13 agosto 2018, Ulan Bator-Arvajheer (430 km) – Tot. 19.470
Oggi la Torino-Pechino lascia Ulan Bator per cominciare la lunga traversata di steppe e deserti (1600 km) che in circa quattro giorni vedranno la Toyota Hilux tornare in Russia. Dopo la colazione nella guesthouse che ci ospita troviamo la nostra auto chiusa da altri autoveicoli e quindi impossibilitata a lasciare il parcheggio. Per fortuna la padrona della guesthouse conosce la proprietaria di una delle macchine e riusciamo a liberarci. Ulan Bator dimostra di non volerci far andare via visto che il traffico del lunedì mattina ci costringe a percorrere in un’ora i sette chilometri necessari ad uscire dalla capitale.
Superata la zona dell’aeroporto il traffico cessa e inizia il consueto vuoto quasi assoluto che caratterizza la campagna mongola. Sappiamo che i primi chilometri di strada verso ovest saranno prevalentemente asfaltati, ad esclusione di qualche zona dove la cattiva manutenzione costringe ad andature molto lente. Su suggerimento di Padre Ernesto ci fermiamo circa cento chilometri dalla capitale, appena dopo il paesino di Lun, in una specie di autogrill in salsa mongola dove si può fare una colazione “all’italiana”. In effetti il caffè è buonissimo e il piccolo assortimento di pasticceria, composto da un solo tipo di salato e un altro solo tipo di dolce, risulta essere altrettanto gustoso. Il prezzo di tre colazioni è circa la metà di quello di un “camogli” delle nostre aree di servizio.
Il viaggio prosegue su strada buona e l’unico pericolo è costituito da pecore, capre, mucche e cavalli, sempre in branchi, che spesso attraversano il nostro percorso. A circa duecento chilometri dalla capitale fanno il loro esordio nella nostra collezione di animali stradali i cammelli!
Il tutto nei pressi di uno strano avamposto di deserto, definibile un’oasi al contrario visto che trattasi di una vasta isola di deserto circondata dal verde degli altopiani mongoli. Vicino c’è la cittadina di Rashaant, che su questa vasta zona sabbiosa ha costruito le proprie fortune legate al turismo. Qui, per la prima volta nell’intero viaggio, usiamo le quattro ruote motrici per divertirci a provare l’ebbrezza di salire e scendere da una duna di sabbia. Immortaliamo il tutto con foto e filmati. In questo strano luogo ci concediamo un pranzo all’interno di una gher a base di ravioloni ripieni di montone e altre prelibatezze sempre a base dell’animale più popolare in questa terra.
Negli ultimi duecento chilometri torna il verde alternato a zone rocciose. Alla guida c’è Andrea che dovrà fare i conti con qualche chilometro di pista e con un pessimo fondo stradale anche in presenza di asfalto. Il pedaggio di meno di mezzo euro ci annuncia che siamo ormai prossimi ad Arvajheer, il paese dove c’è la missione coordinata da Padre Ernesto assieme a Padre Giorgio e Padre Dido. Proprio quest’ultimo, di origine congolese, ci accoglie all’interno dell’interessante struttura. Come primo atto ci viene offerto un graditissimo caffè fatto con la moka. Si uniscono a noi anche le tre suore che vivono nella missione. In muratura c’è solo il centro dove vivono i sacerdoti e le suore e un’ulteriore parte dedicata agli ospiti. Con nostra sorpresa notiamo che la chiesa non è una struttura in mattoni o cemento, ma una gher mongola. All’interno c’è tutto quello che si può trovare in una chiesa, ma con la caratteristica di forma e struttura senza dubbio originali. Nelle altre gher posizionate all’interno dello spazio occupato dalla missione ci sono due oratori dove tutti i bambini della città – cattolici sono qualche decina su 20.000 abitanti – possono giocare, studiare o comunque trascorrere tempo. Lo spirito della missione non è quello di contabilizzare battesimi in una terra dove il cattolicesimo è arrivato da appena ventiquattro anni, ma cercare di fornire appoggio alle famiglie locali. Interessante anche il centro dedicato al sostegno e recupero delle persone con problemi di alcolismo e quello dove le donne della città possono lavorare borse e altri oggetti simili da poter vendere grazie ai contatti della missione. Non manca lo spazio dedicato alla coltivazione in serra di verdure quasi introvabili in Mongolia.
Alle 18.00 arriva l’orario di partenza di Andrea e Claudia che dovranno rientrare in autobus nella capitale per prendere l’aereo che domani li riporterà verso l’Europa. Il saluto ufficiale tra i membri della Torino-Pechino avviene nel piazzale della stazione degli autobus. Guido e Bruno decidono di cenare e pernottare alla missione per potersi risparmiare altre tre ore di viaggio che saranno spostate all’alba di domani dopo un meritato riposo.
Piacevole la conversazione durante la cena, bagnata con l’ultima bottiglia di vino 43° delle Tenute Nardi che ha percorso via terra tutti i chilometri del viaggio. Si parla dell’attività dei cattolici in Mongolia, ma anche delle vicende relative ai grandi vicini di questo paese, Russia e Cina. Fine serata con shopping e acquisto di prodotti fatti a mano dalle donne di Arvajheer nei laboratori del centro che questa sera ospita la Torino-Pechino.
Anche se può non sembrare osservando una carta geografica o viaggiando in queste strade, Arvajheer è a 1800 metri sul livello del mare mentre la capitale Ulan Bator è solo a 1300.
Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– Pur non avendo visitato questo luogo, già nel 2008 avemmo notizie sull’attività della missione a Arvajeer. La struttura è più grande e molto potenziata e l’attività del centro di formazione professionale è senza dubbio il fiore all’occhiello di questa esperienza.
Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Andrea Gnaldi, Claudia Giorgio