Giorno 74 – Khiva, la città nel deserto

28 agosto 2018, Khiva (0 km – tot. 25.625)

La Torino-Pechino ha deciso di sostare un giorno a Khiva per potersi godere con calma la piacevole cittadina ubicata in un’oasi nella provincia uzbeka di Corasmia, al confine tra Uzbekistan e Turkmenistan. La decisione è arrivata dopo aver dato un rapido sguardo allo splendido centro cittadino nelle ultime ore di luce di ieri sera. A questo punto siamo consapevoli che accumuleremo ulteriore ritardo, ma non approfondire la conoscenza di questo luogo sarebbe stato un crimine. La leggenda dice che la città sia stata fondata da Sed, uno dei figli di Noè. La realtà dice che era un centro importante della Via della Seta e le prime tracce storiche si trovano in documenti datati circa mille anni fa. Le piazze di Khiva erano note nei secoli scorsi per i propri mercati di schiavi e per almeno due sconfitte patite dall’Impero Russo nel tentativo di sottomettere il Khanato.

La giornata inizia con la massima tranquillità visto che approfittiamo per riposare leggermente più del solito. Dopo la colazione ci avventuriamo nei vicoli di Khiva senza bisogno della nostra auto, lasciata a riposare nel parcheggio dell’albergo che ci ospita. Per accedere al centro della città è necessario acquistare un biglietto di circa dieci euro che permette la visita di tutti i musei, moschee, minareti, medresse presenti all’interno delle mura cittadine. Questo è un chiaro segnale di attenzione nei confronti dei turisti e del fatto che la città è molto più moderna e commerciale di quanto possa sembrare al primo sguardo. La cosa ai nostri occhi incredibile è che la maggior parte delle case e buona parte delle mura che cingono il centro storico sono fatte di terra e paglia. Questo dimostra l’inesistenza del fenomeno delle piogge in questa zona geografica, altrimenti sarebbe stato impossibile per queste strutture resistere per centinaia di anni. Alcuni palazzi, stavolta in mattoni e pietra, hanno la veneranda età di mille anni. Khiva con il suo Khanato per secoli è stata una fiera avversaria di Bukhara e Samarcanda e oggi di fatto è assieme alle due ex rivali una delle tre principali attrazioni turistiche dell’Uzbekistan. Rimane la differenza che il cuore storico di Khiva appare più vero e realmente abitato da persone normali rispetto ai centri molto modernizzati di Samarcanda e Bukhara. Anche l’aspetto delle persone è leggermente diverso, con tratti molto più turchi e meno asiatici. Tra le visite effettuate, forse una delle più curiose è la salita in cima ai cinquantasette metri del minareto del complesso Islam Khodya. Le guide cartacee scrivono quarantacinque metri, ma la custode della torre assicura che sbagliano. Le scale che portano in vetta sono elicoidali in legno, prive di luce o qualsiasi misura di sicurezza. Il panorama che regala questa esperienza è degno della fatica e tensione accumulate per scalare la struttura. Il veloce pranzo in uno dei tanti ristoranti è utile per organizzare le ulteriori visite del pomeriggio. La degustazione tris di plov, manty e golubtsy è un gustoso capolavoro della cucina ex sovietica. Moschee, giro delle mura, antichi palazzi, vecchi bazar, nuovi mercatini e perfino la vecchia e scalcinata ruota panoramica made in Urss dimostrano che in una giornata è impossibile visitare con il sufficiente tempo le sedici attrazioni comprese nel biglietto pagato in mattinata. Facciamo il possibile rimanendo dell’idea che la città abbia meritato questa sosta non prevista di un giorno in più. Tra i punti di forza di una fermata qui ci sono i prezzi delle bancarelle presenti nelle stradine della città che sono almeno la metà degli stessi souvenir acquistabili a Samarcanda o Bukhara. Bello poter osservare per il secondo giorno di fila lo spettacolo del tramonto che illumina di un colore speciale le cupole delle moschee con in lontananza i riflessi del deserto. Ieri la posizione privilegiata era una terrazza sopra le mura della città, oggi il balcone del nostro albergo. Scegliamo uno dei migliori ristoranti di Khiva per l’ultima cena in questo scenario. Anche in questo caso l’alta posizione domina la fortezza e il tozzo minareto incompleto chiamato Kalta Minor. Il nostro sfarzo ci costa ben cinque euro a testa, cifra davvero folle a queste latitudini. Il riposo in vista delle difficili giornate che ci aspettano è doveroso e proprio per questo non facciamo le ore piccole.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– Khiva essendo meno popolare di Samarcanda e Bukhara vive in modo minore la presenza dei flussi turistici. Questo fa in modo che la città sia nelle stesse condizioni in cui erano Bukhara e Samarcanda dieci anni fa. Le strade sterrate, i pavimenti vecchi, alcuni edifici in abbandono oltre alle case del centro veramente abitate rendono Khiva più reale delle altre due mete turistiche. Speriamo che il cambiamento inesorabile che ci sarà non sia simile a quello avvenuto nelle altre mete turistiche uzbeke.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina.

Giorno 73 – Nel deserto del Kizilkum tra uzbeki, kazaki e karakalpachi

27 agosto 2018, Bukhara-Khiva (442 km. – tot. 25.625)

Di primo mattino, dopo la consueta abbondante colazione, lasciamo il piacevole hotel Edem gentilmente messo a disposizione da Fornovo Uzbekistan. Partiamo alla volta di Khiva assieme a Nozimjon, ormai nostra personale guardia del corpo. La distanza che ci separa dalla città storica obiettivo di giornata è di poco superiore ai quattrocento chilometri, ma con una parte di strada dal fondo non eccellente. Khiva era nel mirino anche della Torino-Pechino 2008, ma a causa del conflitto russo-georgiano dell’agosto di quell’anno fummo costretti a cambiare itinerario e rinunciare a questa bella città.

I primi cento chilometri di strada sono, come previsto, davvero pessimi, con i famosi avvallamenti dovuti al peso dei mezzi pesanti. A seguire comincia una superstrada in cemento, con quattro corsie, nella quale si superano in massima tranquillità i cento km/h. Entriamo nella Repubblica di Karakalpakstan, un soggetto autonomo all’interno dell’Uzbekistan dove vivono ben oltre un milione di persone suddivise in tre gruppi etnici equivalenti: uzbeki, kazaki e karakalpachi. Le lingue ufficiali sono l’uzbeko e il karacalpaco. Il territorio di questa zona è caratterizzato dalla presenza del deserto del Kizilkum che divideva l’emirato di Bukhara da quello di Khiva. Le uniche macchie di verde sono in lontananza lungo il corso del fiume Amu-Darya, che in questo tratto divide l’Uzbekistan dal Turmenistan. Avvistiamo il fiume e il confine tra i due stati più volte durante il trasferimento. In un punto qualsiasi del deserto decidiamo di inoltrarci tra le piccole dune per fare alcune fotografie. Sorprendentemente scopriamo un mondo nuovo, fatto di pecore e pastori. Le povere pecore hanno davvero poco da mangiare e si gettano tra i pochi cespugli dove sopravvive qualcosa di verde. Suscitiamo la curiosità dei pastori che probabilmente si chiederanno cosa siamo venuti a fare dall’Italia fino a questo luogo ameno.

Alle 14 siamo finalmente presso la cittadina di Beruniy dove ci aspetta Gajrat, titolare della locale stazione di metano. Naturalmente non ci occupiamo solo di fotografare il sito e di rifornire l’auto, ma come di consueto andiamo a pranzare assieme e non sarà uno spuntino leggero. Sul nostro tavolo, in un ristorante della zona compare anche il pesce dell’Amu-Darya oltre alle consuete verdure, ottima frutta e carne. Siamo in un’oasi, ulteriormente alimentata dalle acque del fiume che, come già detto, non ha più le forze per sfociare nel Lago di Aral. Gajrat ci presenta la prestigiosa vodka “Karatau”, pluripremiata tra le migliori esistenti in Russia e dintorni. Il capospedizione Guido, essendo impegnato nella guida, non può che assaggiare un piccolissimo bicchiere del prezioso liquido. Gajrat si adegua e ci regala una cassa da sei bottiglie da bere quando non guidiamo… Ringraziamo per la gentilezza e spieghiamo che torneremo alla stazione di Beruniy per rifornire anche quando lasceremo Khiva.

Ultimi quaranta chilometri e finalmente raggiungiamo la storica città dove prendiamo possesso di una stanza presso il centralissimo Hotel Islambek. A questo punto la missione di accompagnamento di Nozimjon si conclude e con un comodo passaggio d’auto, a metano, della durata di sedici ore ritornerà a Tashkent nella notte. Doniamo al nostro più accanito fan la maglia ufficiale della Torino-Pechino 2018 e lui gradisce molto il pensiero. La difficoltà a visitare la città di Khiva emerge anche quest’anno visto che, a causa di tutti gli impegni della giornata, cominciamo il tour turistico praticamente alle 19.00. Facciamo in tempo a percepire la bellezza di questo luogo anche grazie all’escursione in una delle torri più alte e panoramiche della città, da cui possiamo godere del tramonto. Durante la cena consumata in un piccolo locale all’aperto del centro cittadino emergono tutti i nostri dubbi sul restare o meno un giorno in più a Khiva per potere avere il tempo di gustarsela con calma. Ci sono aspetti positivi in questa scelta e altri negativi che ci potrebbero costringere a fare velocemente le visite successive. Ci prendiamo alcune ore per approfondire l’argomento e comprendere con esattezza quale potrebbe essere la scelta migliore.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La morte del già Presidente Karimov, di cui il 2 settembre ricorre il secondo anniversario, ha portato al potere il suo ex primo ministro Shavkat Mirziyoyev, il quale ha molto alleggerito il controllo della polizia all’interno del paese. Uno dei cambiamenti più evidenti è la cessazione dei numerosi posti di blocco lungo le strade che opprimevano gli automobilisti.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina, Nozimjon Shermuhamedov

Giorno 72 – Lo splendore di Bukhara

26 agosto 2018, Bukhara (38 km. – tot. 25.183)

La giornata comincia con un interessante fuori programma. Come avevamo già accennato precedentemente in Uzbekistan stanno del tutto scomparendo i carburanti tradizionali, in particolar modo il gasolio. Sopravvive qualche luogo di rifornimento, ma se non si è in possesso di uno speciale permesso riservato ai veicoli dello Dtato o a quelli dell’esercito, comprare il diesel diventa impossibile. In questo periodo dell’anno, complice la raccolta del cotone, la disponibilità di questo carburante è ancora più limitata. I nostri angeli custodi di Fornovo fin da ieri, senza successo, hanno cercato la possibilità di assicurarci un rifornimento che ci permettesse di uscire senza problemi dall’Uzbekistan. Oggi si è aperta la possibilità di poter acquistare una cinquantina di litri di gasolio in una località a circa 20 chilometri da Bukhara, non lontano dal confine turkmeno. Guido, accompagnato da Pavel, si reca in questa stazione di servizio. Il luogo è abbastanza “retrò” e i dubbi sulla qualità di quello che metteremo nel serbatoio sono molti, ma non ci sono molte alternative e non possiamo fare gli schizzinosi. Qualunque sarà la qualità del gasolio non possiamo rinunciare. L’erogatore è addirittura con le lancette, di quelli che Guido nei suoi oltre quarant’anni di vita non ha mai visto. Completata l’operazione si rientra a Bukhara dove può finalmente iniziare la giornata quasi interamente turistica che avevamo programmato.

La città ha una storia molto lunga e complicata ed è legata indiscutibilmente al passaggio di personaggi importanti come Tamerlano o Gengis Khan. Pure Niccolò e Matteo Polo, padre e zio del più noto Marco, sostarono per diversi anni in questo luogo. Bukhara è una delle tappe più importanti della Via della Seta e i numerosi caravanserragli e mercati presenti ne sono ancora oggi una importante testimonianza. Tra i luoghi più affascinanti della città c’è la fortezza di Ark dove risiedeva fino al 1920 l’Emiro e il complesso religioso attorno all’imponente minareto Kalon, una torre che forse era uno degli edifici più alti al mondo nel tredicesimo secolo. Si racconta che quando Gengis Khan conquistò e distrusse Bukhara, volle risparmiare il grande minareto per la sua bellezza ed imponenza. Altri dicono che, sollevando la testa per ammirare il manufatto, al condottiero mongolo cadde il cappello e questo segnale lo convinse a rispettare questa torre e risparmiarla. Non visitabile internamente la scuola coranica che rimase attiva anche in epoca sovietica. Qui ha studiato Kadirov, l’attuale presidente ceceno. In questa zona della città ci dedichiamo al pranzo a base di samsa e verdure. L’Emiro perse il proprio potere con l’arrivo dei sovietici, che trasformarono questo territorio prima in una repubblica all’interno dell’Urss e poi in quello che oggi è l’Uzbekistan. Di fatto il territorio era sotto il protettorato dell’Impero Russo già da cinquanta anni. In ogni caso il Khanato di Buhkara e poi l’Emirato riuscirono a resistere per secoli sottomettendo buona parte degli stati confinanti. La storia di questo soggetto politico è fortemente legata alla pazzia dei confini delle attuali repubbliche post sovietiche centroasiatiche.

Pomeriggio dedicato alla visita dei mercati presenti in tutta la città dove con costanza, pazienza e spirito di intraprendenza si possono fare ottimi affari. Particolare è la piazzetta con al centro una grande vasca d’acqua. Per molte analogie ci viene in mente la piazza della cittadina toscana di Bagno Vignoni. Anche qui rispetto a dieci anni fa è apparsa una pavimentazione consona e la zona è stata chiusa al traffico veicolare. Forse nel complesso tutto è diventato molto turistico e siamo convinti che la polvere delle strade sollevata dalle vecchie Lada di dieci anni fa non rovinasse lo scenario. Dopo un riposo pomeridiano nel nostro bell’albergo ceniamo per l’ultima volta assieme a Pavel e Nozimjon. Con il primo avvengono anche i saluti ufficiali visto che non potrà accompagnarci nel viaggio del giorno successivo causa impegni di lavoro. Un’ultima passeggiata nel cuore di Bukhara e quindi torniamo in albergo in vista della giornata che domani ci porterà a Khiva, altra storica città ubicata lungo la Via della Seta.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– Anche Bukhara, come Samarcanda, è un’altra città, molto abbellita e molto turistica rispetto alla dimensione più rurale del 2008. In particolare le strade sono molto migliorate e dotate di marcipiedi. Il turismo di massa ha fatto la sua comparsa e le maggiori attrazioni sono diventate a pagamento, anche se per cifre molto modeste.
– La mitica torre dell’acqua, la paurosa struttura in metallo da dove si godeva di un ottimo panorama sulla fortezza Ark, è al momento chiusa al pubblico. Una ristrutturazione in corso porterà alla nascita di un bar sulla terrazza che domina la sommità.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina, Nozimjon Shermuhamedov, Pavel e Anna.

Giorno 71 – In un mare di metano

Samarcanda-Bukhara (347 km. – tot. 25.145)

La delegazione Torino-Pechino e Fornovo Uzbekistan lascia Samarcanda dopo avere approfittato delle prime ore del mattino per fare le consuete foto di rito vicino al Registan e quelle con la cartellonistica d’ingresso alla città.
Il primo impegno del giorno è raggiungere la città di Karshi, a metà strada tra Samarcanda e Bukhara, dove siamo attesi per un pranzo a base di plov, il piatto tipico ed originario di questa zona, e per il rifornimento in una nuova stazione di metano appena aperta e dotata di compressori Fornovo. La strada è abbastanza buona e fa una certa impressione notare i cartelli che indicano Termez, la città di frontiera tra Uzbekistan e Afghanistan. Ancora un volta il transito lontano dalle città ci permette di poter provare a capire come si vive in campagna. Spesso lungo la strada possiamo ammirare le piantagioni di cotone di cui l’Uzbekistan è uno dei più importanti produttori mondiali. Questa coltivazione è indirettamente responsabile della diminuzione della portata dell’Amu-Darya, il fiume che alimentava la parte meridionale del quasi prosciugato Lago di Aral. L’animale più presente lungo la strada è il dromedario e più volte siamo costretti a rallentare improvvisamente per evitare di investire i branchi che brucano le erbe lungo il margine stradale. Il viaggio è un ottima occasione per parlare con l’amico Nozimjon, che ci racconta le dinamiche del suo lavoro e l’esplosione del fenomeno metano in Uzbekistan. La scoperta di una serie di giacimenti in tutto il Paese ha portato alla conversione quasi totale del parco automobilistico nazionale e all’apertura di cinquecento punti di rifornimento. Circolano molti autobus e camion alimentati completamente usando il metano. Nessun paese al mondo ha in così poco tempo cambiato la propria vocazione automobilistica. Superata Karshi arriviamo a Koson dove ci riforniremo dopo aver pranzato assieme agli amici di Fornovo Uzbekistan e ai gestori della stazione di metano presente in città. Si uniscono a noi Pavel e la moglie Anna, originari di Bukhara. Pavel è il responsabile tecnico degli impianti installati da Fornovo nel Paese. Procediamo al rifornimento della Toyota Hilux nella moderna stazione di metano aperta da meno di un anno dove abbiamo modo di vedere da vicino il potente compressore nuovo di zecca. Siamo accolti con simpatia da tutti coloro che lavorano presso questa struttura. Non mancano, come al solito, le foto commemorative dell’evento. Il viaggio prosegue con un curioso fuori programma a circa trenta chilometri da Bukhara, presso una riserva naturale voluta secoli fa dal locale emiro. Qui abbiamo modo di visitare un parte della struttura dove sono presenti animali tipici di questa regione. Tra le tante bestie facciamo amicizia con Sashka, un cucciolo di una specie di capra selvatica o forse di una specie a noi non nota di mini antilope uzbeka. Il piccolo ha tre mesi e si comporta come un cane, dato che segue passo passo gli umani e si fa accarezzare senza problemi.
Il paesaggio è completamente desertico fino all’arrivo vicino a Bukhara dove comincia il verde dell’oasi che circonda la ex capitale dell’omonimo khanato che per secoli ha dominato il territorio dell’attuale Uzbekistan. Alle porte della città c’è un’altra stazione di metano che vanta un piccolo record: nel 2013 fu il primo dei punti di rifornimento aperti da Fornovo in Uzbekistan. C’è molto traffico di auto che devono caricarsi di gas naturale, ma tutti i presenti ci lasciano il posto per rifornirsi dedicandoci parole di sostegno per il nostro viaggio. Come al solito rispondiamo a molte domande sul nostro impianto diesel-metano. Finalmente entriamo a Bukhara, che come Samarcanda appare notevolmente cambiata rispetto a dieci anni fa. Le case di epoca sovietica hanno lasciato il posto a molti nuovi palazzi con uno stile più in linea con l’architettura centroasiatica.
I nostri amici uzbeki ci hanno riservato tre camere singole in un dei migliori alberghi della città, ubicato a due passi dalla parte vecchia. L’ospitalità della locale filiale di Fornovo è davvero grande e siamo quasi imbarazzati nel vedere la qualità delle stanze dove siamo alloggiati. Riusciamo a convincere Pavel e Nozimjon a fare finalmente una cena leggera dopo i bagordi degli ultimi due giorni. Ottima frutta e una serie di buone insalate dominano la nostra tavola. Tutto questo è un buon inizio per la lunga e bellissima passeggiata nella parte vecchia di Bukhara. Impressionante l’immagine notturna del grande minareto Kalon con dietro una luna quasi piena e il pianeta Marte forte di tutto il suo caratteristico rossore. Il riposo nel comodo albergo sarà determinante per vivere con calma la rilassante giornata di domani.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– L’incremento delle stazioni di metano e gpl ha portato alla quasi scomparsa delle tradizionali stazioni di benzina e gasolio in alcune zone dell’Uzbekistan.
– A bordo strada è scomparsa una parte dei cartelli che ricordavano frasi del defunto presidente Karimov, prontamente sostituiti con frasi del nuovo presidente Shavkat Mirziyoyiev.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina, Nozimjon Shermuhamedov e gli altri amici di Fornovo Uzbekistan

Giorno 70 – Non è poi così lontana Samarcanda

24 agosto 2018, Panjakent-Samarcanda (67 km. – tot. 24.798)

La sana dormita tagika si conclude con un’ottima colazione offerta dalla struttura che ci ospita. A seguire perdiamo circa mezz’ora nella ricerca delle chiavi della macchina che in realtà erano disperse nel letto della camera. Superato questo momento di confusione ci incamminiamo verso la frontiera dopo aver consapevolmente finito i residui di valuta tagika acquistando qualche litro di gasolio. Circa quindici chilometri e siamo pronti per affrontare il confine tra Tagikistan e Uzbekistan. Il lato tagiko si rivela ancora una volta non complesso se non per lo smaltimento della piccola coda composta da cinque auto. Come potevamo aspettarci il lato uzbeko è molto più complicato. L’ispezione alla Hilux è lunga, con domande legate prevalentemente alla curiosità per l’impianto diesel-metano oltre che, per l’ennesima volta, sul commissario Corrado Cattani. Non è chiaro l’aspetto assicurativo dell’auto. Ci risultava di dover provvedere all’acquisto di un’assicurazione stradale, ma i doganieri ci dicono di no. Insistiamo e ci viene detto che in dogana non possiamo provvedere a sbrigare questa pratica. I tagiki di passaggio ottengono l’assicurazione senza problemi mentre a noi ciò non è permesso. Alla fine rinunciamo ad ulteriori domande e felicemente entriamo in Uzbekistan. I chilometri che ci separano da Samarcanda sono circa quaranta e li trascorriamo ascoltando ripetutamente la nota canzone di Roberto Vecchioni. Siamo in città attorno a mezzogiorno e dopo aver provveduto all’acquisto di una scheda telefonica uzbeka raggiungiamo il piccolo hotel Legend dove sono alloggiate da tre giorni Alessandra e Giulia, che si uniranno alla Torino-Pechino per la prossima settimana. In realtà le due ragazze toscane erano pronte ad unirsi al nostro viaggio già da quattro giorni, ma il ritardo accumulato in precedenza le ha costrette a visitare Tashkent e Samarcanda con la massima tranquillità. L’incontro tra i valtiberini dispersi nella città metà uzbeka e metà tagika avviene attorno alle 13 dell’ora locale. Subito usiamo il pranzo come briefing per stabilire il da farsi nei prossimi giorni. Poco dopo arrivano Sardorbek e Baktior, persone di fiducia della succursale uzbeka di Fornovo, uno dei principali partner del nostro viaggio. Con loro visitiamo alcune delle attrazioni turistiche di Samarcanda. Alterniamo russo ed inglese per comprendere completamente la storia di questa città che ha molto da raccontare. Notevoli i cambiamenti urbanistici e l’incremento degli aspetti turistici in soli dieci anni. Una delle poche novità di rilievo è il mausoleo di Islom Karimov, primo presidente dell’Uzbekistan indipendente venuto a mancare nel settembre del 2016. Sul suo conto la stampa occidentale non ha mai speso grandi elogi, pur riconoscendo la capacità di fermare qualsiasi deriva islamista della nazione da lui presieduta. Karimov era originario di Samarcanda e figlio di genitori uzbeki e tagiki, ovvero le due componenti etniche principali della città. Dopo un rapido passaggio nei principali monumenti cittadini ci rechiamo in un ristorante caratteristico, il Samarcanda, dove ci aspettano Tolib e Nozjmion, responsabili di Fornovo Uzbekistan, che ci hanno raggiunto apposta dalla capitale Tashkent. Nozjmion fin dall’inizio del viaggio risulta essere uno dei più attivi estimatori della Torino-Pechino 2018 grazie alla propria attività sui social network. Un banchetto di vaste proporzioni caratterizzerà la nostra cena. Tra tutto una lode particolare al vino di produzione locale e alla carne di agnello. Il lauto pasto è l’occasione per concordare la strategia per i prossimi giorni oltre che per scambiare commenti ed idee sullo sviluppo del metano in questo paese. Sono già cinquecento le stazioni di rifornimento dedicate al gas naturale e anche questo è un forte sviluppo avvenuto negli ultimi anni, visto che nel viaggio del 2008 il metano era praticamente assente dal panorama dei carburanti locali. Fornovo è naturalmente in prima linea nella costruzione di stazioni di rifornimento del metano, massicciamente presente nel sottosuolo del paese centroasiatico.
Alla fine del lauto pasto siamo riaccompagnati al nostro alberghetto. C’è il tempo per una passeggiata notturna sotto le mura del Registan, l’attrazione principale della città. Anche qui molto è cambiato negli ultimi dieci anni e tra tutto emerge una grande statua di Islom Karimov. Sperando che il cammino abbia aiutato la nostra complessa digestione proviamo a dormire, visto che già domani ci trasferiremo in un’altra città uzbeka.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– Samarcanda è molto cambiata e non solo per il mausoleo e la statua dedicata al da poco defunto presidente Karimov. Tutti i complessi monumentali sono collegati da un nuovo viale dedicato all’ex presidente. In linea di massima la città ha avuto uno sviluppo turistico decisamente forte.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 69 – Gita tagika

23 agosto 2018, Osh-Panjakent (616 km – tot. 24.731)

Fin dall’inizio della Torino-Pechino il Tagikistan era uno degli obiettivi del viaggio, visto che nel 2008 non riuscimmo a visitarlo. Il ritardo di cinque giorni con il quale siamo arrivati ad Osh non risulta essere l’unico problema. Il valico di confine che volevamo attraversare per entrare in Tagikistan risulta chiuso a non tagiki o kirghisi. Quello spettacolare della strada del Pamir è invece al momento sconsigliato dopo i recenti attacchi terroristi ai danni di turisti stranieri. Rimane quello di Kyzyl-Bel, una remota località della Kirghisia occidentale, in teoria non raggiungibile a causa di una enclave uzbeka nella quale passa la strada di collegamento. Bruciare il nostro unico visto di ingresso uzbeko per questa enclave non vale la pena. Da ieri sera è emersa una novità. Sembra esserci a nord dell’enclave uzbeka di Sokh un nuovo percorso alternativo. A dire il vero le poco precise mappe di Google indicano tre sconfinamenti in Uzbekistan e Tagikistan su questo percorso. Yandex, il “Google russo”, indica invece che tutta la nuova strada è all’interno della Kirghisia. Un ingegnere russo ospite nel nostro stesso albergo ci conferma l’esistenza della strada. Decidiamo di provare questa nuova e rischiosa esperienza. Partiamo dopo la colazione e qualche foto commemorativa della nostra presenza ad Osh. La prima parte del nostro cammino è all’interno dei soliti paesini trasformati in enormi bazar. Questo significa che gran parte del viaggio avviene a passo d’uomo. Un’anomalia al pedale della frizione che tende a rimanere bloccato in posizione attiva ci costringe ad una sosta da un gentilissimo meccanico che non vuole neppure farsi pagare per il ripristino del funzionamento del pedale. A parte i paesini e un tratto di quindici chilometri terribile a causa dei lavori di miglioramento del fondo stradale, il resto del viaggio scorre sulla nuova e confortevole strada che ci era stata segnalata. In effetti il percorso lambisce più volte i confini di stato e proprio per questo, a volte, fa delle curve davvero anomale per evitare sconfinamenti. Nessun rischio di finire nel lato sbagliato visto che blocchi di cemento e filo spinato sono praticamente ovunque. Chi ha disegnato i confini delle repubbliche sovietiche doveva non avere in simpatia il Kirghizistan. È evidente che tutte le zone fertili delle vallate che tocchiamo sono sotto la bandiera uzbeka, mentre le parti aride sono tutte per Bishkek. A proposito di enclavi uzbeke, possiamo notare nella zona dove il confine è più confuso una miriade di pozzi di petrolio. Questa ricchezza sicuramente non aiuta ad accordarsi sulle parti contese della linea di demarcazione.

Nessuna indicazione per trovare la stazione di frontiera che stiamo cercando. Alla fine chiediamo alla polizia che ci indica la giusta direzione. Le strutture doganali appaiono squallide e semiabbandonate. Nessuna fila in dogana e il cancello in ferro si apre solo per noi. Lato kirghiso molto veloce con solo la richiesta di denaro per la tassa ecologica. Paghiamo i circa 1000 sum (più o meno 13 euro) con quindici euro, dei quali non avremo mai il resto. Ottimo l’umore dei doganieri tagiki. Tutti sorridenti e simpatici mentre controllano l’auto, il visto e naturalmente anche qui una tassa ecologica di ben 25 dollari. Stavolta il resto ci viene dato in moneta locale dopo che avevamo usato una banconota da 50 verdoni. La qualità delle strade tagike è sorprendente: sono nastri d’asfalto impeccabili se non per il fatto che non si trova neppure un cartello. La polizia però è ovunque e come quella kirghisa non ferma mai gli stranieri. Sembra una decisione imposta dall’alto quella di non disturbare i turisti, esattamente l’opposto di quello che avveniva in passato. Noi però ci fermiamo volontariamente ad ogni posto di blocco per avere la conferma della direzione nella quale stiamo andando. Ad ogni sosta ci viene elargita una stretta di mano da entrambi i membri della pattuglia. Proviamo a consumare i nostri “somoni” tagiki presso un ristorante lungo la strada che porta a Dushanbe. Come al solito il suino Bruno, non amato dagli islamici, rimane in auto a mangiare le ghiande kirghise mentre Guido siede da solo al proprio tavolo. Un camionista e due altri viaggiatori invitano Guido a sedersi vicino a loro per raccontare il viaggio che sta facendo. I tagiki sono molto ospitali e tutto il cibo del tavolo viene diviso tra tutti i presenti. Il conto sarà pagato da loro in cambio di un piccolo passaggio di un chilometro al paese vicino per uno dei commensali. La penuria di cartelli continua e trovare la dogana di Nov-Bekobod per raggiungere l’Uzbekistan diventa una vera impresa. Alla fine arriviamo alla stazione di frontiera, ma il cancello per noi non si apre. Trattasi di dogana pedonale e se vogliamo passare in auto c’è un punto di passaggio a sessanta chilometri a nord-est, cosa che allungherebbe la strada per Samarcanda. Tra l’altro la strada che dovremmo percorrere è sterrata. Ci pensiamo un attimo e poi torniamo sulla ottima strada per Dushambe che porta anche all’altra dogana verso l’Uzbekistan. In questo tratto è previsto un piccolo valico montano di quasi 3.400 metri. La saggezza impone di fermarsi in un albergo e aspettare il mattino, ma con nostro dispiacere scopriamo che in Tagikistan, oltre ai cartelli stradali, mancano del tutto le strutture ricettive lungo le strade. Le prossime città con alberghi sono Panjakent o la capitale Dushanbe. Entrambe sono a circa duecento chilometri da noi. Si parte, consapevoli che faremo una lunga parte di strada, per fortuna ottima, con il buio. La salita verso il valico è molto diversa dalle asperità affrontate in Kirghizistan. Anche qui la strada sale con pendenze disumane e con pochissime curve sempre a largo raggio, ma il panorama è molto meno alpino. Si arriva ai tremila metri con grande facilità e quasi senza accorgersene. Come ieri si supera il valico all’interno di una lunga e fumosa galleria. Peccato che l’oscurità impedisca di dedicarci alle fotografie del paesaggio, ma visto che la discesa è senza parapetti su burroni che conducono direttamente all’inferno, forse è meglio non vedere… Sulla sinistra i massi che si staccano dalla montagna, sulla destra il nulla. Procedere a passo lento e in fila dietro ad altre macchine diventa una necessità per avere punti di riferimento nell’oscurità. Tornati a valle si raggiunge con massima tranquillità la cittadina di frontiera di Panjakent, dove dormiamo all’hotel Umarion su consiglio del camionista con cui avevamo mangiato a pranzo. Piccola cena in un locale vicino dove, come quasi ovunque, non si servono alcolici. La passeggiata serale avviene tra tanti manifesti improbabili del Presidente tagiko Emomali Rahmon, in carica ininterrotamente dal 1994 e protagonista di quasi tutte le immagini ammirate nelle centinaia di chilometri di strada percorsa oggi.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La Kirghisia ha costruito una bella rete stradale per saltare tutte le anomalie di confine che rendeva molto complesso il viaggio da un luogo all’altro.

– Il Tagikistan fa pagare continuamente piccoli pedaggi stradali, ma ha le strade di gran lunga migliori dell’ex Unione Sovietica.

– La polizia di queste due nazioni non ferma mai gli stranieri. Dieci anni fa era lo sport preferito.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 68 – Kirghisia “coast to coast”

22 agosto 2018, Bishkek-Osh (655 km. – tot. 24.115)

Partenza prima delle sette per fare in modo di arrivare ad Osh, dall’altra parte del Paese, prima che faccia buio. Nessun problema per uscire dal traffico cittadino visto che la maggior parte degli automobilisti sta entrando nella capitale mentre noi ne usciamo. Manca del tutto la segnaletica che ci possa aiutare a capire la direzione giusta e siamo costretti ad affidarci all’intuito e chiedere conferma ai passanti. Una volta fuori da Bishkek, dopo aver sbagliato almeno due volte strada, imbocchiamo quella giusta, come conferma il pedaggio di quasi cinque euro che ci viene chiesto per percorrere questa strada speciale. La particolarità di questo percorso è la presenza di due valichi montani di 3.300 metri e 3.200. La strada è aperta tutto l’anno ed è anche in buone condizioni! L’inizio del percorso è spettacolare, dato che si affrontano subito dei tratti in salita costante al 12%. Pochissimi i tornanti, piuttosto ci sono lunghe curve a largo raggio per favorire il traffico dei camion. Si risale prima la valle del fiume Kara-Balta e poi quella di un suo affluente, l’Abla. Ogni cambio di direzione corrisponde ad un nuovo panorama, ma la parte più spettacolare è il passaggio sopra le nuvole. Il finale è costituito da una stretta galleria di tre chilometri completamente satura di smog. Sull’altro versante scopriamo numerosi villaggi fatti delle tipiche tende, le yurte, i cui abitanti, oltre a controllare i pascoli, gestiscono attività di vendita e degustazione di prodotti tipici, ristorantini e addirittura alberghi nelle tende. Il sole illumina le vallate e regala colori molto vivaci. Se nella prima salita predominava il rosso della pietra, ora è il verde dei pascoli a fare da cornice.

Nella cima della seconda salita incontriamo Valentina, una ciclista italiana che ci chiama riconoscendo la targa familiare dell’Hilux. È di origine trentina e sta tornando in Italia direttamente dal Vietnam. Percorre in circa due anni l’intera Eurasia in bicicletta, quasi sempre in solitaria. Ci fermiamo alcuni minuti a parlare delle rispettive avventure, ma la sua è davvero più ecologica della nostra! Sia per Valentina che per noi comincia una lunga discesa di oltre cinquanta chilometri che ci riporta ad altezze moderate, con temperature che ritornano sopra i 30°. La seconda parte di strada è meno bella dal punto di vista naturalistico, ma interessante da quello energetico. Una serie di centrali idroelettriche sul fiume Naryn creano alcuni laghi artificiali di un azzurro molto forte a contrasto con il rosso e il marrone delle rocce attorno. La strada sale e scende attorno ai laghi e alle dighe fino al secondo punto di pedaggio, dove paghiamo altri quasi cinque euro. Impressionante vedere la differenza tra le zone verdissime nei pressi dell’acqua e tutto il resto decisamente arido.

Lasciato il fiume, la strada compie una serie di deviazioni innaturali a causa del confine con l’Uzbekistan, che costeggia l’asfalto. Siamo nella Valle di Fergana, uno dei puzzle geopolitici più complessi al mondo. Ai tempi dell’Unione Sovietica la strada entrava e usciva più volte dai due stati federati senza creare problemi a nessuno. Oggi per raggiungere Osh, a causa del confine, ci sono tre modifiche del percorso che allungano il cammino di circa centoventi chilometri. Assai curioso vedere come i fatti del 1991 abbiano diviso queste popolazioni lasciando in Kirghizistan una cospicua minoranza uzbeka e viceversa. A complicare il quadro ci sono anche numerose comunità tagike con lo stesso problema e separate dai connazionali da questo folle confine nel quale, come vedremo domani, ci sono anche numerose enclavi. Non è un caso che nella uzbeka Andjan e nella kirghisa Osh negli scorsi anni siano scoppiate rivolte che hanno portato a diversi sanguinosi scontri tra le due popolazioni. Il confine tra Kirghizistan e Uzbekistan è stato ufficialmente riaperto da pochi mesi e il nuovo presidente uzbeko sta cercando di accordarsi con i kirghisi per la definizione del pazzo confine.

L’ultima parte del viaggio ci vede attraversare una miriade di paesini pericolosissimi dove bambini, animali, guidatori indisciplinati mettono a dura prova la nostra pazienza. Procediamo con cautela anche a causa del fatto che qui non esiste l’assicurazione per l’auto e quindi ogni eventuale danno procurato o subito potrebbe generare grossi problemi. Poco prima di Osh superiamo il Kara-Darya, che pochi chilometri a valle, unendosi al già citato Naryn, crea il Syr-Darya, uno degli emissari del lago d’Aral. Il cospicuo prelievo d’acqua per le coltivazioni di cotone in Uzbekistan impedisce in molte annate al fiume di raggiungere ciò che resta del lago, contribuendo ad un disastro ambientale in atto da decenni.

Dopo tredici ore di viaggio, praticamente al tramonto, siamo finalmente ad Osh. Il traffico cittadino è quello tipico di una città araba con grande caos lungo le strade strapiene di negozi di ogni genere. Siamo alloggiati all’hotel Osh-Nuru, un residuo di epoca sovietica elegante e centrale. Infatti raggiungere a piedi la piazza principale con la relativa statua di Lenin è questione di pochi minuti. Questa sera ceniamo in un locale alla moda dove dopo le 22 comincia anche uno scatenato ballo tra i clienti. Il piatto tipico di Osh è la “samsa”, un impasto a forma triangolare con dentro di tutto. La proviamo ancora una volta con gusto pur conoscendo già di cosa si tratta.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– È stato riaperto il confine tra Uzbekistan e Kirghizistan. Se questo non fosse avvenuto alcuni mesi fa, adesso saremmo in un vicolo cieco dal quale sarebbe difficile uscire.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 67 – Festa a Biškek

21 agosto 2018, Bishkek (20 km, tot. 23.460)

La mattinata viene dedicata al turismo nella capitale kirghisa. Approfittando del deserto urbano motivato dalla ricorrenza islamica della “Festa del Sacrificio”, in centro non c’è quasi anima viva. Scattiamo foto nelle principali attrazioni cittadine che si concentrano essenzialmente nei pressi di Piazza Ala-Too. Al contrario di quello che succede in altre repubbliche post sovietiche, qui sopravvive una grande statua di Lenin. Riusciamo anche a procurarci una carta telefonica kirghisa, delle cartoline con francobolli alla posta centrale e una mappa della città e della nazione prodotta in occasione dei prossimi campionati mondiali di giochi nomadi che si svolgeranno in Kirghizistan. Una delle cose che più colpisce è la presenza di numerosi fiori ottimamente curati.

Passaggio dall’albergo e poi percorriamo i circa dieci chilometri che ci separano dalla stazione del metano Gazprom dove oggi saremo ospiti di un evento da loro organizzato. Lungo la strada ci sono numerosi negozi che si occupano di cambio di olio per auto. È impressionante che ognuna di queste strutture abbia tutte le marche possibili sia in taniche che in fusti da centinaia di litri. Bishkek sembrerebbe la capitale mondiale dell’olio per motore! Anche per questo scegliamo di fermarci al negozio Castrol 219, fornito anche di olio Toyota. Qui conosciamo i simpatici Rasul e Bakut che si occupano di cambiare olio e filtro, quest’ultimo non richiesto ma regalato da loro, alla Toyota Hilux. Dopo 34.000 chilometri è arrivato il momento di intervenire. Durante le operazioni di manutenzione, arriva un furgone che scarica una preziosa merce per questa giornata: la pecora, per la quale è prevista una fine non ottima, considerato la già ricordata tipologia di festività odierna. Altre persone arrivano dalle attività dei dintorni per assistere a quello che sembra essere un evento eccitante. Veniamo invitati a partecipare, ma per rispetto del loro momento di preghiera restiamo defilati dalla scena principale. Bruno, essendo un suino, non è ammesso all’evento, ma per Guido è stato riservato un posto d’onore in prima fila perché l’ospite è sacro anche in queste occasioni. La scena del lavaggio del coltello e del successivo sgozzamento della pecora è davvero cruenta, anche se siamo sollevati nel vedere che l’animale muore all’istante. Un signore anziano che percepisce la non serenità di Guido nell’assistere all’evento, con la propria saggezza ricorda che quell’animale è nato per essere ucciso e mangiato. Se non fosse stato oggi, sarebbe successo domani. Per fortuna che il cambio di olio si conclude prima del sezionamento della povera bestia e così Guido evita di doverne mangiare una parte.

Poco più avanti, senza montone, si consuma un veloce pasto per non arrivare in ritardo dagli amici di Gazprom. Finalmente avviene l’incontro di cui abbiamo discusso in numerose chat in giro per l’Eurasia. Per Gazprom Kirghizistan sono presenti il responsabile Ruslanbek e i curatori delle pubbliche relazioni Alibek e Karimbek. Di fronte a un cartellone con le scritte degli sponsor locali facciamo numerose foto, video e anche difficili interviste in russo! Naturalmente non manca il rifornimento gratuito offerto dalla Gazprom locale. Come in ogni bella occasione l’evento si conclude alla tavola di un ristorante nei pressi del confine kazako. I piatti nazionali kirghisi sono a base di cavallo e non ci sottraiamo alla cosa. Si parla del viaggio e delle strategie di Gazprom in Kirghizistan. Non manca l’idea di realizzare in futuro un altro viaggio dedicato solo ai cinque paesi dell’Asia Centrale. Ritorniamo nella capitale dove non avevamo previsto di dormire una seconda notte, ma vista la stanchezza accumulata nei due pranzi non si può fare a meno di riprendere un stanza di albergo per riposare nel modo migliore in vista della difficile giornata in alta montagna che domani ci porterà ad Osh. Causa tutto esaurito migriamo in un’altra struttura dello stesso quartiere. Nel centro cittadino, che oggi vive un grande clima di festa, avviene una passeggiata propedeutica alla leggerissima cena di nuovo al Concorde, il locale nella piazza principale dove avevamo cenato anche ieri. Citiamo questo ristorante perché il personale di sala ci ha accolto per due sere con una gentilezza e amicizia davvero sopra ad ogni aspettativa. Ci chiedono una foto prima del saluto definitivo di questa sera. Con il numero incredibile di pasti consumati quest’oggi abbiamo senza ombra di dubbio onorato tutte le tradizioni legate alla festa musulmana a cui abbiamo di fatto preso parte.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– In Kirghizistan non c’erano stazioni di metano. Oggi ne possiamo trovare cinque.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale e gli amici di Gazprom Kirghizistan

Giorno 66 – Arrivo in Kirghizistan

20 agosto 2018, Almaty-Bishkek (264 km – tot. 23.440)

Anche al mattino all’hotel Turkestan manca l’acqua calda. Per la seconda volta in poche ore sarà quella fredda a curare la nostra igiene. Poco importa visto che la giornata rimarrà quasi per intero attorno ai 38° di temperatura. Dopo la colazione facciamo una passeggiata diurna nei pressi dell’albergo. Uno sguardo al mercato agricolo all’interno del bazar verde per poi proseguire fino al Parco Panfilov. Qui c’è un imponente memoriale dedicato a ventotto soldati dell’Armata Rossa di provienienza kazaka e kirghisa che riuscirono a rallentare l’avanzata tedesca nei pressi di Mosca nel 1941. La loro storia è molto popolare in tutti i paesi dell’ex Urss. Sempre in questo parco sorge la bella Cattedrale dell’Ascensione che ha la particolarità di essere tutta in legno, chiodi compresi.

Lasciamo il centro cittadino per effettuare un pieno di metano in una delle stazioni che riforniscono gli autobus della città, che sono tutti a metano o elettrici. Sebbene in questa stazione non ci conoscesero, l’accoglienza è sempre di livello molto elevato e non ci sottraiamo alle ormai consuete foto di gruppo.

Rispetto a dieci anni fa notiamo che la città ha avuto un grande boom urbanistico che ne ha cambiato buona parte dei connotati, soprattutto le zone attorno al centro, che nel 1887 era stato devastato da un terremoto che aveva lasciato in piedi solo la già citata cattedrale in legno.

Giunge l’ora di lasciare la viva e piacevole Almaty percorrendo la trafficatissima tangenziale che ci porta all’inizio della grande strada che conduce nell’ovest del Paese e naturalmente anche a Bishkek, non lontano obiettivo di giornata. È molto in uso l’abitudine di chiedere passaggi lungo le principali strade e in quella che parte verso Bishkek c’è quasi una stazione per l’autostop, visto che ci sono almeno trecento persone intente a chiedere passaggi. Oltre questo ci colpiscono le angurie giganti presenti in centinaia di bancarelle lungo la stessa strada. Tra la frutta e i pedoni diventa davvero complesso uscire dalla città.

Veloce pranzo lungo il tragitto e i circa duecento chilometri che ci separano del confine volano in poco tempo grazie alla strada costruita negli ultimi anni. Korday è la città di confine e la propria economia è tutta dedicata a cambio di valuta, distributori di benzina, tassisti, piccoli market e tutto ciò che potete immaginare a livello di commercio, dai divani alle auto. Le due stazioni doganali sono ai due lati del piccolo fiume Cu e ci sorprende il fatto di non trovare file significative. In effetti le operazioni sul lato kazako sono piuttosto veloci, ma quelle kirghise ci sorprendono ancora di più visto che si limitano al timbro sul passaporto e null’altro. La gentilezza dei doganieri è impressionante e le uniche domande che ci vengono fatte sono relative alla Juventus e Cristiano Ronaldo a causa del nome di Torino che portiamo scritto sull’auto. Chiediamo notizie sull’assicurazione per l’auto e ci viene risposto che non è necessaria. Oltre il confine c’è un posto di blocco della polizia. Anche qui facciamo presente di non avere una assicurazione valida per il Kirghizistan e con un sorriso ci dicono che nessuno ha l’assicurazione in questo paese.

Percorrendo i circa venti chilometri che ci separano dalla capitale troviamo il distributore di metano Gazprom dove domani avremo un incontro con i nostri partners kirghisi.

Notiamo molti richiami all’Unione Euroasiatica, il soggetto economico e forse a breve anche doganale che unisce Kirghizistan, Kazakistan, Russia, Bielorussia e Armenia, una sorta di Unione Sovietica in miniatura. Prendiamo alloggio presso l’Astor Hotel, veramente difficile da trovare senza un navigatore satellitare. Arrivati nella strada dove pensavamo che fosse troviamo al suo posto una medressa. Dalla scuola islamica escono dei barbuti seguaci di Maometto che gentilmente ci aiutano a rintracciare la struttura, ubicata proprio sotto la torre della televisione, una panacea dal punto di vista delle emissioni elettromagnetiche. La Hilux suscita curiosità e non mancano le domande da parte degli altri clienti dell’hotel. Approfittando dei pochi minuti di luce rimasta tentiamo una sortita in centro dove facciamo in tempo a vedere alcune delle attrattive principali dove torneremo domani mattina. Dopo giorni di scarsi pasti ci concediamo una lussuosa cena con vista sulla piazza Ala-Too, l’animato cuore pulsante di Bishkek. L’architettura cittadina rispecchia molto lo stile sovietico con delle personalizzazioni kirghise che non rovibano l’effetto complessivo.
Il rientro in albergo avviene ad ora non tardiva per favorire il meritato riposo.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La principale strada che collegava Almaty a Bishkek era in realtà una strada sovietica che ignorando quelli che sarebbero diventati i futuri confini tra stati sovrani collegava est e ovest del Kazakistan attraversando la capitale kirghisa. Oggi i kazaki hanno costruito una grande strada che evita da nord il problema. Non si trova più traccia nei nuovi atlanti o nei navigatori satellitari della vecchia strada.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 65 – Alle falde del Pamir

19 agosto 2018, Usharal-Almaty (558 km – tot. 23.176)

La luce mattutina entra troppo presto attraverso le tende nella nostra camera, e alle otto ci ritroviamo per una colazione collettiva con i due equipaggi del Mongol Rally che dormono nel nostro stesso albergo. Espletato l’aspetto nutritivo si passa alle foto commemorative dell’incontro che è servito a rendere meno monotono il sabato sera a Usharal. Loro partono verso nord, Bruno e Guido vanno a sud. Usharal nel mondo post sovietico è nota per un terribile episodio di cronaca avvenuto nel 2012. In una postazione militare posta tra Usharal e il confine cinese furono trovati morti 14 militari e un cacciatore. In un primo momento fu difficile comprendere le dinamiche del fatto, ma successivamente emerse una possibile verità, secondo cui un commilitone non in servizio avrebbe compiuto la strage per vendicare episodi di nonnismo e di discriminazione etnica, essendo l’unico russo nella guarnigione kazaka. La versione ufficiale dei fatti è stata cambiata più volte, e il militare è al momento in carcere.

La marcia mattutina non procede spedita a causa delle condizioni non eccellenti delle strade. L’asfalto c’è sempre, ma spesso è in condizioni tali da rischiare di distruggere cerchi e sospensioni. Poco oltre la città di Sarkand, ottimizzando il tempo si provvede a cibarsi e ad effettuare il necessario lavaggio alla sempre più sporca Toyota Hilux.

Superata la grande città di Taldiqorgan comincia una ottima quattro corsie che permette di tenere buone velocità. In lontananza si cominciano a vedere le innevate montagne del Pamir, dove alcune vette superano i cinquemila metri. Proprio dal Pamir scendono i fiumi e i torrenti, in questo periodo colmi di acqua, che portano vitalità alla terra che passa dall’aridità della steppa al verde delle coltivazioni agricole.

La macchina pulita non poteva che essere benedetta da pioggia e grandine poco prima di entrare ad Almaty. Va a vuoto un tentativo di rifornirsi di metano dato che il distributore che ci era stato segnalato in realtà vende gpl. Decidiamo di rinviare l’operazione al giorno successivo consapevoli che il metano si troverà visto l’enorme numero di bus a gas naturale che percorrono le strade cittadine. Nel frattempo con il pieno di Barnaul abbiamo raggiunto l’incredibile cifra di 1476 chilometri, migliorando di molto il precedente record. I fattori che hanno aiutato la prestazione sono, oltre l’ottimo metano russo, la bassa velocità tenuta nella parte kazaka del viaggio e un minor numero di chilogrammi tra bagaglio e passeggeri rispetto al viaggio di andata.

Nella Torino-Pechino 2008 approdammo, proprio in questa settimana, all’hotel Turkestan di Almaty. Tentiamo con successo di rinnovare la tradizione e per pochi tenghe prendiamo anche questa volta una stanza in questo centrale albergo davanti al popolare “mercato verde” dedicato ai prodotti ortofrutticoli. La città ha conservato una grande vivacità nonostante la perdita dello status di capitale e lo svuotamento di tutti i ministeri prontamente recuperati con altre funzioni. Ceniamo in una “stolovaja” di epoca sovietica e passeggiamo lungo la “Nazarbayeva”, una delle vie centrali della città che porta il nome del presidente in carica, quindi non defunto, del Kazakistan. Il primo e unico presidente di questa nazione è in carica dai tempi dell’Unione Sovietica e apparentemente, visti i risultati elettorali in cui pure gli avversari dichiarano di votarlo, sembra che goda di un vasto appoggio popolare.

Il rientro in albergo avviene in taxi e il tutto porta ad una curiosa gag. Anche il tassista è un fan del commissario Cattani e chiede chiarimenti sul fatto che la Sicilia sia un’isola oppure no. Spieghiamo che è un’isola separata dal resto dell’Italia da pochi chilometri. A questo punto il tassista chiede perché non sia mai stato fatto un ponte tra Sicilia ed Italia per poi correggersi e dire che in fondo, visto quello che è successo a Genova, è meglio così. La triste storia del ponte ligure contribuisce ulteriormente a rovinare l’immagine dell’Italia nel mondo, lo conferma anche un tassista qualsiasi kazako. Con questa amara considerazione possiamo andare a letto.

Cosa è cambiato nel mondo in dieci anni?

– Almaty, nonostante non sia più la capitale del Kazakistan, continua ad essere un polo di attrazione economica importantissimo. La città in dieci anni si è notevolmente estesa e la popolazione ha superato i due milioni di abitanti; considerando i sobborghi e i molti irregolari si arriva anche a tre milioni.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale