15 agosto 2018, Altaj-Olgij (657 km) – Tot. 20.722
Dormita leggermente più lunga del solito approfittando del fatto che pochi chilometri dopo la partenza guadagneremo un’ora di fuso orario scendendo a +5 dall’Italia. La nostra sporchissima Hilux lascia l’albergo alle 7.30 della nuova ora con la consapevolezza di avere davanti a noi 440 chilometri di asfalto e poco più di 200 di piste. Solo una pausa caffè e qualche sosta per le foto ai bellissimi panorami intervallano la lunga tirata per guadagnare più tempo possibile nella parte buona. Da segnalare, purtroppo anche qui in Mongolia, il crollo di un ponte su un piccolo torrente. Il fatto deve essere accaduto da poco visto che gli operai dell’Anas locale stanno allestendo la segnaletica finalizzata a deviare il traffico su una vecchia pista. Allo stesso tempo troviamo due allagamenti della sede stradale a causa delle piogge degli ultimi giorni. Non è un problema per l’Hilux attraversare questi piccoli laghi appoggiando le ruote saldamente nell’asfalto. L’ottima strada permette un’andatura attorno ai cento orari. Da segnalare che buona parte del percorso odierno si sviluppa tra i duemila e i duemilaseicento metri di altezza. A causa delle quote elevate gli yak sostituiscono le mucche nei pascoli attorno alla strada. In alcuni tratti attorno a noi ci sono montagne che superano i 4.000 metri e che sono ricoperte di neve.
Attorno all’ora di pranzo siamo nella apparentemente piacevole città di Hovd da dove parte la pista per Olgij, obiettivo di giornata. Vedere il punto dove una moderna strada asfaltata si divide in una miriade di stradine sterrate è sempre emozionante. Rinunciamo alla sosta pranzo per avvantaggiarci nei circa duecento chilometri da percorrere e magari sostare più avanti per interrompere le fatiche delle pista. C’è un moderato ottimismo nel pensare di arrivare a destinazione in un orario comodo per poter riposare. Sbagliamo.
La pista è migliore di quella di ieri, meglio segnata nella parte iniziale e con fondo prevalentemente sabbioso che permette un’andatura di circa 60 km/h. Attorno al trentacinquesimo chilometro, in una zona non abitata e decisamente in altura, avvertiamo un forte sibilo arrivare dall’esterno. Purtroppo non è vento e neppure una radio troppo alta di un’altra auto di passaggio. La gomma posteriore sinistra si sta sgonfiando. Appena il tempo di percorrere altri trecento metri per cercare un fondo stradale non sabbioso e la ruota è completamente a terra. Non ci disperiamo dato l’orario non proibitivo. Semmai il problema è se e come proseguire senza la ruota di scorta una volta che avremo sostituito quella bucata. Recuperiamo tutta l’attrezzatura necessaria per lavorare, ma da subito emergono problemi sia nel posizionare il crick e sia nello svitare i bulloni della ruota. Chi ha viaggiato in Mongolia in auto conosce bene il fatto che da qualche parte c’è sempre qualcuno che salterà fuori per darti una mano, anche dove non c’è nessuno a perdita d’occhio. La tradizione è rispettata quando si ferma una motocicletta con a bordo due individui che saranno molto utili per il prosieguo dei lavori. Prendono in mano la situazione e recuperata una grossa pietra su cui appoggiare il crick organizzano anche il sistema per svitare i bulloni. I due mongoli tengono la chiave a croce e Guido, il più pesante, deve usare i propri novanta chili come leva. L’operazione riesce alla perfezione e nel giro di mezz’ora la gomma è cambiata. La ricompensa, assolutamente non richiesta, è meritata. La fatica per cambiare una gomma ad alta quota è grande e per riprendere una normale respirazione serviranno alcuni minuti.
Decidiamo di non tornare a Hovd per riparare la ruota ma proseguire con maggiore cautela, usando l’intero tempo a disposizione, fino al paese successivo, Tolbo, ubicato dopo circa novanta chilometri di distanza. Se tornassimo indietro diventerebbe impossibile raggiungere Olgij entro sera. La velocità rimane stabilmente sotto i 30 orari con la consapevolezza che una ulteriore foratura potrebbe creare problemi quasi insormontabili. I chilometri non sono molti, ma la complessità della strada è massima. Si sale fino a 2.600 metri sul livello del mare attraversando zone molto belle dove è possibile anche incontrare la locale fauna selvatica. Le poche volte che siamo rimasti soli ci è capitato di sbagliare strada, cosa che non aiuta nella gestione del tempo. Proprio a causa di ciò e in modo del tutto abusivo percorriamo alcuni piccoli tratti di una strada in costruzione ignorando i divieti che impedirebbero di farlo. Questa trasgressione si rende necessaria per recuperare prezioso tempo e per tranquillizzarci per qualche chilometro sulla salute delle nostre restanti gomme.
Scambiando informazioni con un equipaggio norvegese del Mongol Rally veniamo a sapere che venti chilometri dopo Tolbo ricomincia la parte asfaltata di percorso. A questo punto decidiamo di non fermarci a riparare la ruota e proseguiamo fino alla meta dove arriviamo attorno alle 20. Olgij è piena di moschee e donne velate, cosa che notiamo mentre cerchiamo l’albergo. Approfondendo la cosa capiamo che la maggioranza della popolazione di questa regione è di origine kazaka. Il Kazakhstan non confina con la Mongolia a causa di circa cinquanta chilometri di confine russo-cinese, ma nel corso dei secoli molti kazaki si stabilirono qui e nella regione degli Altaj. La forte religiosità presente è probabilmente un segno distintivo tra le due popolazioni di questa città.
Il ristorante dove proviamo a cenare – ricordiamo che il pranzo è stato del tutto saltato – non prevede la presenza di alcolici e anche per questo prendiamo la strada di un altro locale dove la radio trasmette musiche della vicina Russia, paese nel quale dovremmo riuscire a dormire domani, sempre che la temibile dogana di Tashanta non ci faccia cattive sorprese.
Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– A partire dal 2004, è possibile incontrare lungo le strade che portano ad Ulan Bator i partecipanti del Mongol Rally. L’evento è benefico e non competitivo, e in precedenza prevedeva di arrivare nella capitale mongola e regalare la propria auto che attraverso un’asta si sarebbe trasformata in denaro da devolvere in beneficenza a realtà che operano in Mongolia. Adesso l’evento finisce ad Ulan Ude, in Russia, e non più ad Ulan Bator come in passato. La maggior parte dei partecipanti onora comunque la Mongolia attraversandola da parte a parte.
Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale