretende una commissione di circa tre dollari.
Ci consoliamo con l’ottima qualità del fondo stradale che ci fa sperare di riuscire a recuperare il ritardo accumulato ieri dopo la dogana uzbeka. Si percorrono circa cento chilometri ogni ora nonostante alcune brusche frenate per evitare di impattare contro cammelli e dromedari che affollano i bordi della strada. Il sud del Kazakistan è arido e l’unico colore differente dal marrone della sabbia desertica è il bianco del fondo dei laghi salati che in questa stagione sono asciutti. Da dopo Atyrau la strada risale il corso del fiume Ural, il confine geografico tra Asia ed Europa. L’Ural colora di verde il paesaggio creando una cerniera di vita che interrompe i deserti circostanti. Nel piccolo paese di Inderbor avviene lo storico passaggio del fiume. Oltrepassato il ponte siamo di nuovo in Europa dopo cinquantasette giorni di Asia. Pur non essendo collegato al passaggio da un continente all’altro, notiamo come avvenga un interessante cambio nella vegetazione che ci circonda. All’arido terreno della steppa desertica si sostituisce un verde sempre più intenso. Finisce la parte desertica del nostro viaggio per tornare ad una situazione di normalità, o perlomeno di similitudine con i panorami a cui siamo più abituati. Con le prime luci della sera entriamo finalmente ad Uralsk, in kazako Oral. Abbiamo percorso oltre novecento chilometri e siamo ad appena seicento da Kazan dove da domani la Torino-Pechino dovrebbe sostare. Uralsk non è la prima volta che diventa sede di tappa di un nostro viaggio. La cittadina è attraversata dal fiume Ural e molte cose sono legate alla particolarità di essere a cavallo tra i due continenti. Non mancano le insegne, anche bizzarre, legate al tema dell’Eurasia.
Dormiamo in un hotel centrale e ceniamo in una struttura all’aperto ubicata nell’isola pedonale nei pressi del teatro cittadino, il più vecchio mai costruito in Kazakistan. La città ha un aspetto russo e di kazako c’è solo qualche monumento a personaggi sconosciuti. Anche le facce tornano ad essere anche europee, dato che qui i russi sono circa il 40% della popolazione. La passeggiata serale per digerire i buoni shashlyki è utile anche per capire meglio come si vive in questa simpatica cittadina, che come Istanbul si trova a cavallo di due continenti.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Almeno oggi siamo ben felici di raccontare che le strade in questa parte di Kazakistan sono notevolmente migliorate negli ultimi dieci ani.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 76 – Sul fondale del lago d’Aral

30 agosto 2018, Moynaq (lago d’Aral) – Beyneu (km 513 – tot. 26.662)

Il primo mattino al di fuori della yurta che ci ospita è piuttosto freddo. Siamo costretti ad indossare felpe per recarci a fare colazione nel vecchio faro del porto di Moynaq. Le barche arenate sul fondale sotto di noi sono impressionanti. Qui mancano almeno dieci metri di acqua che corrispondono a decine di chilometri di distanza dalla nuova e sempre più precaria riva di ciò che resta del lago. Sono ancora visibili alcuni canali artificiali che per alcuni anni hanno permesso alle barche di raggiungere la riva del lago sempre più lontana. Qui si viveva di pesca e dell’inscatolamento dei prodotti del lago. Oggi si vive di agricoltura, soprattutto frutta, e il famigerato cotone responsabile di gran parte del prelevamento idrico degli affluenti del lago. Molti libri e inchieste sul tema raccontano di uno scenario catastrofico anche dal punto di vista economico, oltre a quello naturalistico ed a problemi per la salute delle persone. Le testimonianze che abbiamo raccolto a Monyaq non sembrano essere favorevoli ad un ritorno del lago se questo dovesse significare la perdita del lavoro che ha portato l’agricoltura. Interessante registrare una forte nostalgia dell’Unione Sovietica, vista come soggetto al di sopra delle conflittualità tra le cinque repubbliche centroasiatiche che non si mettono d’accordo su come provare a salvare quello che resta del lago. I nostri interlocutori sono dei muratori protagonisti di un episodio che ha caratterizzato la nostra mattinata. Dopo aver fatto le foto alle barche sul fondale del lago, abbiamo avuto la sciagurata idea di andarci anche in auto, consapevoli dei rischi di insabbiamento che anche una potente 4×4 come la nostra può correre. Come volevasi dimostrare siamo rimasti in mezzo alle due navi più grandi del memoriale dedicato alla scomparsa del lago. Per un attimo pensiamo ai turisti che tra qualche anno potrebbero trovare l’Hilux arrugginito parcheggiato per sempre vicino ai pescherecci dell’Aral. Senza eccessive preoccupazioni Guido si è incamminato fino ad un cantiere di una casa in costruzione notata in precedenza. Da qui è tornato all’auto con una squadra di muratori karacalpachi che armati di badili, sacchi da mettere sotto le ruote e molta forza fisica sono riusciti a disincagliare la Hilux. Abbiamo ringraziato offrendo un pranzo, regalando una bottiglia di vodka e gli ultimi cappelli BTS-Biogas rimasti a bordo della nostra auto. Con l’occasione abbiamo scambiato opinioni sul disastro ambientale in questo luogo. Come accennavamo siamo rimasti sorpresi dalle risposte date. Alla nostra affermazione che proprio le politiche sovietiche avessero portato al disastro, uno di loro ci ha corretto dicendo che le attuali politiche sono responsabili di tutto ciò e che non è un caso che il grosso del problema sia avvenuto dopo il 1991 quando le singole repubbliche post sovietiche hanno attuato politiche egoistiche e di propria convenienza relativamente alle acque dei fiumi immissari. “Fin quando c’era l’Urss”, sottolinea il capocantiere, “le esigenze del cotone, della pesca e degli altri prelievi idrici dai fiumi erano controllate da una autorità centrale che permetteva a tutte queste attività di non scomparire”. Non siamo in grado di fare un contraddittorio sul tema, ma in tutta la squadra è netto il giudizio sul fatto che si stava meglio prima. In tutto ciò è interessante anche il rivendicare la propria identità culturale karacalpaca che si sentiva più tutelata ai tempi dell’Unione Sovietica rispetto ad oggi. Non siamo qui per fare giornalismo d’inchiesta, semmai per raccontare la storia di un disastro ecologico con la speranza che in futuro non si ripeta nulla di simile. Resta interessante aver ascoltato le voci di alcuni abitanti del luogo, non giovani, che raccontano come il cotone sia stato più importante per l’economia locale rispetto al pesce del lago. L’acqua del lago, essendo salata, non era adatta ad irrigare e quindi era necessario usare quella del fiume, sottolinea un altro muratore del cantiere che ci ha salvato dal rimanere ore sul fondo del lago. Come spesso accade la verità sta nel mezzo visto che sono indiscutibili le responsabilità in epoca sovietica di coloro che scelsero di convertire la zona alla coltivazione del cotone, come del resto è innegabile che la disgregazione dell’Urss abbia portato ad enormi personalismi su questo tema da parte dei vari capi di stato delle repubbliche centroasiatiche. In ultimo aggiungiamoci che nella parte uzbeka sono stati trovati giacimenti di metano che con un eventuale ritorno dell’acqua sarebbero difficili da sfruttare.

Lasciata in modo definitivo Moynaq, riprendiamo la vecchia strada già percorsa nella giornata di ieri. Nella città di Kungirot, dove riprenderemo la strada verso nord, sostiamo per comprare provviste (tra cui giganteschi cocomeri e meloni) e fare quello che sarà l’ultimo rifornimento di metano in Uzbekistan. Una cinquantina di chilometri più avanti, ottimisti anche per il buon asfalto che stiamo percorrendo, decidiamo di fermarci per un ottimo pranzetto. Poi però la strada che percorriamo verso la frontiera kazaka peggiora drasticamente e presto riemerge quella che deve essere stata l’ultima asfaltatura di epoca sovietica. La media oraria scende a meno di quaranta chilometri ogni ora. Gli ultimi chilometri prima della dogana sono addirittura un alternarsi di terra battuta, sterrato e crateri di tutte le dimensioni. Puntiamo a salvaguardare il veicolo e arriviamo alla frontiera alle 17.30. In teoria saremmo la ventesima auto sul lato uzbeko, ma i doganieri ci fanno passare per primi poiché siamo turisti. Questa ulteriore attenzione si va ad aggiungere al non essere mai stati fermati in nessun posto di blocco della polizia nei giorni precedenti. È evidente che c’è un ordine ben chiaro di non disturbare in alcun modo i turisti presenti nel paese. Tutto questo facilita anche le operazioni doganali e in pochi minuti passiamo al lato kazako. Qui tutto avviene più lentamente, ma non per la burocrazia del paese post sovietico. Purtroppo bussiamo alla finestra dell’addetto all’importazione temporanea dell’auto proprio mentre inizia la pausa cena. Subito dopo comincia la pausa di coloro che ispezionano l’auto e tutto questo porta il tempo complessivo di attesa a oltre due ore. Sottoliniamo che neppure una valigia è stata aperta. Siamo nelle strade kazake poco dopo il tramonto e questo significa che dovremo per forza guidare anche di notte. I circa novanta chilometri che portano al paese di Beyneu, sulle sponde del Mar Caspio, sono peggio del previsto. La strada è in terra battuta, per fortuna con poche buche, ma la differenza la fanno i camion e la polvere che sollevano che rende impossibile vedere dove si va, soprattutto quando arriva il buio. Arriviamo a Beyneu a notte inoltrata e prendiamo il primo hotel con ristorante aperto che troviamo nei pressi della stazione ferroviaria. Proprio durante la cena partecipiamo involontariamente ad una festa con danze di gente del posto. Ci limitiamo a guardare, ma lo spettacolo è comunque molto interessante. I kazaki si confermano ad ogni occasione gente amante delle feste e non esitano mai nel lanciarsi in danze che coinvolgono anche i bambini. La stanchezza ben presto vince le nostre resistenze e siamo costretti ad abbandonare il piacevole osservatorio.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Per quanto riguarda il Lago d’Aral qualcosa è cambiato. La parte kazaka è tornata a vivere grazie ad opere di ingegneria idraulica, ovvero una semplice diga. Ancora poco tempo e la parte nord del lago tornerà a bagnare il porto di Aralsk, la città che prende il nome dal lago. Per quanto riguarda la parte sud, quella uzbeka, siamo lontanissimi da una soluzione. Un buon segnale è il fatto che il nuovo presidente uzbeko abbia organizzato un incontro con gli altri “stan” per discutere del problema. I fiumi che alimentavano il lago passano anche attraverso gli stati non rivieraschi e un qualsiasi tentativo di tornare agli antichi splendori deve per forza passare da un accordo tra tutti.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 75 – Giornata karakalpaca

29 agosto 2018, Khiva-Moynaq (Lago d’Aral) – km. 524, tot. 26.149

Secondo e ultimo risveglio a Khiva. Dopo la colazione siamo in alcuni dei punti più caratteristici ed esterni alle mura per fotografare la nostra auto che nel giorno di ieri ha meritatamente riposato. Un gruppo di donne locali sente il desiderio di essere fotografata assieme a noi e alla Toyota Hilux, come del resto negli ultimi giorni molti bambini hanno manifestato la propria cordialità nei nostri confronti salutandoci con un “hello”.

Lasciamo definitivamente la bella città storica per dirigerci, dopo circa un’ora di viaggo, a Beruniy dove ad attenderci c’è di nuovo Gajrat con il quale avevamo condiviso l’ottimo pranzo di lunedì. Ci riforniamo di metano nella sua stazione, aperta negli ultimi anni grazie alla collaborazione con Fornovo. Sempre con il suo aiuto riusciamo, in un altro luogo di Beruniy, a fare un rabbocco di rarissimo gasolio per poter raggiungere il confine kazako senza problemi. Anche in questa occasione la qualità del gasolio lascia a desiderare, come del resto la pompa stessa apparentemente molto vecchia e semiabbandonata. Pure stavolta dobbiamo sorvolare e accettare la situazione visto che ora abbiamo la consapevolezza che con questi due pieni potremo arrivare al confine con la Russia.

La successiva meta di giornata è Nukus, capitale della Repubblica di Karakalpakstan, soggetto federato all’interno dello stato uzbeko. Qui pranziamo spendendo la modica cifra di poco più di un euro a testa. Nukus è una città abbastanza anonima e costruita nel corso del XX secolo con i classici palazzoni sovietici che almeno qui sono ornati e decorati con caratteristiche tipiche della cultura locale. In linea teorica non ci dovrebbe essere nulla di particolare che la possa differenziare dalle altre città delle stesse dimensioni costruite nel Novecento. In pratica qualcosa di particolare c’è: nel centro della molto pulita e ordinata città sorge un grande museo che ospita delle collezioni molto originali. Nel corso di molti anni il pittore e archeologo sovietico Igor Savickij ha raccolto  un elevato numero di opere di pittori avanguardisti sovietici, spesso artisti non in perfetta sintonia con le indicazioni politiche dello stato sovietico. Accumulò queste opere a Nukus dove le autorità locali permisero l’esposizione all’interno di un museo allestito per questo e per ospitare anche raccolte di oggetti legati alla storia del popolo e della cultura karacalpachi. Il risultato è che oggi ci sono persone che vengono a Nukus, davvero fuori da ogni itinerario turistico, appositamente per vedere questo luogo. Vedere, ma senza fotografare visto che gli zelanti addetti al museo chiedono quasi venti euro per il permesso di scattare foto e contestualmente obbligano alla consegna del cellulare. Il sequestro del telefono non ci era accaduto neppure nell’escursione in Corea del Nord a fine luglio. Molto interessanti le scene di vita quotidiana che avvengono nella piazza vicino al museo, con sposi che utilizzano questo scenario per le proprie foto di nozze e numerosi bambini che chiedono di fare selfie assieme ai turisti. Noi ribaltiamo la cosa e chiediamo agli entusiasti bambini karacalpaki di fare un selfie con noi. Loro accettano con grande gioia. A lato della piazza sventolano due enormi bandiere, quella uzbeka e quella karacalpaca, molto simili tra loro ma con una banda orizzontale di colore arancione invece che bianca per il soggetto politico locale. Una volta indipendente l’Uzbekistan faticò a rapportarsi con il Karakalpakastan. Sembra che nei primi anni ‘90 si sviluppò un movimento locale indipendentista, subito stroncato dalle autorità centrali. Di fatto l’aspetto somatico delle persone è di nuovo cambiato rispetto a Khiva o Samarcanda, stavolta prevale la somiglianza con i vicini kazaki.

Lasciamo Nukus e la sua gentilissima popolazione a metà pomeriggio per dirigersi verso Monyaq, circa ottanta chilometri al di fuori del nostro percorso, ma meta di grande interesse per il nostro viaggio. Qui arrivava la sponda del Lago di Aral prima della catastrofe ecologica che ha visto quello che fu il quarto lago più grande del mondo arretrare di centinaia di chilometri fino quasi a sparire. Appena usciti da Nukus attraversiamo per l’ultima volta l’Amu Darya, uno dei due emissari dell’Aral. Il fiume è praticamente asciutto visto il prelievo irriguo destinato alle piantagioni di cotone e frutta che rendono viva l’economia di questo territorio. La strada che ci porta a Monyak non è affatto una delle migliori percorse negli ultimi giorni, ma con qualche attenzione ci permette di arrivare nella cittadina un tempo lacustre poco prima del tramonto. La città ha ancora come simbolo un pesce, almeno questo si capisce dal grande monumento ad inizio paese. Entrando siamo rallentati da una marea di gente che si sta recando nello stadio centrale per una festa cittadina della quale non abbiamo compreso il significato. Forse una specie di patrono locale, ci sembra di capire dalla conversazione con una persona del luogo.

Prima del calare della notte facciamo in tempo a scorgere dall’alto il cimitero di barche che si trova nel pressi del vecchio porto. Decidiamo di rinviare la visita al mattino di domani vista l’ora non idonea per avventurarsi nel greto asciutto del lago. Ceniamo e dormiamo in delle yurte in riva all’ex lago. Curiosa l’iniziativa di una famiglia del luogo che ha costruito queste tende proprio attorno all’ex faro del porto e che riesce a noleggiarle ai pochi turisti che vengono a Monyak. Grazie alla quasi assenza di pubblica illuminazione possiamo godere di un cielo stellato stupendo arricchito anche dal sorgere della luna direttamente da quello che resta del lago.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Nella parte nord del lago di Aral le autorità kazake sono riuscite, grazie alla costruzione di una diga, a riportare il livello della parte settentrionale del lago molto vicino ai livelli del passato. Anche in Uzbekistan il nuovo presidente dimostra interesse sull’argomento, nonostante qualsiasi tipo di progetto per invertire la tendenza sia ancora in alto mare.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina