Giorno 45 – Vigilia cinese

30 luglio 2018, (Pyongyang)-Artyom-Kraskino (km. 209) – Tot. 14.829

La sveglia al ventesimo piano dell’Hotel Koryo mi permette di vedere il sorgere del sole in corrispondenza della Torre Juche. L’effetto ottico è notevole anche se penso non sia stato programmato, come molte delle cose turistiche e non che riguardano la capitale nord coreana. Assieme alle mie due guide e naturalmente all’autista raggiungiamo in meno di mezz’ora l’aeroporto di Pyongyang circa sessanta minuti prima della partenza del volo. Trovarsi in una città dove non esiste il traffico privato e dove non partono o arrivano chissà quanti aerei permette di velocizzare tutte quelle attività che in occidente sarebbero più complicate. In ogni caso la burocrazia è sempre in agguato e un non meglio precisato problema allerta un solerte poliziotto della dogana coreana. L’intervento delle mie guide e una telefonata a non so chi risolve il tutto. Mi congedo dai miei nuovi e unici amici nordcoreani e salgo di nuovo sul consueto Ilyushin 62 made in Kazan. Circa mezz’ora oltre l’orario previsto per la partenza, un improbabile annuncio della hostess ci comunica che il ritardo è dovuto al traffico aereo.

Non sono sicuro della veridicità dell’affermazione dato che ho notato tecnici aggirarsi attorno all’aereo con degli enormi manuali d’istruzioni. In ogni caso, con un’ora di ritardo lasciamo Pyongyang e il volo fila liscio fino all’aeroporto di Vladivostok, presso la già citata cittadina di Artyom. Superato il controllo doganale, stavolta accompagnato dall’affettuosità e relativa leccata del cane antidroga russo, mi dirigo al parcheggio dove finalmente recupero la Toyota Hilux qui abbandonata per poco più di 72 ore. Comincia il viaggio di giornata, questa volta solo in due visto che sono accompagnato dal Cinghiale Bruno. L’obiettivo è portarsi a ridosso del confine cinese per poter presentarsi in dogana nelle prime ore del mattina della giornata di domani. Dopo uno spuntino e un pieno di gasolio nella sempre presente stazione di servizio Rosneft, si risale a nord per una parte della strada percorsa nei giorni passati per raggiungere Vladivostok. Da qui si svolta decisamente verso sud per percorrere una strada che si avventura in un paesaggio che tutto ricorda meno che di essere in Russia. Oltre il verde da foresta fluviale, avvistiamo più volte cartelli che ci avvisano di essere in un parco chiamato “terra del leopardo”. Oltre la tigre dell’Ussuri in questa zona si aggira anche il leopardo! Siamo in altura rispetto a tutto ciò che ci circonda e grazie ad una ottima visibilità si scorge anche Vladivostok sull’altro lato del golfo. Paradossalmente, meno di una settimana fa avevamo una visibilità di 30 metri e oggi superiamo abbondantemente i 30 chilometri.

La destinazione della giornata è la piccola cittadina di Kraskino, a 25 chilometri dalla Cina e quasi altrettanto dalla Corea del Nord. Siamo quasi nel punto più a sud della Russia, battuti per un grado di latitudine dalla zona più meridionale del Caucaso. A Kraskino c’è molto poco se non un albergo di medie dimensioni studiato per i cinesi in transito da questo confine strategico, essendo quello più meridionale tra Russia e Cina. I prezzi dell’Orion Complex non sono carissimi, ma l’acqua calda c’è solo per poche ore al giorno. Da qui nella giornata di domani saremo al confine in circa 20 minuti. Entrando in Cina sposteremo le lancette indietro di due ore e quindi coltiviamo la speranza di avere comunque una buona parte della giornata per viaggiare verso Pechino. Nel frattempo i cinesi di passaggio completano il saccheggio della cucina, e noi rischiamo di rimanere a pancia vuota. Ci salva il vecchio e impresentabile cafè Korona, dove il menù prevede solo borsh, una polpetta di carne e del purè. Non ci sono alternative e accettiamo l’offerta. La passeggiata serale tra i ruderi e le poche case decenti di Kraskino riserva una interessante sorpresa. All’interno del parco cittadino ci sono dei monumenti a ricordo del tenente dell’Armata Rossa Michail Kraskin, a cui il villaggio deve il nome, che è morto con qui nel 1936 durante uno scontro di frontiera con i giapponesi che tentavano azioni offensive, la più violenta delle quali, nel 1938 a Chasan, si concluse con centinaia di caduti da entrambe le parti prima che le truppe sovietiche riuscissero a respingere i nipponici. Oltre ciò, nella strada principale è in manutenzione un bel monumento di epoca sovietica, oltre ad un grande murale dedicato a Lenin nel cinquantesimo anniversario della rivoluzione d’ottobre.

Osservando le cinque mucche che bevono da una grande pozzanghera vicino all’Hilux, ci corichiamo in attesa della difficile giornata di domani.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno il Cinghiale

Giorno 44 – Vacanze in (Nord) Corea

(27-28-)29 luglio 2018, Pyongyang – Monte Myohyang – Kaeson – DMZ – Sariwon

di Guido Guerrini

Condensare in una pagina di diario tutto quello che è stata la breve, ma intensa, avventura in Corea del Nord non è affatto semplice. Per il momento mi limito a scrivere un riassunto-cronaca di quello che ho visto e fatto, rimandando ad un momento successivo la pubblicazione di approfondimenti e relative fotogallery. Quello che ho scritto non pretende di essere esaustivo e non deve essere considerata una fonte di certezze su quello che è o non è questo Paese. Ribadisco che se questa escursione è stata possibile è grazie alla associazione svizzera Comecon che si occupa di organizzare viaggi nella Repubblica Democratica Popolare di Corea. Per massima chiarezza specifico fin da subito che in questo resoconto non intendo né lodare né criticare il sistema nordcoreano, ma voglio raccontare ciò che ho fatto e visto.

Ho usato l’aereo per raggiungere la capitale nordcoreana poiché il treno che parte da Vladivostok e in 24 ore raggiunge Pyongyang sembra non sia utilizzabile dai cittadini non russi o coreani. Questo fatto ha interrotto il viaggio via terra, ma non si poteva fare altrimenti per compiere questo ultimo balzo oltre uno dei confini più invalicabili del pianeta. L’aereo Ilyushin 62 che ha effettuato il viaggio da Vladivostok a Pyongyang è della compagnia nordcoreana Air Koryo, un modello che non producono più dal 1995 e che è stato assemblato nella città di Kazan, ironia della sorte il luogo dove nascerà mia figlia. A bordo dell’aereo, che dimostra tutta la sua vetustà ma anche un’ottima manutenzione, visto che viaggia da molti anni, c’è stato il primo approccio con la gente del posto. Sia le hostess che i passeggeri coreani presenti hanno dimostrato grande cordialità e amicizia. L’arrivo all’aeroporto di Pyongyang è stato decisamente insolito per chi è abituato alle frontiere di Shengen. Oltre i numerosi moduli già compilati in aereo c’è stata una ispezione molto attenta a tutto ciò che era presente nei bagagli, compreso un rapido controllo ai contenuti di cellulari, agende e libri. I nostri telefonini possono essere usati solo come macchine fotografiche visto che non c’è alcun roaming o connettività per i telefoni stranieri. Al contrario i dispositivi mobili coreani sono collegati ad un “internet” locale contenente informazioni, musica, sport, film. Il nostro sistema e quello coreano naturalmente non possono comunicare tra di loro. L’unico modo per comunicare con l’esterno sono le telefonate internazionali dalla stanza dell’albergo.

Superato l’ultimo controllo ed ammesso finalmente in Corea ho subito incontrato le mie guide coreane, anzi, i miei due angeli custodi, assieme all’autista dell’auto a mia disposizione. Le due guide si sono occupate di tutta l’organizzazione del mio soggiorno coreano. Comunichiamo in inglese e subito chiedo cosa posso e non posso fare onde evitare problemi al loro lavoro e soprattutto a me stesso. Contrariamente a quello che si può pensare vedendo la Corea dall’esterno, c’è massima libertà di fotografare tutto quello che si vuole, ad eccezione di installazioni militari ed edifici in costruzione. In ogni caso per prudenza, nelle prime ore del viaggio, chiedo sempre alle mie due guide. Mi viene confermato che non posso muovermi da solo al di fuori dell’albergo, ma come in seguito vedremo non tutto è programmato nel massimo dettaglio, visto che su mia richiesta, più volte, abbiamo modificato i piani.

Le prime ore di venerdì pomeriggio sono state dedicate alla visita del principali monumenti di Pyongyang. Questo primo assaggio della capitale è stato utile per apprezzare come la realtà sia molto differente da quello che ci comunicano i mezzi di informazione. Oltre alla pulizia e ordine, cosa che mi aspettavo di trovare, mi ha colpito molto la massiccia presenza di negozi sia grandi che piccolissimi. Anche questi ultimi sono rigorosamente a gestione statale. Gli scaffali sono pieni di articoli mai visti in vita mia, di produzione locale o importati da Cina, Singapore o Thailandia. Specifico che ho potuto osservare da vicino anche i negozi “non per turisti”. Non ho potuto comprare nulla in questi negozi ma ne ho potuti guardare in grande quantità. Considerando che non esistono auto private, il traffico è comunque presente grazie ai numerosi mezzi pubblici e veicoli da trasporto. Le arcinote vigilesse in divisa bianca ed eleganti gestiscono il tutto assieme ai semafori. Vengo portato ad osservare la metropolitana cittadina che si articola su due linee per un totale di 16 stazioni. In resoconti giornalistici italiani ho letto più volte che le guide si limitano a farti visitare due stazioni. Gli stessi resoconti insinuano che le altre stazioni potrebbero non esistere. Io ho visitato, o semplicemente attraversato, un totale di sei stazioni. Tutto si trova ad oltre 100 metri sotto terra e la mia guida mi conferma che si tratta della metropolitana più profonda del mondo. Altra nota di colore è il fatto che i treni e le carrozze vengono direttamente da Berlino Est. Qui ho modo di immergermi e fotografare la gente del posto che generalmente mi guarda con simpatia, in particolar modo i bambini. Oltre ai 170 metri della Torre Juche, prima torre in granito del mondo e dalla quale si gode di un ottimo panorama su tutta la capitale, ho modo di visitare la popolare Piazza Kim Il Sung sia prima che durante lo spettacolo delle grandi danze di massa che onorano il “Giorno della Vittoria”. Il 27 luglio del 1953 fu firmato l’armistizio tuttora in vigore della Guerra di Corea (1950-1953) che per i Nordcoreani rappresenta una vittoria militare. Nei giorni successivi avrò modo di ascoltare alcuni punti di vista sulla storia di questa cruenta e poco conosciuta guerra. Non essendo testimone diretto dei fatti mi limito a constatare che quello che si può leggere in un libro di scuola europeo differisce molto dal punto di vista dei nordcoreani. Non sono io che devo decidere chi ha ragione, ma trovo comunque interessante osservare, nella piazza che in Italia conosciamo per le imponenti sfilate di armamenti, almeno duemila coppie di danzatori in costume tradizionale che, perfettamente coordinati, ballano canzoni della tradizione coreana. Alcuni turisti occidentali vengono invitati a danzare assieme a uomini e donne in costume. Io non ho il coraggio di gettarmi nella mischia, ma sostengo a gran voce i pochi europei presenti e che accettano l’invito. La lunga giornata si conclude con una cena solitaria al ristorante del terzo piano dell’Hotel Koryo e poi nella mia camera al ventesimo piano della stessa struttura, una doppia torre gemella alta 143 metri che di piani ne ha addirittura quarantatré. Ho la possibilità di vedere anche canali in inglese, arabo e russo, ma prediligo il canale ufficiale coreano che trasmetterà per tutta la serata, con la solita enfasi conosciuta anche in occidente, gli eventi che hanno caratterizzato il Giorno della Vittoria.

Il sabato comincia da dove era finito il venerdì, con una bella colazione al ristorante del terzo piano. Gironzolando per l’albergo noto come i gruppi di cinesi, circa il 95% dei turisti presenti a Pyongyang, mangino al secondo piano e in qualche altro piano devono per forza mangiare i coreani. Propongo alle mie guide e al mio autista di mangiare assieme qualche volta. Inizialmente mi viene detto che non sarà possibile, poi riusciranno ad accontentarmi almeno per le cene. Il secondo giorno prevede una gita fuori porta di circa 150 km a nord della capitale, molto utile per osservare cosa c’è al di fuori del perimetro urbano. La destinazione del viaggio è l’affascinante Monte Myohyang dove si trova il Museo dell’Amicizia, un sito dove sono esposti tutti i regali ricevuti negli anni dai vari leader coreani. Purtroppo non è possibile fotografare i numerosi doni che ho potuto osservare. Tra i tanti ci sono una testa di orso donata da Ceausescu, tre vere automobili sovietiche donate da Stalin, Malenkov e Bulganin, numerosi doni dall’Italia, quasi tutti a firma di Giancarlo Elia Valori, interessante personaggio figlio di una famiglia di Sansepolcro, cittadino onorario della stessa città, e molto amico dei passati leader coreani. In tre stanze speciali è possibile incontrare tre riproduzioni, forse cere, a grandezza naturale del Padre della Patria Kim Il Sung, del successivo leader Kim Jong Il e di Kim Jong Suk, quest’ultima considerata la madre della Patria. Kim Jong Suk, poco nota in Italia, è stata la seconda moglie di Kim Il Sung e madre di Kim Jong Il, ma soprattutto una eroina della guerra di resistenza all’occupazione giapponese tra il 1925 e il 1945. Di solito i coreani non fanno riferimento alla discendenza diretta dei loro leader nazionali, ma in questo caso indirettamente le mie guide lo hanno fatto descrivendo Kim Jong Suk come moglie di Kim Il Sung e madre di Kim Jong Il. A proposito di discendenze, è del tutto assente dalla iconografia in giro per il paese l’attuale leader, Kim Jong Un. Coloro che vogliono fare attenzione al culto della personalità dei leader coreani devono tenere presente che i due “capi” precedenti sono onnipresenti ovunque, ma non quello in carica. Non mi soffermo sugli aspetti paesaggistici, comunque molto belli, del luogo dove sorge il complesso. A pochi chilometri da lì ci fermiamo per un ottimo pranzo in un resort molto elegante. Segnalo che per ben 4 euro ho potuto bere un perfetto caffè italiano preparato da una addetta esperta e capace su una vera macchina da bar italiana. Il viaggio di ritorno mi permette di osservare ancora meglio la situazione nelle campagne, comprensiva di una sosta in una curiosa area di servizio dove è possibile comprare o solo assaggiare i frutti di questa terra. La regione è prevalentemente montagnosa, ma non c’è un metro quadrato di terra pianeggiante o di collina che non sia coltivato. Prevalgono il riso in pianura e il grano in collina. Ogni fiume ha delle piccole dighe per creare laghi destinati all’irrigazione, mentre in tutti i laghi più grandi c’è sempre una piccola centrale idroelettrica. Le carestie degli anni ‘90 hanno portato ad un grande investimento sull’agricoltura e sul controllo idraulico del territorio, sottolineano le mie guide. Sicuramente questo è vero, ed è possibile osservare come ogni appezzamento di terra faccia riferimento a villaggi limitrofi dove la qualità della vita non è sicuramente paragonabile a quella di Pyongyang. Mi hanno colpito molto anche alcuni squilibri tra le varie realtà agricole. Alcune sono dotate di trattori e altre tecnologie utili a migliorare il lavoro dell’uomo, in altre realtà ho visto all’azione anche buoi e aratri. Anche in questo caso non mancano delle risposte puntuali da parte dei miei accompagnatori che sottolineano le varie difficoltà legate ad embargo e sanzioni e al fatto che negli ultimi anni il Paese ha dovuto sostenere uno sforzo per la costruzione degli indispensabili armamenti. Adesso che si profila un avvenire di pace e tranquillità, forse, maggiori risorse potranno essere dedicate al miglioramento di altri aspetti come l’agricoltura.

A Pyongyang mi aspetta il circo permanente, organizzato in una grande struttura della capitale. Non ero molto convinto di quello che mi veniva proposto, ma le due ore di spettacolo rigorosamente senza l’uso di animali mi permette di ricredermi completamente. Finisco per applaudire assieme ai bambini del Partito Comunista Russo seduti al mio fianco. Finalmente riesco a cenare assieme alle mie guide e al mio autista, evento che permette di instaurare un ottimo clima di cordialità che sarà molto utile nel prosieguo di questa esperienza. Durante la cena mi viene chiesto di scrivere il testo di “O Sole Mio”, l’unica canzone italiana conosciuta dai miei compagni di viaggio, che come tutti i coreani prediligono musica classica o tradizionale. Non a caso la colazione della domenica è accompagnata da questo tipo di musica. In base a quello che mi viene raccontato in Corea alla domenica non si lavora, mentre gli altri sei giorni ci sono circa otto ore di impegno lavorativo. Per i miei accompagnatori questa domenica sarà lavorativa, ma vengo rassicurato che potranno recuperare il giorno nelle prossime settimane. Durante il viaggio che ci porta verso sud alla DMZ, la zona demilitarizzata dove tre mesi fa i presidenti delle due coree si sono incontrati, con i miei “compagni” ci facciamo numerose domande per capire alcuni aspetti dei rispettivi sistemi economici. Quando affermo che in Italia si paga per avere assistenza medica e che le medicine in molti casi non sono gratis, i miei interlocutori rimangono sbalorditi. Ancora di più quando scoprono il costo di un anno di università o che la casa dobbiamo pagarcela dal primo all’ultimo euro. Per persone nate e cresciute in una società dove il lavoro e la casa sono dati dallo Stato, comprendere le dinamiche del sistema capitalista non è semplice. Non entro nei dettagli del nostro scambio di opinioni, ma è evidente che quello che qui è considerata una conquista sociale assieme alla serenità di una vita “sicura” non coincide molto con la nostra battaglia quotidiana per un posto al sole tranquillo. Loro considerano la meritocrazia in base ai risultati scolastici e allo studio. Per fare un esempio chiaro mi viene detto che solo i migliori studenti possono proseguire gli studi fino all’Università, mentre quelli meno bravi appena finita la scuola dell’obbligo vanno a fare un cospicuo numero di anni nell’esercito, per poi essere assegnati ad un lavoro.

Arriviamo finalmente a Panmunjon, nei pressi della Zona Demilitarizzata, una striscia di quattro chilometri con al proprio centro il confine tra le due coree, anzi la linea dell’armistizio del 1953. Percorriamo, con diversi posti di controllo dove scendiamo e risaliamo dall’auto, i due chilometri sul lato nordcoreano. Avvicinandosi al confine visitiamo alcuni luoghi simbolo di questa area. Sono conservate e trasformate a museo le sale che hanno ospitato gli incontri che portarono all’armistizio del 27 luglio del 1953. Ancora oggi ci sono i protocolli ufficiali firmati e le bandiere originali delle due delegazioni. A corredare il tutto qualche decina di fotografie delle varie visite in questo luogo di Kim Il Sung e Kim Jong Il. Mancano all’appello le recenti foto dei due incontri avvenuti negli scorsi mesi tra Kim Jong Un e l’omologo sud coreano Moon Jae In. Siamo finalmente a pochi metri dal confine e la struttura che ha ospitato, lo scorso maggio, il secondo vertice tra Kim e Moon è già alle nostre spalle. Una grande pietra bianca riporta le parole scritte e firmate da Kim Il Sung il 7 luglio 1994, poche ore prima della sua scomparsa. L’ultima firma del leader coreano corrisponde a parole destinate alla riunificazione della Corea, così mi spiega la mia guida. Aggirata la grande lapide siamo finalmente a una quindicina di metri dalle baracche azzurre che dividono la Corea e due sistemi economici. Il momento del transito vicino alle baracche corrisponde alla massima allerta dei soldati nordcoreani che si dispongono in una posizione pronta ad eventuali placcaggi se qualche folle turista dovesse tentare di andare oltre confine. In una situazione simile, nel 1984, morirono alcuni soldati di entrambe le parti quando un turista sovietico ebbe la sciagurata idea di attraversare il confine. Non possiamo entrare nelle strutture attraversate dal confine. Per l’esattezza all’interno della baracca centrale c’è un tavolo, usato per i colloqui, attraversato da un cavo che alimenta i microfoni posizionato in modo da evidenziare il confine. Veniamo fatti salire sul balcone che domina lo scenario e ci viene indicato il punto preciso dove il 27 aprile avvenne la stretta di mano tra Kim e Moon. La visione di questo luogo è emozionante. Si respira storia e allo stesso tempo tragedie legate alle dinamiche della storia coreana, spesso condizionata dalla politica di potenze esterne alle dinamiche dei due paesi. Una Corea denuclerizzata, libera da potenze straniere e unita sembra essere l’interesse di entrambi i governi che hanno promesso di provare a firmare un trattato di pace entro la fine del 2018. Ho l’onore di poter fare, su sua richiesta, una foto con uno dei responsabili militari della base. Mi evidenzia il fatto che di solito gli italiani vengono ad osservare questo luogo provenendo dal lato sud del confine. Lasciato Panmunjon ci dirigiamo nella città di Keason che nel 1953 si trovò a passare dalla Corea del Sud a quella del Nord. Qui si trova, non visitabile, un’area economica congiunta dove aziende del sud producono e offrono lavoro ad operai del nord. La città fu completamente distrutta dalla guerra, tranne il sito dove sorge il Palazzo Reale dove ha vissuto la dinastia dei Goryeo, coloro che circa mille anni fa riuscirono ad unificare la penisola coreana. Oggi il luogo è un interessante museo rientrante tra i patrimoni Unesco, mentre la città, pulita e ordinata come Pyongyang, è molto famosa anche per la produzione di ginseng. Qui pranziamo e ci riposiamo prima del ritorno verso nord, per l’esattezza nella città di Sariwon per visitare una fattoria agricola modello che produce riso, grano e frutta. La responsabile della fattoria ci racconta come funziona il lavoro in estate e in inverno e spiega che ci sono 1770 persone impegnate nella lavorazione di oltre 700 ettari. Turni da otto ore per dieci squadre di operai agricoli apparentemente felici del lavoro che stanno facendo. Viene sottolineato come dopo la ristrutturazione del lavoro indicata da Kim Il Sung negli anni ‘60 il quantitativo di beni prodotti sia aumentato, diminuendo il rischio di allagamento dovuto alle alluvioni. Qui non si vedono buoi con aratri, ma molte moderne tecnologie finalizzate a migliorare il lavoro duro nei campi.

Ancora un’ora di strada senza traffico e siamo nella capitale per l’ultimo divertente impegno della giornata. Mi viene fatta una curiosa sorpresa e vengo portato a fare un giro in motoscafo nelle acque sul fiume Taedong che attraversa la capitale. La cosa è realmente divertente e vedo finalmente sorridere di vero gusto anche tutta la mia “guardia d’onore”; inoltre posso osservare la città da un altro punto di vista. L’ultima cena avviene in un locale nei pressi del fiume e ho l’impressione di trovarmi in un posto meno per turisti rispetto a quelli frequentati negli altri giorni. Non vedo europei, non vedo cinesi, attorno a noi solo coreani. C’è un tavolo per la delegazione italiana e tra noi quattro il clima è davvero molto amichevole. Per quasi un’ora mi sento assieme a tre amici e non con le tre persone che hanno lavorato per la buona riuscita del viaggio. Mi convinco che anche a loro possa dispiacere la mia partenza di domani. Mantengo questa impressione anche in auto mentre rientriamo all’Hotel Koryo, dato che ripetiamo per ben due volte l’intera canzone “O’ Sole Mio” usando il testo che ho scritto per i miei “compagni” d’avventura durante la cena. Il volo che mi riporterà a Vladivostok sarà nelle primissime ore del mattino e per questo non facciamo troppo tardi chiacchierando nella hall dell’albergo.

Giorno 42 – Il Giorno della Vittoria nordcoreana

27 luglio 2018, Artyom (km 14) – Tot. 14620

La giornata di oggi, nella cittadina periferica dove è collocato l’aeroporto di Vladivostok, comincia con l’arrivo della polizia nel condominio nel quale abbiamo affittato un appartamento che nella descrizione su Booking sembrava messo molto meglio di come si è rivelato. Le forze dell’ordine per fortuna non cercano noi: i poliziotti erano stati infatti chiamati da alcuni inquilini infastiditi da due ragazze che ben prima delle otto del mattino si erano messe ad ascoltare musica a tutto volume nel corridoio che dava sui numerosi appartamenti del piano terra. Quando ce ne andiamo le ragazze, che a quanto pare erano rimaste chiuse fuori casa, stanno cercando senza successo di rientrare passando attraverso la finestra.

Dopo pochi chilometri mettiamo a riposo la Toyota Hilux in uno dei parcheggi dell’aeroporto e l’equipaggio si separa: Guido parte per la Corea del Nord dove già questa sera parteciperà al primo evento dell’intenso programma che lo attende: la celebrazione del Giorno della Vittoria nella data della firma dell’armistizio del 27 luglio 1953 che pose termine alla Guerra di Corea, che prevede per gli ospiti di prendere parte a “danze di massa” per le strade di Pyongyang.

Insieme al capospedizione della Torino-Pechino, nell’Ilyushin della compagnia nordcoreana Air Koryo salgono moltissimi ragazzi: i componenti di un primo gruppo hanno tutti una maglietta blu con scritto “Regione dell’Amur”, mentre un altro è una nutrita delegazione di giovani del Partito Comunista della Federazione Russa con maglietta ufficiale con logo del PCFR e ritratto di Che Guevara.

Emanuele e Marina, prima di ripartire per Mosca, hanno invece l’occasione di passare altre ore ad Artyom, cittadina storicamente impegnata nel settore carbonifero: è per questo motivo che il Giorno della città coincide con il Giorno del minatore (in Russia, già dall’epoca sovietica, ogni professione ha un suo giorno festivo molto sentito) e che in centro, oltre alla statua di Lenin, vi è un bel monumento ad un macchinario utilizzato per scavare miniere e detentore di svariati record di escavazione.

L’escursione della Torino-Pechino in Corea del Nord terminerà il 30 luglio, mentre il giorno successivo la nostra Toyota Hilux a diesel-metano varcherà finalmente il confine russo-cinese per proseguire in direzione della capitale Pechino.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno Cinghiale