Sveglia mattutina a temperature più basse del solito. Affacciarsi alla finestra e vedere l’adiacente lago gelato, ora illuminato dalla luce mattutina, ci fa sentire molto lontani da casa. La signora che gestisce il motel è molto orgogliosa del panorama invernale di cui si può godere e conveniamo con lei sul fatto che sia decisamente “krasìvo” (bello). Lo specchio d’acqua è popolato da diverse persone: oltre a quelle impegnate a pescare c’è perfino un ragazzo che, armato di mazza, disco e ginocchiere, si allena da solo a giocare ad hockey. Anche noi ci avventuriamo in una veloce passeggiatina sulla superficie ghiacciata, per poi salutare tutti e riprendere il viaggio.
La strada è ancora in buone condizioni fino alla periferia di Char’kov. Ormai da tempo, e sempre più man mano che ci addentriamo nell’Ucraina orientale, quasi tutte le scritte che incontriamo, a parte i cartelli stradali ufficiali, sono in russo e non più in ucraino, a conferma del fatto che in questa parte del Paese la popolazione russofona è netta maggioranza.
Char’kov, con il suo milione e mezzo di abitanti, è la seconda città più grande dell’Ucraina. A differenza delle vicine Dnipropetrovs’k e Donets’k, che sono il cuore minerario della nazione, è il cervello industriale. Non a caso alla fine degli anni quaranta del Ventesimo secolo proprio qui si è sviluppata l’industria nucleare sovietica. Char’kov è inoltre il luogo in cui i resti delle divisioni italiane sbaragliate in Urss nell’inverno 1942-1943 si radunarono dopo la battaglia di Nikolaevka per ritornare verso casa. I pochi che riuscirono ad arrivare in città in quel contesto avevano percorso 250 chilometri a piedi, vedendo morire nel tragitto la gran parte dei propri commilitoni, abbattuti da freddo, fame, malattie, partigiani e soldati sovietici.
Attraversiamo Char’kov percorrendo una complicata tangenziale ricca di svolte ma povera di cartelli. Qui facciamo un nuovo rifornimento di metano in un obsoleto distributore. Il nostro Iveco Daily è ben accompagnato dallo storico camion ZiL-130 e da un altro antiquato ma affascinante mezzo pesante.
Cento chilometri più a sud sostiamo per il pranzo in un altro luogo di concentrazione di truppe italiane, stavolta nel viaggio di andata verso il fronte orientale nell’estate del 1942. Si tratta della cittadina di Izium, scalo ferroviario dal quale degli increduli alpini furono inviati a combattere non, come credevano, fra le montagne del Caucaso, ma sulle pianure lungo il fiume Don a nord di Stalingrado. L’episodio è descritto in molti libri, tra cui l’interessante e dettagliato “La ritirata di Russia” di Egisto Corradi, edito da Longanesi nel 1965. Anche in questo caso i soldati, dopo giorni e giorni di treno, dovettero spostarsi a piedi da Izium al fronte, distante circa 200 chilometri.
In questo tratto di strada non c’è traccia dei lavori di miglioramento che in Ucraina hanno interessato molte tratte in occasione dei Campionati europei di calcio dello scorso anno. Di conseguenza viaggiamo su una striscia d’asfalto considerevolmente dissestata che più si conforma alla canonica definizione di “strada russa”; ciò ci impone velocità basse e un’enorme attenzione alle tante buche in mezzo alla carreggiata e al ghiaccio che si stende ai lati.
Provati dagli scossoni raggiungiamo la destinazione odierna, la città di Lugans’k, a soli 50 chilometri dal confine di Krasnodon tramite cui abbiamo in programma di entrare nella Federazione russa. Prima di sistemarci nel comodo hotel che porta il nome della città, un’imponente struttura sovietica che era stata tappa anche del viaggio estivo a Volgograd nel 2012, facciamo un altro rifornimento di metano. In questo caso il sistema è davvero interessante, perché si tratta di quello pionieristico scomparso dai distributori italiani ormai da diversi anni: la pompa non calcola automaticamente il gas erogato, bensì la pressione che, combinata con la capacità delle bombole, permette di determinarne lo spazio vuoto, e da quello i soldi da pagare.
Dopo una doccia ristoratrice, ci incamminiamo lungo Ulica Sovetskaja (Via Sovietica) che, con temperature ben al di sotto dello zero, presenta marciapiedi completamente ghiacciati. Ammiriamo operai spalare a mano cumuli di neve che vengono poi trasferiti tramite ruspa dentro molti camion con destinazione ignota. Ci chiediamo in senso ironico se tutta questa neve verrà portata nella città di Soči, dove si svolgeranno dal prossimo febbraio i Giochi olimpici invernali.
Ci fermiamo in uno dei tanti locali in cui nella tappa dell’anno scorso non eravamo riusciti a trovare posto, a causa dei tanti ucraini che affollavano i ristoranti per guardare la sfortunata partita della loro nazionale ai Campionati europei di calcio contro l’Inghilterra. Come sempre cerchiamo piatti tradizionali, e questa sera ci dedichiamo in particolare agli šašliki, buonissima carne di maiale arrosto, accompagnati da birra Černigovskoe.
Rientrati in albergo seguiamo al telegiornale gli sviluppi dell’importante incontro odierno tra il Presidente ucraino Janukovič e quello russo Putin a Mosca. A quanto pare la Russia comprerà 15 miliardi di dollari di bond ucraini e abbasserà di un terzo il prezzo del gas venduto al Paese vicino. Janukovič ha così ottenuto dalla Russia agevolazioni e liquidi di un valore pressoché pari ai 40 miliardi richiesti ma non ottenuti bussando alla porta dell’Unione Europea. Tutto questo piacerà alla parte orientale e filo-russa del Paese mentre alzerà probabilmente la tensione nella parte occidentale.