Giorno 37 – Viva l’Amur!

22 luglio 2018, Birobidhzan-Chabarovsk (188 km) – Tot. 13.706

Nonostante una forte umidità presente nelle nostre stanze, riusciamo a concludere una lunga dormita nell’ennesima angusta sistemazione che ci ospita. Abbandoniamo l’alloggio attorno a mezzogiorno e ritorniamo nel cuore di Birobidzhan per la visita alla sinagoga e al centro culturale-museo dedicato alla storia di questo luogo. Il complesso si trova non lontano dalla stazione ferroviaria ed è moderno. La maggior parte delle tracce rimaste dei novanta anni di ebraismo in questa terra sono visibili all’interno della piccola esposizione museale, che ospita oggetti e giornali originali degli anni ‘20, ‘30 e ‘40 del secolo scorso. Come abbiamo raccontato ieri, la migrazione degli ebrei, che vivevano principalmente in Bielorussia e Ucraina, cominciò nel 1927, incoraggiata dallo stato sovietico che aveva bisogno di coloni che presidiassero la lunga frontiera cinese e facessero nascere città lungo la Ferrovia Transiberiana. Nel corso dei primi anni circa 40.000 persone arrivarono qui con il mito della possibilità di creare una entità autonoma ebraica all’interno dell’Unione Sovietica, cosa che avvenne nel 1935. Le condizioni di vita in questo luogo non erano delle migliori. La zona era paludosa ed edificare la città non fu semplice. Se a questo aggiungiamo i rigori dell’inverno si può facilmente capire perché molti di loro nei decenni successivi abbandonarono la regione. Il colpo di grazia avvenne con la caduta dell’Urss e con la possibilità per molti ebrei di espatriare in Israele. Da quel momento la comunità locale si è ridotta ad un numero marginale e desta in noi ammirazione vedere che viene mantenuta aperta una scuola dove si può imparare l’yiddish, che almeno sulla carta è la seconda lingua ufficiale dell’Oblast’ Autonoma Ebraica.

Il richiamo della domenica italiana ci porta a concederci un piatto di pasta, sempre al “Felicità”, assolutamente non all’altezza della situazione e delle aspettative che avevamo. Riprendiamo il viaggio verso l’Oceano Pacifico e verso la città di Chabarovsk, facile obiettivo di giornata e lontano meno di 200 chilometri da Birobidzhan. La P-297 è ormai tornata ad essere una stradina che attraversa villaggi e questo alza molto i tempi di percorrenza. Tornano anche i fitti autovelox e la polizia pronta a sanzionare gli autisti indisciplinati. Pochi chilometri prima di Chabarovsk, in concomitanza con l’attraversamento del grande fiume Amur, chiudiamo la nostra esperienza ebraica per entrare nel Kraj (territorio) di Chabarobsk. L’Amur per gran parte del suo corso segna il confine con la Cina costituendo un punto di contatto importante per commercio e contrabbando. Se d’estate la massa d’acqua è attraversabile solo con barche, d’inverno grazie al ghiaccio diventa una autostrada per trafficanti di ogni cosa possibile tra Cina e Russia. Con questa vasta ansa l’Amur svolta verso nord andando a sfociare molto lontano da qui, mentre il confine con la Cina prosegue lungo l’affluente Ussuri. Molte delle cose che conosciamo relative al fiume Amur sono legate alla lettura di “Buonanotte Signor Lenin” di Tiziano Terzani. Lo scrittore toscano si trovava in navigazione lungo l’Amur durante il golpe dell’agosto del 1991 e riuscì a vivere in una posizione giornalisticamente privilegiata tutto il calvario che portò a fine anno alla dissoluzione del più vasto paese del mondo.

Troviamo un piacevole alloggio alla periferia est di Chabarovsk dove decidiamo di trascorrere due notti per poter visitare con la massima tranquillità l’importante città. Questo sarà il luogo dove dormiremo più ad est dell’intero viaggio, visto che da domani la strada oltre che in direzione sud piegherà anche verso ovest. Serata casalinga a base di pelmeni comprati al negozio vicino casa. Serve riposo per gestire al meglio le energie in vista degli ultimi 750 chilometri per raggiungere Vladivostok e l’Oceano.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Dieci anni fa la soluzione dell’alloggio temporaneo in un appartamento privato era poco in uso. Basta pensare che nell’intero viaggio del 2008 potemmo adottare questa soluzione soltanto una volta.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno Cinghiale

Giorno 36 – La terra promessa

21 luglio 2018, Belogorsk-Birobidhzan (km.473) – Tot. 13.518

Nelle prime ore del mattino lasciamo il malsano Hotel Vstrecha (“Incontro”), dove decidiamo di non fare neppure colazione. Per il terzo giorno consecutivo continua la strada buona, ma come sempre priva di servizi essenziali. Riusciamo a berci un caffè e mangiare qualcosa di caldo solo dopo 140 chilometri, mentre per il quotidiano pieno di gasolio si devono aspettare oltre 200 chilometri dopo la partenza. Il paesaggio continua ad essere caratterizzato dal verde intenso, ma oggi le montagne sono declassate a collinette e c’è una grande presenza di pianure con fiumi, torrenti, stagni e laghetti. In questo scenario raggiungiamo un nuovo confine amministrativo dove per l’ultima volta spostiamo le lancette dell’orologio un’ora avanti passando a +8 dall’Italia e +7 da Mosca. Finisce l’oblast dell’Amur per lasciare spazio ad una delle entità geografiche più curiose della Russia. Entriamo con le consuete foto di rito nell’Oblast’ Autonoma Ebraica, una terra caratterizzata da una storia molto interessante che racconteremo più avanti. Da questo momento la strada P-297 ricomincia ad attraversare i piccoli paesi e di conseguenza ad aumentare le possibilità di consumare un pasto. Nei pressi del paesino di Izvestkovyj ci fermiamo in un desolato kafè dove incontriamo il titolare Vasilij, 71 anni, che oltre ad offrirci vodka che gentilmente rifiutiamo ci racconta il suo sogno di diventare poligamo, oltre che manifestare amicizia e simpatia verso l’Italia. Dopo giorni che ci siamo sentiti trattare come spie o come pericolosi terroristi, l’amicizia di Vasilij è un buon segnale di ritorno ad una situazione più normale per gli stranieri.

Ancora due ore di strada in mezzo alle solite valli e fitta vegetazione ed arriviamo a Birobidzhan, capoluogo amministrativo della regione. Qui ci aspetta l’ennesimo curioso alloggio prenotato via booking. Finiamo in una specie di piano interrato e ci dividiamo in due stanze, una doppia che può essere definita normale ed una singola della grandezza di due metri quadri. L’abbiamo misurata. Dopo essersi rilassati andiamo a fare turismo in questa eccentrica città dove i nomi delle strade e molti cartelli stradali sono scritti in russo e in yiddish. Sul piazzale della stazione ferroviaria, giusto per dare il benvenuto a coloro che arrivano in treno, praticamente tutti tranne noi, c’è una “menorah”, il tipico candelabro a sette braccia simbolo della religione ebraica. Poco oltre si incontra un curioso monumento a forma di carretto trainato da un cavallo con a bordo due dei primi coloni di origine ebraica che arrivarono qui nel 1927 con la speranza di poter contribuire allo sviluppo e crescita della “terra promessa”. La scelta di questa area da colonizzare non arrivava dai libri sacri della religione ebraica, ma semmai da Stalin e dal sistema di potere sovietico desideroso di popolare queste delicate aree al confine con la Cina. La parte interessante della città è raccolta tra la stazione e il fiume Bira che assieme all’affluente Bidzhan danno il nome alla città. Naturalmente non manca la statua di Lenin, il Parco dedicato alla Grande Guerra Patriottica, un bel lungofiume e addirittura un monumento, non in buone condizioni, che sancisce l’amicizia tra la Russia e la davvero vicina Cina. Guardiamo velocemente anche il centro culturale ebraico e la vicina sinagoga, dato che occuperemo tempo per visitare questo complesso e il relativo museo che racconta la storia di questo territorio nella giornata di domani.

Come ieri, attorno alle 12.30 dell’orario italiano ci colleghiamo per una diretta con gli amici di EcoFuturo con i quali facciamo il punto della situazione relativa al nostro viaggio. A seguire, dopo giorni di pasti difficili e spesso senza la possibilità di scegliere, sentiamo il bisogno di andare alla pizzeria Felicità, non lontana dalla stazione ferroviaria e non gestita da italiani. La pizza è poco simile a quella “made in Italy”, ma le foto nelle pareti sono tutte di città e personaggi della nostra Penisola. Rientriamo nelle nostre stanze prima del consueto per cercare di riposare il maggior tempo possibile. Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– In questa zona del mondo la maggior parte delle auto ha la guida a destra. Si tratta di auto importate dal Giappone e destinate a circolare nei paesi con guida a sinistra. Dieci anni fa il fenomeno era diffuso pure nella Russia europea e le auto “nuove” arrivavamo dopo un viaggio di 10.000 chilometri via terra lungo strade non facili. Il fenomeno di coloro che guidano auto dal porto di Vladivostok fino all’Europa per poi rivenderle è in netto calo, ma l’arrivo di auto con guida a destra non è scomparso.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno Cinghiale.

Giorno 35 – Siberia chiama EcoFuturo

20 luglio 2018, Erofej Pavlovich-Belogorsk (675 km) – Tot. 13.045

La notte trascorre tranquilla e complice la nostra enorme stanchezza non sentiamo l’infinito traffico ferroviario della vicina stazione. Neppure il continuo vociare dell’altoparlante disturba il nostro sonno. Erofej Pavlovich di giorno è attorniata da una nuvola di polvere sollevata dalle auto che percorrono le strade bianche. I piccoli negozi pullulano di gente e tutto sommato c’è una discreta vitalità visto che questo è l’unico centro abitato con la presenza di molti servizi nel raggio di centinaia di chilometri. La strada che ci riporta alla P-297 è piena di buche, ma in compenso il ritorno nella via principale ci conferma ancora una volta la buona qualità di questa arteria vitale per il traffico da una parte all’altra della Russia. Se pensavamo che con Erofej Pavlovic saremmo tornati alla normalità ci sbagliavamo di grosso. Dobbiamo percorrere 150 chilometri per trovare un altro centro abitato con un distributore di benzina e gasolio. La fortuna non ci assiste e arriviamo durante la chiusura tecnica per il rifornimento dello stesso distributore dal camion che trasporta il carburante. Non possiamo andare alla stazione di servizio successiva perché metteremmo a rischio la nostra autonomia. Ancora un volta capiamo di aver sbagliato nel consumare tutto il metano che avrebbe potuto raddoppiare la nostra percorrenza chilometrica. Dopo mezz’ora, comunque, possiamo ripartire con il serbatoio pieno.

Il paesaggio continua a regalarci scenari simili alle valli del nostro Appennino con l’alternarsi di alture e pianure. Numerosi i laghi e i fiumi che incontriamo. Dopo altri 150 chilometri dal rifornimento di gasolio troviamo un’altra oasi di vita dove c’è il kafè “777”, un piccolo albergo, un’officina per camion e addirittura una piscina. La cosa più sorprendente sono i bagni pulitissimi in muratura a 10 rubli per ogni utilizzo. Pranzano con noi anche gli autisti di un camion che sorpassiamo da almeno due settimane lungo il nostro itinerario, oltre ad un’auto con roulotte che osserviamo da alcuni giorni. Simpatica la scena di un gigantesco camion che trasporta da chissà quale villaggio alcune mamme con bambini diretti alla piscina. Ci abituiamo agli ormai consueti verdi e piatti scenari che attraversiamo nelle lunghe ore all’interno del nostro veicolo. Oggi dobbiamo tassativamente fermarci prima del previsto visto che alle 12.30 dell’orario italiano, che corrispondono alle nostre 19.30, abbiamo il videocollegamento con Ecofuturo, il festival dedicato alle innovazioni ecologiche in svolgimento a Padova fino al 22 luglio. Per questo scegliamo un luogo di sosta lungo il nostro percorso e senza avventurarsi all’interno della città di Belogorsk, dove una strada alternativa si separa in direzione Cina. Molto “divertente” la scenetta con la padrona del piccolo albergo che ci ospita, dato che minaccia di chiedere un intervento della polizia se non spostiamo la nostra auto dalla strada che abbiamo scelto per il collegamento con Ecofuturo, troppo vicina al suo hotel. Ancora un volta in questa zona geografica di Russia capiamo che la popolazione locale non vede spesso il transito di stranieri, all’infuori dei cinesi. Ci adeguiamo e parcheggiamo l’auto in modo più consono alla qualità della strada sterrata dove ci troviamo. Cena nel kafè all’interno dell’albergo, uno dei pochi luoghi di riferimento di coloro che percorrono la P-297, ma non sicuramente il migliore visto che difetta abbondantemente di pulizia, almeno per quanto riguarda la camera che ci viene consegnata. Altra cosa da segnalare nella zona che abbiamo attraversato oggi, che dista mediamente sempre meno di 100 chilometri dal fiume Amur che segna il confine con la Cina, è la presenza di molte postazioni militari anche seminascoste nel bosco non lontano dalla strada. Almeno due volte riconosciamo dei camion con sopra i lanciamissili “katiusha” e constatiamo che sono sempre messi in posizione abbastanza visibile dalla strada, forse per fare in modo che i cinesi di passaggio raccontino presso la loro madre patria che la Russia non è disponibile a regalare pezzi di Siberia allo scomodo e popoloso vicino di casa.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Anche oggi non possiamo che sottolineare come questa strada P-297 abbia molto migliorato la qualità della vita di coloro che popolano i paesini che la circondano. Oggi le persone che abitano in questi villaggi possono tentare di lavorare sia nei servizi ferroviari, ma anche in quelli di supporto alla strada, cosa di cui al momento ci sarebbe grande bisogno.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno Cinghiale

Giorno 34 – P297, la strada che non c’è

19 luglio 2018, Chita-Erofej Pavlovic (816 km) – Tot. 12.370

Contrariamente ai programmi che prevedevano una levata mattutina molto audace, si ipotizzava di partire alle 5.00, decidiamo di lasciare il nostro alberghetto alla periferia di Chita alle 8.30.
La decisione tiene conto della stanchezza accumulata nella giornata di ieri e di qualche notizia confortante relativa alla strada che andremo a percorrere oggi, la P-297 “Amur”. Guardando qualsiasi vecchio atlante geografico si può notare come non esista alcuna strada che da Chita vada verso il Pacifico rimanendo all’interno dei confini russi. Allo stesso modo, se percorrete verso est la strada che da Chabarovsk costeggia il confine cinese, emerge che manca un collegamento stradale parallelo alla ferrovia Transiberiana. Questa strada che non c’è fu realizzata circa dieci anni fa, ma il completamento dell’asfalto e la percorribilità per normali auto è notizia molto più recente.
Coloro che hanno percorso la P-297 raccontano cose spesso contrastanti sullo stato della strada. Oggi è arrivato il momento di verificare chi abbia ragione.
Prima di prendere il via salutiamo Hugo Caneiro, il motociclista spagnolo che cercherà di raggiungere il Pacifico per la strada che conduce a Magadan. La pioggia di prima mattina non aiuta il suo cammino, ma del resto anche il suo programma di viaggio è molto intenso e non può permettersi grandi rallentamenti. Noi sì, visto che partiti da Chita imbocchiamo la strada che porta direttamente in Cina invece che quella per Vladivostok. Ci accorgiamo della cosa dopo 35 chilometri e fra tutto perdiamo una preziosa ora di viaggio.
Rifacciamo un nuovo rifornimento di gasolio poiché ci è stato consigliato di non affrontare la P-297 a serbatoio non pieno, vista la quasi assenza di stazioni di rifornimento. Se non avessimo fatto questo ulteriore acquisto di gasolio avremmo davvero avuto difficoltà visto che per quasi 600 chilometri non abbiamo trovato un altro rifornimento compatibile con il nostro motore. Forse avremmo fatto meglio a lasciare il metano di Bratsk per questa occasione, visto che sarebbe stato utile aumentare l’autonomia della nostra Hilux dai circa 700 chilometri che garantisce la versione diesel al quasi doppio del diesel-metano.
Lungo la strada continua il verde paesaggio con alternarsi di fiumi, laghi, valli, pianure e montagne. Tratti boscosi e altre parti di pianura fino a Chernyshevsk, dove pranziamo, visto che questo era l’ultimo paese raggiungibile con la vecchia strada riportata nella carte geografiche. Da qui comincia il nulla, visto che per circa cinquecento chilometri incontriamo un unico punto di ristoro, una stazione di servizio senza gasolio e un solo villaggio nei pressi della strada rimasto fuori dal tempo. Qui ci avventuriamo per le bianche strade, assaporando anche un terribile caffè nel bar locale, solo per capire come vive la gente in questo luogo dimenticato da tutti, tranne che dalla Ferrovia Transiberiana. Dopo oltre sei ore senza segnale telefonico ricominciano ad arrivare le notifiche dei messaggi ricevuti. Il confine tra la Transbajkalia e l’oblast dell’Amur rappresenta una sorta di ritorno alla civiltà. Infatti dopo circa trentacinque chilometri troviamo ad Erofej Pavlovich un albergo che ci era stato segnalato alla stazione di servizio senza gasolio 150 chilometri prima. Quasi piena di cinesi e molto cara, questa struttura lungo la strada, e quindi siamo costretti a spostarci dentro il villaggio che sorge attorno alla stazione della Transiberiana e che porta il nome dell’esploratore russo del XVII secolo Erofej Pavlovic Chabarov, cui è intitolata anche la città di Chabarovsk, nostra futura destinazione. Erofej Pavlovic non è certo il più turistico dei luoghi, ma dopo la quantità di desolazione affrontata oggi ci sembra una metropoli. Oltre all’albergo Udacha (Fortuna) riusciamo a soddisfare il nostro appetito alla mensa dei lavoratori della stazione ferroviaria. Seconda parte della serata in un interessante bar con palla specchiata in stile discoteca, dove si ritrovano alcuni dei giovani locali. Per coloro che non si possono permettere il bar c’è il piacevole passatempo di un sovrappasso ferroviario da dove guardare il passaggio dei numerosi treni in transito.
Ultimi esseri viventi incontrati nelle buie strade, prima di concederci un giusto riposo, sono tre mucche che sembrano avere smarrito la via di casa.
Anche oggi in oltre ottocento chilometri non abbiamo incontrato neppure una pattuglia della polizia. Temevamo questa giornata, soprattutto per l’impossibilità di soccorso o di comunicazione in caso di problemi nella zona non abitata attraversata. Per quanto riguarda la qualità delle spesso non piacevoli strade russe, va riconosciuto che la P-297 è stata una delle meno problematiche, come fondo stradale, affrontate finora.

Cosa è cambiato in dieci anni?

– Oggi è più facile del solito rispondere a questa domanda: c’è una grande strada che collega oriente e occidente che dieci anni fa non c’era, anzi era un cantiere a cielo aperto.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno il Cinghiale

Giorno 33 – Il metano finisce con l’ennesimo record

18 luglio 2018, Ulan Udé-Chita (km 667) – Tot. 11.554

Negli appartamenti il tormentone mattutino è se l’acqua ci sia oppure no, mentre negli alberghi il rituale si compie attorno alla registrazione del visto, noto adempimento burocratico che dobbiamo fare ogni tot giorni. Ieri il receptionist ci aveva garantito che non avremmo avuto alcun problema, ed infatti questa mattina la registrazione non c’è. Siamo costretti ad insistere, anche in modo burbero, per venire a capo della situazione. Mentre aspettiamo che la registrazione si compia andiamo a fare qualche foto alla nostra auto nella piazza principale di Ulan Udé. Al nostro ritorno la registrazione è compiuta con le scuse del personale dell’albergo. Si parte verso Chita, altro luogo mitico soprattutto per coloro che sono appassionati di Risiko. Appena fuori Ulan Udé c’è un interessante bivio tra la Torino-Pechino 2018 e quella di dieci anni fa. Infatti la mitica Marea a gpl non andò verso Chita e l’oriente ma si diresse a sud verso la Mongolia. Oggi quel bivio è una naturale fonte di ricordi e della Mongolia ci limiteremo a vedere qualche targa automobilistica di passaggio. In realtà attorno alla strada tutto ricorda la terra di Gengis Khan, visto che oltre le faccie di origine asiatica, anche la toponomastica e alcune insegne di kafè e ristoranti ci ricordano le origini del popolo buriato. In un verdissimo vallone ci fermiamo a fare foto nei pressi di un piccolo tempio buddista, oltre che ammirare lo sconfinato panorama tutto attorno a noi. Il paesaggio è molto diverso da quello incontrato finora, visto che per tutto il giorno percorriamo salite e discese sempre attorniati da montagne. Come già detto, il paesaggio è dominato dal verde in ogni sua sfumatura, potenziato ancora di più dalla vasta presenza di acqua di fiumi, laghi, stagni e oggi pure attraverso rovesci di acqua.

Pochi chilometri dopo il confine amministrativo tra Buriazia e Transbajkalia, oltre a cambiare di nuovo l’ora e portarci a +7 dall’Italia, finisce il pieno di metano di Bratsk, che ci ha permesso di stabilire un nuovo record di percorrenza. I chilometri percorsi sono 1288,5, cifra mai raggiunta fino ad ora. E’ bene ricordare che siamo arrivati in Transbajkalia dopo circa 11.000 chilometri, anzi 17.000 se consideriamo anche il prologo fino a Lisbona per unire i due oceani. Il nostro Hilux con i suoi 160 litri di bombole di metano è arrivato fino a qui: probabilmente nessun veicolo simile nella storia ha potuto fare altrettanto!

Da adesso i restanti circa 3.000 chilometri per arrivare all’Oceano Pacifico saranno fatti usando il solo gasolio, un test comunque utile per comparare i consumi e il risparmio che si può avere con il diesel-metano. Il viaggio continua lentamente per i consueti “remont” (lavori in corso) che ci bloccano spesso in lunghe code. Oggi le parti in terra battuta dove avvengono i lavori sono trasformate in un mare di fanghiglia che ostacola ancora di più la marcia dell’auto. Gli ultimi chilometri sono caratterizzati dallo straripamento di molti piccoli torrenti che costeggiano la strada. Anche Chita è piena d’acqua, al punto di assomigliare a Venezia. Prendiamo una camere in una specie di bed and breakfast periferico. Incredibilmente, qui con noi c’è anche un motociclista spagnolo che abbiamo incontrato più volte lungo il percorso negli scorsi giorni. Le nostre strade presto si separeranno visto che lui si dirigerà verso Magadan nella Russia nord-orientale. La serata si conclude prima in un piccolo ristorante non lontano dall’albergo dove intratteniamo il personale raccontando il nostro viaggio, poi nel piazzale dello stesso locale, dove subiamo una truffa molto di moda da queste parti e soprattutto in Mongolia: mentre uscivamo dal parcheggio in retromarcia, un taxi in assoluto silenzio e soprattutto in modo volontario si avvicina per farsi leggermente urtare dal nostro veicolo. Ovviamente la peggio spetta al piccolo taxi, che rimedia una ammaccatura alla carrozzeria. Il taxista è assolutamente conciliante e comprensivo, oltre a chiederci 5.000 rubli per i danni. Ne avrà la metà e resterà comunque soddisfatto della cifra raccolta. Osservando le numerose tracce di episodi simili sul veicolo del taxista abbiamo la conferma della sua ricerca volontaria di collisione. L’ora tarda, il non cercare storie con la polizia e la voglia di non perdere tempo ci convincono a cedere alle richieste del simpatico individuo che ci regala numerose strette di mano per ringraziare.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Da oggi e per le prossime due settimane le comparazioni saranno più complesse visto che ci stiamo addentrando in luoghi completamente nuovi. In ogni caso oggi abbiamo notato la completa assenza della polizia nell’intero percorso, cosa che dieci anni fa non era neppure immaginabile.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno il Cinghiale

Giorno 32 – Dal lago Bajkal alla Buriazia

17 luglio 2018, Irkutsk-Ulan Ude (449 km) – Tot. 10.887

Una insolita sveglia con tutti i comfort, compresa l’acqua calda e fredda, cosa che sottolineamo visto che questo problema ci ha fatto penare un po’  negli appartamenti precedenti dislocati nelle varie città dove abbiamo dormito. Salutiamo Irkutsk poco prima che il traffico cittadino cominci ad intasare le principali vie di comunicazione ed una volta attraversato l’Angara ci riprendiamo il cammino verso est. Per un giorno i paesaggi cambiano notevolmente rispetto a quello che la Russia ci ha offerto fino ad oggi. La prima variante è una strada montana che si inerpica sulle alture che separano la città che abbiamo lasciato dalla sponda meridionale del Lago Bajkal, seconda attrazione naturale della giornata. La strada sale e scende con pendenze che toccano il 14%, poche le curve o i tornanti, molti i rettilinei in salita dove diventa complesso superare i lentissimi camion.

All’improvviso, dopo oltre cento chilometri di strada, appare dall’alto la visione del Bajkal. Nonostante il tempo non sia dei migliori a causa della presenza di foschia e leggere piogge, la visione di uno dei laghi più grandi del mondo ci trasmette una forte emozione che assecondiamo facendo numerose fotografie. Il Bajkal è il sesto lago più grande del mondo come superficie, ma vanta alcuni record importanti, come il maggior quantitativo di acqua pari a circa il 20% dell’acqua dolce presente sul nostro pianeta; è inoltre il lago più profondo, arrivando a circa 1650 metri sotto la propria superficie e quindi circa 1200 metri sotto il livello del mare. D’inverno è completamente gelato e percorribile anche in auto, mentre d’estate regala un’acqua di elevatissima limpidezza anche se decisamente fredda per la balneazione. Riusciamo ad avvicinarci alle sponde facendo un poco di fuoristrada, cosa di cui il nostro Hilux non ha affatto paura. Altre foto e finalmente riusciamo a toccare con mano questa meraviglia della natura alternando i consueti saluti ai treni di passaggio.

Arrivati a metà dei circa 200 chilometri di lago che costeggiamo usciamo dall’oblast di Ikutsk per entrare nella Repubblica di Buriazia, ennesimo soggetto federale della immensa Federazione Russa. I Buriati sono un popolo di origine mongolica dedito al buddismo e allo sciaimanesimo. Durante l’espansione russa nella Siberia orientale i Buriati furono integrati nell’Impero Russo, ma gli fu comunque consentita una certa autonomia, rimasta anche in epoca sovietica e più recentemente all’interno della nuova Russia. Per la prima volta dall’inizio del viaggio vediamo più persone di origine asiatica che di origine europea. Gli occhi a mandorla prevalgono fin dal pranzo in una moderna yurta dove facciamo un primo assaggio di cucina buriata.

A metà pomeriggio entriamo e prendiamo alloggio ad Ulan Ude, capitale della Buriazia situata lungo il fiume Selenga, uno dei principali tributari del lago Bajkal. L’albergo dove finiamo è il sovieticissimo Hotel Barguzin, nome di un vento siberiano, un ennesimo affluente del Bajkal, ma anche di un sistema missilistico nucleare installato su treni sempre in movimento e mimetizzati da normali convogli merci. Passeggiando lungo le piacevoli strade della città è facile rendersi conto dei forti legami tra questo popolo e i vicini della Mongolia, visto il grande consolato mongolo presente proprio vicino alla piazza principale. Piazza Sovetov (dei Soviet) è decisamente una delle piazze meno cambiate negli ultimi trenta anni, visto che molto è rimasto come ai tempi dell’Unione Sovietica, ad esclusione delle bandiere che sventolano nei palazzi del potere amministrativo. L’elemento più curioso del luogo è una enorme testa di Lenin ubicata al centro della piazza. Non mancano i turisti che fotografano questa curiosa attrazione che viene da tutti definita “la testa di Lenin più grande del mondo”. Tutto attorno la città pullula di vita, sia nelle panchine vicino alle fontane di nuova costruzione e sia nella piccola “Arbat” pedonale al centro della città. Le strade minori del centro cittadino non godono della stessa pulizia e attenzione rispetto a Piazza Sovetov e alla strada pedonale, tra l’altro non mancano persone con elevato tasso alcolico nel sangue sdraiati sulle panchine.

Cerchiamo di evitare di cenare nei numerosi falsi ristoranti italiani e finiamo col rifocillarci, per la prima volta, nello stesso locale dove mangiammo nel 2008 e che al momento è l’unico sfuggito al turn-over che ha riguardato tutti gli altri. Fino ad ora ogni volta che abbiamo ricercato i luoghi dove abbiamo consumato i pasti del precedente viaggio avevamo trovato locali chiusi, abbandonati, cambi di gestione e addirittura due distrutti da incendi.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Per la prima volta siamo riusciti a cenare nello stesso ristorante del viaggio 2008.

– Il tempo sul Bajkal non è cambiato rispetto a dieci anni prima, nonostante due visite estive non siamo riusciti a trovare un’ora di sole.

– In Buriazia il servizio di telefonia mobile è rimasto molto scadente rispetto alle altre zone della Russia. Così era anche nel 2008.

– Completata l’asfaltatura della strada che collega Irkutsk al lago Bajkal.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno il Cinghiale

Giorno 31 – Riposo lungo l’Angarà

16 luglio 2018, Irkutsk (0 km) – Tot. 10.438

Per la prima volta dopo molti giorni il nostro Toyota Hilux si riposa per ventiquattro ore, rimanendo fermo sotto gli alberi del cortile della chruščëvka (la classica palazzina a cinque piani di epoca sovietica di cui abbiamo già parlato) di via della Quinta Armata dove abbiamo affittato un appartamento per due notti. E anche per i passeggeri questa è una giornata di necessario relax dopo le ultime impegnative tappe. Decidiamo di non mettere la sveglia e cominciamo a sollevarci da letto solo poco prima di mezzogiorno dell’ora locale (quando in Italia sono le sei e a Mosca le sette). Come due giorni fa a Krasnojarsk, anche qui ci svegliamo con l’amara sorpresa della mancanza d’acqua: stavolta non c’è né quella calda né quella fredda, anche se degli operai che lavorano due piani più sotto ci rassicurano sul fatto che nel giro di poco verrà tutto ripristinato.

Nel frattempo usciamo, accompagnati da vento caldo e nuvole poco minacciose che smentiscono gli allarmanti sms che da ieri ci invia la premurosa Protezione civile locale parlando di temporali e grandine. Ci dedichiamo a ritmo lento a un po’ di turismo nel centro di Irkutsk, la “Parigi siberiana”: forse, anzi sicuramente, questo appellativo è esagerato, sebbene in Via Urickij campeggi perfino una piccola riproduzione della torre Eiffel; in effetti, però, in questa città sopravvivono edifici di differenti epoche storiche che la rendono architettonicamente più vivace di altre località della zona.

Passeggiamo per le principali vie del centro, cioè quelle intitolate a Marx e Lenin, piazza Kirov e il lungofiume che costeggia l’Angarà, unico emissario del lago Bajkal, alla confluenza con l’Irkut, da cui la città prende il nome; vediamo una imponente statua del padre della Rivoluzione, nonché un suo busto a fianco di un grande murale dedicato all’Internazionale, un altro busto dedicato a Jurij Gagarin, una statua del drammaturgo Vampilov e un più recente monumento dedicato ai cosacchi che fondarono la città nel 1661, nel corso della colonizzazione della Siberia – un’epopea straordiariamente avventurosa, per quanto sconosciuta in Italia, dove viene molto più spesso raccontata la conquista del Far West americano.

Un altro monumento su cui abbiamo modo di soffermarci è quello dedicato al celebre regista Leonid Gajdaj, nativo proprio di Irkutsk, immortalato con il cane Barbos ed altri tre personaggi classici dei suoi film, Trus, Balbes e Byvalyj, in un particolare complesso scultoreo che consente allo spettatore di trovarsi al centro del set cinematografico. Gajdaj e i personaggi che lo accompagnano in questa opera d’arte sono estremamente famosi in tutta l’ex Urss, mentre in Italia (e più in generale in Occidente) scontano la generale scarsa considerazione che ebbe la cinematografia sovietica, anche e soprattutto per ragioni di censura politica che tuttavia non era reciproca: il cinema europeo e quello italiano in modo particolare erano infatti ben noti in Urss, dove sono sempre stati molto popolari Fellini, Tonino Guerra, Sophia Loren, Mastroianni, e tanti altri protagonisti della settima arte di casa nostra.

La città di Irkutsk è legata anche al nome dell’ammiraglio Kolčak, uno dei principali leader dell’Armata Bianca durante la Guerra civile, che qui fu giustiziato nel febbraio 1920. Nel luogo dell’esecuzione è stata realizzata nel 2004 una scultura; si tratta di uno dei due monumenti presenti in Russia dedicati a questa controversa figura, la cui riabilitazione, richiesta dopo la caduta del potere sovietico, è stata respinta dalla Corte Suprema della Federazione Russa. Ad ogni modo noi rinunciamo alla visita di tale luogo per avere il tempo di rincasare e fruire del ritorno dell’acqua corrente per tirarsi a lucido. Poi consumiamo una tranquilla cena in un locale poco lontano e ritorniamo a casa presto per completare il recupero delle energie necessarie al prosieguo del viaggio.

Come è cambiato il mondo in dieci anni.

– Nel 2008 non era stato ancora realizzato il monumento a Gajdaj, installato nel 2012 in occasione del 90° anniversario della nascita del regista.

Giorno 30 – La finale nella Parigi siberiana

15 luglio 2018, Bratsk-Irkutsk (676 km) – Tot. 10.438 km

La domenica mattina, anche nel quartiere di Energetik, è rappresentata da strade deserte e silenzio. A rompere questa quiete ci siamo noi che alle otto siamo già in marcia per raggiungere la locale stazione di metano, l’ultima del nostro viaggio verso oriente, che ci ha costretto ad una deviazione di circa 300 chilometri per allungare ulteriormente il tragitto coperto usando il diesel-metano. Ci aspetta Dmitrij che ha già avuto nostre notizie dal tam tam dei social network e dei vari gruppi che ci seguono e sostengono, tra cui Gazprom. Questa stazione è abbastanza isolata da tutte le altre della rete russa e non capitano molti clienti. Tra questi, quasi tutti hanno accordi commerciali con Gazprom. Qui non è previsto pagamento alla cassa, ma solo addebiti direttamente alle aziende che si riforniscono qui. Sostiamo quasi un’ora poiché il compressore del metano non era acceso. Poi su consiglio di Dmitrij effettuiamo un secondo rifornimento una ventina di minuti dopo il primo per caricare più metano, importante visto che non potremo più utilizzarne altro una volta finito questo pieno. Come al solito si effettuano foto assieme per ricordare questo incontro, ma stavolta ci sono due sorprese: non paghiamo alcun conto, essendo ospiti di Gazprom, e Dmitrij ci offre la colazione a base di pirozhkì preparati dalla moglie. Ringraziamo, doniamo alcuni gadget dei nostri sponsor, e con oltre un’ora di ritardo sulla tabella di marcia riprendiamo il cammino verso Irkutsk.

Nella prima parte di viaggio la strada è ottima. Si alterna una parte a quattro corsie con un’altra fatta da blocchi di cemento dove comunque si riesce a tenere una buona velocità. In un paio di ore siamo a Tulun, dove si riprende il percorso originale del viaggio del 2008 e anche quello previsto per il 2018 ma poi deviato per andare al metano di Bratsk. A Tulun dieci anni fa bucammo una ruota, oggi ci limitiamo a “compiere” il chilometro 10.000 dalla partenza da Torino. Una cinquantina di chilometri dopo, a seguito di una lunga sosta ad un passaggio a livello della Transberiana, corredato dal consueto scambio di saluti con i treni di passaggio, decidiamo di effettuare la pausa pranzo nel solito kafè disperso nell’ennesimo minuscolo paesino siberiano. Naturalmente dopo oltre trecento chilometri di ottima viabilità non potevano mancare i consueti lavori in corso nella strada e conseguente rallentamento che ci permette di apprezzare con vista e olfatto la fioritura della Siberia, oltre ai numerosi venditori a bordo strada di fragoline di bosco.

La strada di oggi lambisce un piccolo paese dal nome di Zimà, che in russo significa inverno e che nel 1932 diede i natali al poeta sovietico Evgenij Evtushenko. Qui c’è una piccola stazione della Ferrovia Transiberiana resa celebre da un suo conosciuto poema e da una canzone di Roberto Vecchioni. Cogliamo l’occasione per visitare “la stazione di Zimà”, ormai un edificio moderno e vivace con numerosi viaggiatori che salgono e scendono dai treni diretti a Mosca oppure sul Pacifico. L’orario della stazione fa riferimento al fuso orario di Mosca e non a quello locale, più avanti di cinque ore. Ciò è necessario per avere una unica unità di misura del tempo nei sette fusi orari attraversati dalla ferrovia.

Poco più avanti un altro momento importante, visto che siamo nel pressi del cartello stradale presente sulla copertina del libro di Danilo Elia “La bizzarra impresa”. Elia e l’amico Fabrizio Bonserio nella primavera del 2005, a bordo di una vecchia Fiat 500, partirono da Bari e transitando da Torino tentarono di raggiungere Pechino. Il viaggio si trasformà in un’avventurosa Bari-Vladivostok raccontata nel libro citato. A quel viaggio si ispirarono Guido e Andrea per la Torino-Pechino del 2008 e indirettamente esiste un filo che lega quella bizzarra spedizione con il nostro di oggi.
Anche questa volta l’arrivo nella città tappa del giorno, Irkutsk, che è detta “la Parigi siberiana”, è contraddistinto da un problema con le prenotazioni via “booking”. Sono due i casi di appartamenti prenotati e poi non realmente disponibili. A questi si deve aggiungere un episodio simile avvenuto altre due volte nelle città dove abbiamo dormito precedentemente. Pare evidente che ci sia un tentativo da parte dei proprietari degli appartamenti di gabbare il sito di prenotazioni cambiando le carte in tavola ogni volta. Torneremo a parlare di questo argomento nei prossimi giorni dopo aver effettuato alcune verifiche.

La serata non poteva che terminare con la finale del Campionato mondiale di calcio: ci gustiamo la cena e l’avvincente partita tra Francia e Croazia in un pub sulle rive del fiume Angara. Il calcio d’inizio è alle 23 secondo la nostra ora locale. Terminata la partita e terminato il mondiale con la vittoria della Francia, possiamo finalmente dedicarci al riposo.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Confrontando il cartello di oggi con quello fotografato nel 2005 da Danilo Elia emerge una incongruenza nella distanza da Irkutsk. In realtà questo è dato dalla costruzione di una tangenziale attorno alla città di Angarsk che allunga il percorso di dieci chilometri ma lo accorcia come tempi di percorrenza.

– Dieci anni fa la copertura radiofonica lungo le strade russe al di fuori delle città era minima. Oggi è più o meno lo stesso ad eccezione di Dorozhnoe Radio (Radio stradale) che ha una maggiore, ma pur sempre esigua, copertura.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno il Cinghiale

Giorno 29 – Avventura nella taiga

14 luglio 2018, Krasnojarsk-Bratsk (697 km) – Totale 9.762

Sapendo che la giornata di oggi sarebbe stata impegnativa, decidiamo di far suonare la sveglia alle 6 per lasciare Krasnojarsk un’ora dopo. Notiamo già di buon’ora molti individui che si intrattengono a rovistare nei bidoni dell’immondizia sotto la nostra casa e vicino all’auto. Dai bidoni rispondono infastiditi topi di elevate dimensioni. Questo fenomeno sociale riguarda prevalentemente anziani che vivono con le pensioni basate sui contributi di epoca sovietica, che non sono state rivalutate e al giorno d’oggi valgono meno di cento euro al mese. Dopo oltre venticinque anni continuano ad apparire irrisolte alcune delle problematiche sorte con la trasformazione dell’economia e del sistema sociale di questo grande Paese e che hanno condotto alla povertà una fascia della popolazione.

Nel nostro piccolo appartamento c’è un curioso problema, ovvero manca l’acqua fredda. Di solito avviene il contrario. Per non rimanere ustionati siamo costretti a lasciare casa senza la doccia mattutina a cui siamo abituati. La strada che porta alla vivace città di Kansk è decisamente buona. Tratti a quattro corsie e altri con solo due, ma complessivamente asfalto nuovo. Unico ostacolo, le interminabili file di camion che, come abbiamo già ricordato, inquinano come una centrale a carbone. Ad ora di pranzo siamo già a metà strada, visto che attraversiamo il confine che ci fa entrare nell’oblast’ di Irkutsk e spostare avanti le lancette dell’orologio della sesta ora rispetto all’Italia. Appena dopo il confine notiamo il curioso torrente “Verbljud” (Cammello), seguito dall’omonimo kafè. Lì decidiamo di pranzare con un lauto pasto a base di pelmeni siberiani e manty centroasiatici. Poco più avanti sostiamo per un rifornimento di gasolio nella città di Tajshet, snodo ferroviario di grande importanza dove la Transiberiana si divide in due rami, quello più noto a sud del Lago Bajkal e quello settentrionale che prende il nome di Bam.

Anche per noi è tempo di fare scelte importanti: se seguiamo la ferrovia meridionale ci avvicineremo rapidamente a Irkutsk rinunciando all’ultimo pieno di metano che questa zona della Russia può offrirci; andando a nord, invece, possiamo raggiungere, allungando di circa 250 chilometri, la città di Bratsk, dove si trova l’ultimo avamposto Gazprom nella Russia sud-orientale. Ci lascia perplessi il fatto che nella cartina stradale in nostro possesso, le strade che ci porterebbero a Bratsk sono riportate come piccole e potenzialmente terribili. Gli addetti alla stazioni di servizio ci tranquillizzano raccontandoci che sei mesi fa è stato completato il percorso che unisce Bratsk a Tajshet e che ora il tempo di percorrenza è quasi dimezzato. Alcune conferme a questa notizia arrivano anche dalle nostre ricerche on line. Decidiamo di andare per fare in modo che la parte a metano del nostro viaggio possa durare altri mille chilometri, forse superando anche il Bajkal. Dopo i primi venti ottimi chilometri comincia una parte di strada sterrata. Successivamente torna un poco di asfalto che ben presto cede il posto ad una terribile pista nel cuore della taiga. Per fare poco meno di duecentocinquanta chilometri impieghiamo circa cinque ore. La media oraria delle parti non asfaltate è bassissima e se non avessimo viaggiato in un fuoristrada probabilmente saremmo dovuti tornare indietro. La Toyota si comporta molto bene, ma neppure lei può difenderci dalla polvere che ci assale, anche con i finestrini chiusi. Tutto questo serve per capire che in Russia non sempre è importante che la strada sia asfaltata, e in casi come questi è prioritario che si possa arrivare a destinazione; ecco perché, nonostante la strada sia terribile, tutti sono felici per l’apertura di questa arteria che ha realmente migliorato la circolazione in questa regione. Non osiamo pensare cosa ci fosse prima al posto di questa specie di strada e quali mezzi fossero in grado di percorrerla. Interessante, senza ombra di dubbio e nonostante il tempo che perdiamo, il paesaggio naturale nel cuore della taiga siberiana. Abbiamo modo di osservare la fauna selvatica e molti uccelli a noi sconosciuti. Degna di nota la vegetazione in fiore che rende il paesaggio verdissimo in questo periodo dell’anno. A circa quaranta chilometri da Bratsk torna l’asfalto, ma non finiscono le buche grandi come crateri. Quando è quasi buio la situazione si tranquillizza e siamo finalmente nella città dove ci siamo imposti di arrivare. Fatichiamo a trovare un alloggio e stavolta ci aiutano poco sia la guida Lonely Planet che il sito Booking.com. Finiamo nel quartiere settentrionale, chiamato Energetik, nei pressi della grande centrale idroelettrica sul fiume Angara, emissario del Lago Bajkal. Dopo essere stati respinti da un albergone in stile sovietico che ci ha chiesto un capitale per dormire nelle loro stanze, finiamo in un appartamento meno costoso, ma decisamente confortevole, elemento importante vista la stanchezza accumulata in questa giornata che ci ha visto chiusi in auto per quasi quindici ore. Una veloce cena in un localino sotto casa chiude l’impegnativo giorno.

Come è cambiato il mondo in 10 anni?

– Ancora una volta parliamo di strade constatando il progresso della Krasnojarsk-Irkutsk che finalmente è interamente asfaltata. Auguriamo stessa sorte ben prima di dieci anni anche alla Tajshet-Bratsk.

– La miseria per le strade di Krasnojarsk, purtroppo, dieci anni dopo non è scomparsa.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno Cinghiale

Giorno 28 – Chiuso per… orsi!

13 luglio 2018, Krasnojarsk-Divnogorsk-Krasnojarsk (116 km) – Tot. 9.065

In questo giorno di quasi riposo assoluto la sveglia suona molto tardi, al punto che scegliamo di andare direttamente a fare un pranzo-colazione nella mensa sotto casa. La stolovaja “S’em Slona” (“Mangio un elefante!”) è un curioso paradosso, poiché nonostante tutto funzioni in stile russo, al muro si trovano fotografie e immagini dell’Africa. Davvero originale per noi europei pranzare nel cuore dell’Asia con piatti russi, ma vedendo davanti ai nostri occhi il Kilimangiaro, giraffe, leoni, elefanti e intere tribù africane che salutano chi entra nella mensa.

Il cartello che avvisa della chiusura “per orsi” del parco Stolby

Il programma della giornata prevede di fare una cosa che non riuscimmo a fare nel viaggio di dieci anni fa, ovvero visitare il famoso Parco naturale degli Stolby. L’attrazione di questa oasi naturale, dove si possono fare lunghe passeggiate in una zona davvero simile agli appennini dell’Italia centrale, sono delle grandi colonne di pietra. Si può raggiungere il luogo con il maggiore numero di stolby attraverso un sentiero di circa sette chilometri, il doppio dovendo anche tornare all’auto. L’alternativa è salire con una seggiovia in una montagna appena sopra Krasnojarsk e camminare a piedi per circa quaranta minuti per poter vedere dall’alto le note pietre. Quest’ultimo era il nostro programma per oggi, ma siamo stati fermati da un imprevisto abbastanza incredibili: da ieri il parco è chiuso per la presenza di orsi! Da quello che apprendiamo dai notiziari on line, un numero elevato di plantigradi è ripetutamente penetrato nel percorso turistico, causando un potenziale pericolo per gli escursionisti. Ci rechiamo comunque alla partenza della seggiovia, dove uno dei custodi ci conferma che l’accesso al parco è vietato, ma che possiamo comunque entrarci a nostro rischio e pericolo: se ci trova una guardia ci multa, se ci trova un orso ci mangia! Questa interessante previsione è sufficiente ad avviare le procedure per il piano B, ovvero recarci circa trentacinque chilometri a sud di Krasnojarsk, risalendo il fiume Enisej per ammirare da vicino l’enorme centrale idroelettrica che è tra l’altro raffigurata nelle banconote da 10 rubli. Lungo la strada che conduce a Divnogorsk, fatta di salite e discese, curve e tornanti, cosa rara nella piattezza del paesaggio russo e siberiano, si può sostare in un punto panoramico che domina la vastità dello Enisej. Scendendo da questo speciale osservatorio si incontra il pittoresco villaggio di Ovsjanka, fatto con molte storiche case di legno. In una di questa sorge il memoriale dedicato al poeta sovietico Viktor Astaf’ev, nato proprio ad Ovsjanka. Approfittiamo per una rapida escursione nel villaggio e sulle rive del fiume.

Finalmente, dopo le varie soste raccontate, raggiungiamo la grande diga sullo Enisej. Come ci aspettavamo la zona è sotto sorveglianza e per ragioni di sicurezza non ci permettono di avvicinarci troppo. Complice la nebbiolina che persiste in zona, la qualità dell’osservazione non è delle migliori. Proviamo ad andare a monte della struttura dove riusciamo ad osservare la centrale idroelettrica e da lontano anche la struttura che permette alle navi di spostarsi a valle e a monte di questo colosso alto novanta metri. Il lago formato dalla diga è lungo centinaia di chilometri e tutto attorno sorgono numerosi luoghi balneari con bungalow, case e campeggi. Tornando verso Krasnojarsk incontriamo un furgone con targa tedesca. Ci notiamo a vicenda e ci fermiamo a conversare. Conosciamo la bella famiglia composta da Jonas, tedesco, e Nadya, russa, che assieme alla piccola Marlene, nove mesi, stanno viaggiando dalla Germania alla Mongolia. Ci scambiamo informazioni sui rispettivi viaggi e sul perché li abbiamo intrapresi. È sempre curioso incontrare un altro veicolo europeo a migliaia di chilometri dall’Europa.

Nel tardo pomeriggio siamo di ritorno a Krasnojarsk anche per effettuare quella esplorazione della città che nel giorno precedente è stata solo parziale. Stavolta si comincia da una bella cena a base di shashlik (spiedini di carne) sul lungofiume. Con lo stomaco soddisfatto si passa a Piazza della Pace, che al momento è un cantiere in evoluzione, e si continua il passeggio nelle popolate strade cittadine contornate da vecchie case di legno, edifici neoclassici di epoca sovietica e qualche bizzaria architettonica di recente edificazione. Krasnojarsk nacque come insediamento militare già a metà del ‘600 e fu una importante testa di ponte per la colonizzazione dell’estremo oriente russo. In epoca sovietica era un noto luogo dove erano attivi campi di lavoro e poi successivamente aziende meccaniche e legate alla lavorazione del plutonio. Questo fece di Krasnojarsk una città chiusa, accessibile agli stranieri solo con speciali permessi.

La visita termina piuttosto presto visto che domani e dopodomani ci aspettano giornate decisamente difficili e con distanze chilometriche che ci costringeranno a passare molto tempo dentro la nostra Toyota Hilux, modello del quale abbiamo tra l’altro notato in città un numero particolarmente elevato di esemplari.

Cosa è cambiato in dieci anni?

– A dieci anni di distanza, sebbene per motivi diversi, non siamo riusciti a visitare gli Stolby

– I numerosi piccoli chioschi di shashlik nel lungofiume si sono trasformati in veri ristoranti

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololey, Bruno Cinghiale