Ritorno a Volgograd – Giorno 4

"Cinghiali" sul lago ghiacciato di Valki.

"Cinghiali" sul lago ghiacciato di Valki.

Cominciamo la nuova settimana tuffandoci nel traffico di Kiev per raggiungere, risalendo le rive del fiume Dnipr, l’officina Global, referente dell’azienda Landi Renzo per l’Ucraina. Qui abbiamo in programma un incontro con responsabili e meccanici che esaminano il nostro impianto Dual Fuel che mescola metano e gasolio. Non ci sottraiamo mai a questi impegni perché è sempre piacevole valorizzare la collaborazione con i rappresentanti dei nostri partner. Tra l’altro questa visita ci è utile perché nell’occasione ci viene messo a disposizione un adattatore che, a differenza di quello in nostro possesso, collega direttamente l’attacco italiano del nostro impianto alle pompe di metano in uso in Ucraina e in Russia.

Dopo le foto di rito e una chiacchierata sulla rivoluzione anche con i tecnici dell’officina, è il momento di fare un nuovo rifornimento di metano. Ci rechiamo in una desolatissima stazione dove probabilmente sono arrivati di rado (o forse mai) veicoli italiani ad energie alternative. Prima che il gasista si convinca a procedere alla ricarica dobbiamo dimostrare tramite il libretto di circolazione che il veicolo è correttamente alimentato a metano e che le tre bombole sono state opportunamente collaudate. Il nostro interlocutore esamina di persona le bombole stesse e infine effettua il lento rifornimento. Tale piccolo contrattempo non si era verificato nel precedente rifornimento ad Užgorod, data probabilmente la maggior frequenza di automobili straniere in una zona molto più vicina ai confini occidentali del Paese. Speriamo che anche il nostro viaggio, portando un veicolo occidentale in rotte ben poco consuete, contribuisca a far diminuire la diffidenza dei gestori delle stazioni di rifornimento.

Lasciamo infine Kiev attraversando il Dnipr, e non possiamo non ricordare come proprio le acque di questo fiume raffreddassero i reattori della centrale nucleare di Černobyl’, ubicata a meno di centro chilometri da qui. Imbocchiamo la strada M-03, che ci porterà verso il confine russo, distante ancora, nella rotta che intendiamo seguire, circa 850 chilometri. Nonostante un po’ di neve caduta in nottata, il clima odierno non è avverso e l’unica cautela è quella di prestare attenzione al ghiaccio e al consueto stile di guida “euforico” dei camionisti locali.

L’obiettivo della giornata è avvicinarsi alla città di Char’kov, i modo che, se il tempo non farà brutti scherzi, si possa raggiungere Volgograd nel giro di due giorni. Il nostro tragitto è come sempre allietato dalle radio locali che trasmettono spessissimo brani italiani, e non manchiamo di stilare una classifica in tempo reale degli artisti più gettonati: dopo due giorni di ascolto guidano questa “hit parade” Adriano Celentano e un Pupo più sorprendente del solito, davanti a Ricchi e Poveri, Umberto Tozzi e Al Bano e Romina. Ancora indietro cavalli di razza come Riccardo Fogli e Toto Cutugno, mentre per i Matia Bazar c’è la consolazione di una serie di cartelloni pubblicitari di un loro futuro concerto a Kiev (per i fans l’appuntamento è per il 9 febbraio).

Nei pressi di Poltava incontriamo un distributore di metano lungo la strada. Stavolta convincere il custode del punto di rifornimento ad autorizzarci a fare il pieno è più facile del previsto. Dopo pochi metri riusciamo anche a rabboccare il gasolio. Esaminando i dati di quest’ultimo tratto di strada, notiamo con sorpresa di essere riusciti con un’andatura costante a raggiungere un ottimo risultato: poco meno di 350 km con circa 18 litri di gasolio, pari ad una media di 20 km con un litro. Il consumo così buono, raggiunto grazie ai circa 15 kg di metano, ci fa supporre che il metano ucraino abbia un potenziale maggiore rispetto a quello con cui ci riforniamo in Italia. In definitiva, nei 350 km esaminati abbiamo “speso” circa 25 euro!

Lo stop della tappa odierna è 50 km prima di Char’kov, a Valki, paesino con un simpatico motel vicino alla strada principale. All’Ezers spendiamo 50 euro in tre per pernottare e cenare abbondantemente. Intanto il Daily è parcheggiato lungo le sponde di un lago completamente ghiacciato dove alcuni pescatori, nel buio della notte, si dedicano alla propria attività con la tecnica del buco sul ghiaccio.

La vicina statua di Lenin in perfetta salute, sulla piazza a lui dedicata lungo il viale omonimo, testimonia che siamo passati nell’Ucraina orientale, la parte abitata dai filo-russi e che vede positivamente la politica di Janukovič. Ricordiamo per l’ennesima volta che Lenin in questi contesti non è tanto un simbolo politico, quanto un segnale della presenza russa su questo territorio.

Non a caso anche la conversazione con le simpatiche e attempate cuoche si svolge esclusivamente in russo e i commenti delle tre donne sui manifestanti di Kiev e sulla richiesta di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea sono ben poco benevoli. Continuiamo a chiacchierare mentre consumiamo pel’meni, carne, patate, birra e infine un pesante pirožok, la tipica pastella ripiena, tipico cibo russo che può essere ripieno di carne, patate, cavolo o, come in questo caso, frutta.
Sazi, ci ritiriamo a dormire presto per essere il più in forma possibile nelle ultimissime tappe che ci separano dalla destinazione.

Ritorno a Volgograd – Giorno 3 sera

Una barricata in piazza Majdan.

Dopo esserci installati nel tardo pomeriggio all’hotel Slavutyč di Kiev, decidiamo di recarci in centro a vedere con i nostri occhi cosa succede nell’area di piazza dell’Indipendenza, nota come Majdan, cuore del presidio antigovernativo. Saggiamente decidiamo di lasciare il nostro Daily nel sicuro parcheggio dell’albergo e utilizziamo i mezzi pubblici, che come in tutti i paesi dell’ex Urss sono molto funzionali e anche economici (basti pensare che con l’equivalente di un euro acquistiamo le sei corse in metropolitana per l’andata e il ritorno). Già durante il viaggio incontriamo diversi manifestanti con bandiere ucraine o delle forze politiche di opposizione. Giunti alla fermata Teatral’na assistiamo ad un evento curioso che per certi aspetti ricorda un flash-mob. Ma probabilmente non si tratta di uno degli eventi estemporanei di moda in Occidente organizzati da ragazzi tramite social network: protagonisti sono infatti tantissimi anziani, alcuni dei quali in costumi tipici, che ballano abilmente musiche tradizionali suonate da musicisti di strada.

Usciamo all’aperto e ci imbattiamo nella prima barricata che blocca la via principale impedendo a veicoli, polizia e malintenzionati il transito verso piazza Majdan. Prima di recarci in quella direzione, tuttavia, ci rechiamo dalla parte opposta a sincerarci delle condizioni della statua di Lenin di Piazza del Mercato Bessarabia, recentemente abbattuta dai manifestanti: i resti del monumento sono ormai stati rimossi e sul piedistallo vuoto campeggiano due bandiere di forze politiche di estrema destra. Lì assistiamo ad un pesante diverbio tra alcuni dimostranti e un automobilista: quest’ultimo si ferma ad inveire contro i presenti (noi compresi!), accusandoli di essere dei vandali fascisti, ottenendo per tutta risposta un lancio di bottiglie contro il proprio veicolo.

Torniamo a ritroso verso piazza Majdan e man mano che ci avviciniamo troviamo sempre più gente accampata in una diffusa e organizzata tendopoli che occupa gran parte dell’area centrale della città. Numerose altre barricate, fatte di blocchi di neve ghiacciata, pali, casse di legno, cartelli, pneumatici e oggettistica varia, sbarrano tutte le vie di accesso alla piazza, comprese scalinate e sottopassaggi della metropolitana. I varchi nelle barricate, rigorosamente pedonali, sono presidiati da energumeni in tuta mimetica e spesso con il volto coperto. In piazza Majdan è in corso la conclusione della manifestazione odierna e su un palco si alternano comizi ed esibizioni di gruppi musicali.

Da piazza Majdan è paradossalmente ben visibile un grande arco illuminato che fa parte del complesso monumentale dedicato all’amicizia tra il popolo russo e quello ucraino: si tratta di una imponente realizzazione di epoca sovietica su un belvedere che domina il centro cittadino e il fiume Dnipr. Ci rechiamo sul posto e constatiamo che proprio intorno al monumento è stata realizzata una pista di pattinaggio su ghiaccio che (come ha tenuto a dirci lo zelante guardiano) aprirà i battenti tra pochi giorni.

Tornati in piazza Majdan ceniamo in un gradevole ristorante che offre una cucina legata alla tradizione dei Tatari di Crimea. Consumiamo una indispensabile minestra bollente, il borsch, utile ad attenuare il freddo, e il tipico risotto plov. Il pasto è accompagnato dalla proiezione, nel grande schermo del ristorante, di un documentario sulla Crimea che propone ininterrottamente le riprese da una camera-car della strada litoranea Sebastopoli – Jalta – Simferopoli. Si tratta di una strada che avevamo percorso lo scorso anno, nota per ospitare il più lungo marciapiede del mondo, che la accompagna per circa 150 chilometri, e una linea di filobus di ben 85 chilometri.

Prima di rientrare in albergo non possiamo fare a meno di entrare nel quartier generale dei manifestanti, installati all’interno del palazzo del municipio, occupato come altri palazzi pubblici. All’ingresso dobbiamo presentare i documenti e sottoporci a perquisizione, dopodiché possiamo accedere nei locali utilizzati anche come cucina, infermeria e dormitorio, oltre che come base operativa.
Anche qui notiamo come una componente ben visibile, forse la meglio organizzata, della manifestazione sia quella delle fazioni di estrema destra. Apparentemente è contraddittorio vedere i nazionalisti ucraini battersi per l’ingresso nell’Unione Europea, quando le forze di estrema destra all’interno dei Paesi Ue sono ostili alle politiche comunitarie. Come ci hanno spiegato alcuni interlocutori, la posizione di partiti come Svoboda o Udar è tuttavia più comprensibile nel momento in cui si interpreti la richiesta di adesione all’Unione Europea non tanto in sé, quanto come pretesto per svincolare l’Ucraina dalla storica influenza della Russia.

Va detto che la protesta non riguarda soltanto l’estrema destra, ma coinvolge anche forze politiche convintamente europeiste come il partito di ispirazione liberale legato all’ex premier Julia Tymošenko e una parte non trascurabile della società civile. Secondo alcune delle persone con cui abbiamo parlato all’interno del municipio, a supportare la protesta sarebbe l’80% circa della popolazione. Ciò non si è tuttavia tradotto in analoghe percentuali nelle elezioni suppletive per il Parlamento che si sono tenute proprio oggi in cinque distretti ucraini, e che hanno rispecchiato una divisione più o meno a metà tra le forze governative e quelle di opposizione.

Rientrati in albergo con una comoda combinazione di metropolitana e maršrutka (il tradizionale pulmino privato che copre capillarmente le vie delle cittadine ex sovietiche) riposiamo alcune ore in vista del prosieguo del viaggio.

Ritorno a Volgograd – Giorno 3

Sulla strada per Kiev con l'orso Misha.

Sulla strada per Kiev con l'orso Misha.L’hotel Europa di Brody è confortevole e pulito, ed è ubicato proprio nel centro della cittadina. Con i suoi 23.000 abitanti, oggi Brody è una sonnolenta comunità dell’Ucraina occidentale. Fino al 1941 era la città dell’ex Unione Sovietica con la più alta percentuale di popolazione ebraica. Con l’invasione nazista durante la Seconda guerra mondiale, gli Ebrei furono tutti deportati e quasi nessuno fece ritorno a casa. La toponomastica della città ci ricorda tuttora quest’importante presenza, mentre l’architettura ha subito la normale ricostruzione del dopoguerra alternando qualche edificio di valore storico con strutture funzionali ma bruttine.
Conoscevamo già la città di Brody grazie all’amicizia che ci lega a due ragazzi provenienti da questo luogo e che oggi abitano a Sansepolcro, i fratelli Vitalij e Viktoria Ivančuk, a conferma dell’importanza dell’amicizia con gli stranieri che vivono a Sansepolcro come occasione di scambio e di approfondimento culturale.

Il sabato sera a Brody non è il massimo della vitalità: diamo un’occhiata a due o tre locali presenti in centro ed optiamo per il ristorante Orion, collocato nella piazza centrale, vicino alla statua del poeta Taras Ševčenko. Dentro una grande sala arredata con quello stile un po’ trash che rimanda direttamente alla tradizione sovietica pasteggiamo insieme a una tavolata che festeggia un compleanno rallegrato da musica dal vivo. Veniamo ben presto coinvolti nei brindisi degli altri avventori che ci convincono persino a ballare le hit della tradizione locale, come la celeberrima “Kakaja ženščina!” (Che donna!). Intanto il brillante sessantenne Anatolij ci tesse le lodi delle poche ragazze presenti e si avventura in una digressione sul cinema citando il famoso (almeno nell’ex Urss) film italo-sovietico del 1973 “Una matta, matta, matta corsa in Russia”. Siccome il titolo originale è “Incredibili avventure di italiani in Russia”, Anatolij ride molto cambiandolo in “Incredibili avventure di italiani a Brody”. La nostra serata a Brody non si rivela così avventurosa, ma comunque ci divertiamo a calarci in una realtà decisamente insolita. Dopodiché, dopo 42 ore senza dormire, crolliamo in un indispensabile sonno ristoratore.

Più in forma che mai nelle prime ore del mattino, con temperature poco al di sotto dello zero, lasciamo Brody e ci incamminiamo lungo la strada M06 in direzione di Kiev. Nonostante qualche fiocco di neve che ci accompagna per tutto il percorso, i “cantonieri” ucraini hanno il merito di tenere questo tratto di asfalto in perfette condizioni. Scegliamo di consumare un caldo pasto nei pressi di Žitomir, dove facciamo amicizia con tre cani randagi a cui doniamo con piacere alcuni avanzi.

Recarsi a Kiev proprio oggi per certi aspetti può non essere la scelta più saggia: è infatti in programma una imponente manifestazione dell’opposizione al Governo, al culmine di una situazione di grande tensione politica che sta pesantemente agitando le città dell’Ucraina occidentale  da diverse settimane. Tuttavia domani mattina è previsto un incontro con i responsabili della sede locale dell’azienda Landi Renzo che ha realizzato il nostro impianto di alimentazione Dual Fuel e decidiamo di fare comunque tappa nella capitale. D’altra parte, al di là di qualche piccolo rischio, recarsi a capire di persona quello che sta accadendo a Kiev è per noi motivo di grande interesse, visto che le tematiche geopolitiche ci appassionano da sempre e sono uno dei motori dei nostri viaggi.

Prima di arrivare a destinazione, a circa 80 km dalla capitale, ci fermiamo a salutare un vecchio amico: si tratta dell’orso Misha, mascotte delle Olimpiadi di Mosca 1980, che figura in diverse grandi statue situate sulle arterie principali che conducono a Kiev. In particolare, questa statua è la stessa che benedisse il transito della Marea della Torino-Pechino nell’estate del 2008.

Giunti nella capitale prendiamo alloggio, anche per precauzione, in un hotel situato al di là del fiume Dnipr rispetto allo scenario centrale della manifestazione politica. Lasciamo il Daily ben protetto nel parcheggio dell’albergo e decidiamo di recarci con i mezzi pubblici verso piazza Majdan e i luoghi occupati dai manifestanti.

Approfondimento: la crisi ucraina

Riguardo alla crisi ucraina, va detto che forse la verità è più complessa di ciò che ci raccontano. I nostri media ci deliziano quotidianamente su quello che sta accadendo a Kiev, e spesso corrispondenze improvvisate dipingono le giornate di protesta con estrema semplicità e con grande leggerezza. C’è spazio per una sola chiave di lettura, quella di un popolo oppresso che si ribella ad una autorità lontana dai cittadini e fortemente repressiva. Le cose, probabilmente, sono invece un po’ diverse, e un cronista obiettivo dovrebbe almeno ricostruire la storia degli ultimi anni cercando di spiegare perché in Ucraina esista un’opinione pubblica spaccata in due.

L’Ucraina diviene indipendente nel 1991, contestualmente allo scioglimento dell’Unione Sovietica, ed è guidata per i primi anni da esponenti del vecchio Partito Comunista che all’improvviso diventano indipendenti, patriottici o nazionalisti. Nei primi anni i presidenti Leonid Kravčuk (1991-‘94) e Leonid Kučma (1995-2005) riescono a mantenere una politica di buon vicinato con la Russia, concedono l’uso della base navale di Sebastopoli in Crimea alla marina russa e conciliano le esigenze dei due popoli che vivono nel paese: gli ucraini che parlano ucraino, stanziati  prevalentemente nella parte nord-occidentale del Paese, e gli ucraini che parlano russo, concentrati soprattutto nell’area sud-orientale.
È della fine del 2004 la prima crisi che porta centinaia di migliaia di persone ad affollare le piazze della capitale Kiev, la cosiddetta Rivoluzione Arancione. Il tutto nasce dal risultato delle elezioni presidenziali che vedono il pupillo del presidente uscente Kučma, Viktor Janukovyč, sostenuto dalla Russia, prendere al primo turno gli stessi voti dell’avversario Viktor Juščenko, presidente della Banca Nazionale, finanziato dagli Stati Uniti. Russi e statunitensi sostengono alla luce del sole i rispettivi candidati. Al ballottaggio tra i due Viktor la spunta il filorusso Janukovič, ma immediatamente a Kiev scoppia il finimondo. Imponenti manifestazioni guidate da Jushenko e dall’alleata Yulia Tymošenko, la ricchissima magnate del gas, denunciano brogli elettorali avvenuti nell’est del Paese, Usa e Unione Europea non riconoscono le elezioni e la tensione in Ucraina sfiora la guerra civile. La Corte Suprema ucraina decide di ripetere le elezioni e stavolta vince il filo-occidentale Juščenko che nomina primo ministro Yulia Tymošenko. La Russia risponde alzando il prezzo del gas, da cui l’Ucraina dipende, e chiudendo le forniture, mettendo in difficoltà il nuovo governo incapace di trovare una soluzione.
Nei cinque anni di mandato presidenziale, Juščenko non riesce ad imporre la svolta europeista che i suoi sostenitori volevano, ed è addirittura costretto a silurare la Tymošenko e sostituirla con il rivale Janukovič, per poi permettere un secondo mandato all’alleata, che per un periodo governa addirittura con i voti di Janukovič e senza quelli di Juščenko. Il caos è assoluto e i governi sono via via sostenuti da maggioranze diversissime. Nei due anni che la coppia Juščenko-Tymošenko tiene il timone della nazione sono stipulati alcuni atti importanti, come la richiesta di adesione all’Unione Europea e alla Nato e un discutibile accordo di rinnovo dei prezzi del gas russo che la primo ministro stipula senza un mandato del governo ucraino. Proprio per quest’ultima operazione la Timoshenko è oggi sotto processo e agli arresti in ospedale.
Le successive elezioni presidenziali, nel 2010, vedono i tre protagonisti della politica ucraina sfidarsi tra di loro: al ballottaggio il filorusso Janucovič batte la Timoshenko, e stavolta la comunità internazionale riconosce i risultati. Nel 2012 si tengono le elezioni politiche, nelle quali il Partito delle Regioni di Janukovič vince con il 30% superando il blocco di Yulia Tymošenko, nel frattempo agli arresti per lo scandalo del gas, che si ferma al 25%. Entrano in parlamento pure i Comunisti (13%), alleati di Janukovič, il partito del pugile Vitaliy Klyčko (14%) e l’estrema destra nazionalista Svoboda (10%). La coalizione governativa ha 254 voti su 450 deputati totali. La composizione geografica del voto è come prevedibile geopolarizzata: il Partito delle Regioni e i Comunisti sono radicati nel sud-est del Paese e l’opposizione nel nord-ovest. È significativo il risultato dell’estrema destra, fortemente nazionalista e xenofoba, che polarizza tutti i suoi voti nelle aree al confine con Polonia, Ungheria e Romania.
Nasce così il governo Azarov, che guarda verso la Russia e poco verso l’Unione Europea. Il primo ministro apre trattative con il potente vicino e con la nuova unione doganale alla quale hanno aderito Russia, Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan e alle cui porte si appresta a bussare anche l’Armenia. Per Europa e Usa questo è un colpo pesante, perché quella che si è data il nome di Comunità Economica Euroasiatica appare come una realtà sovrastatale pericolosamente alternativa all’Unione Europea. Questo passaggio compromette i piani di Usa ed UE, che negli ultimi anni erano riusciti a destabilizzare l’area attorno al Mar Nero, sostenendo le coalizioni antirusse presenti in Georgia e Moldavia.

Ad oggi Europa, Usa e Russia si divertono a soffiare sul fuoco. Un eventuale incremento dello scontro potrà portare solo al collasso della nazione, con un possibile smembramento in due aree, una pronta ad avvicinarsi all’Europa e l’altra fagocitata dalla Russia. Il litorale del Mar Nero, compresi Odessa e la Crimea, ed i bacini carboniferi di Doneck, Dnipropetrovsk e Charkov andranno verso la Russia, mentre la capitale Kiev e le regioni come la Galizia, la Volinia, la Podolia e la Rutenia saranno facilmente europeiste. D’altra parte anche il recente abbattimento della statua di Lenin a Kiev non è stata un’azione anticomunista con 22 anni di ritardo, ma la distruzione di un simbolo di vicinanza alla Russia. Non è un caso che nell’est dell’Ucraina si trovino statue di Lenin o della zarina Caterina, mentre ad ovest di solito il posto del padre della rivoluzione russa viene preso dal poeta Taras Ševčenko, colui che per primo usò la lingua ucraina nella letteratura.
Questa è la vera partita che si gioca in questo pezzo di Europa, uno spazio largo oltre mille chilometri da est ad ovest e oltre 500 da nord a sud, abitato da circa 55 milioni di persone. Un tempo era il granaio dell’Urss ed esportava grano nel resto della nazione, mentre oggi, grazie a scellerate politiche economiche, non produce neppure per il proprio fabbisogno ed è costretta ad importare il frumento! Le privatizzazioni degli anni ’90 hanno portato a concessioni agricole lunghe decenni a prezzi ridicoli, permettendo a molti italiani e francesi di produrre in Ucraina per rivendere in Europa. Alla faccia del chilometro zero.

Dopo questo approfondimento, è giunto il momento di recarsi a vedere con i nostri occhi costa sta succedendo a Kiev in queste ore…