Ritorno a Volgograd – Giorno 6

L’ultimo risveglio in Ucraina è di quelli difficili. Siccome perderemo due ore di fuso orario passando la frontiera, decidiamo di anticipare la partenza per non subire passivamente la perdita di due importanti ore di viaggio. È curioso passare da un’ora di anticipo rispetto all’Italia alle tre ore che avremo stasera. Fino a poco tempo fa le ore erano due, ma una delle recenti riforme di Putin ha previsto la soppressione dell’ora solare e l’accorpamento dei fusi orari che da 11 scendono a 6. Questo comporta che da una zona all’altra della Russia l’orario cambia di due ore alla volta. Per alcuni aspetti è una riforma interessante visto che semplifica la vita di coloro che vivono in vaste aree della Russia, ma come controindicazione ha il fatto che in ogni confine di fuso orario il salto orario è significativo.

Usciamo dalla laboriosa e trafficata Lugansk senza incontrare grossi problemi. Ovviamo alla carenza di cartellonistica orientandoci verso un’accecante alba che ci guida verso est. Invece a Krasnodon la cartellonistica c’è, ma delle due è ingannevole: per farci evitare il centro cittadino ci spinge verso stradine periferiche completamente gelate, dove sperimentiamo la prima leggera scivolata su ghiaccio del nostro lungo Daily. La gita attorno al paese prosegue con un paradossale tour attorno ai “terrakony” delle miniere di Krasnodon. Sono le uniche asperità che rendono meno noiosi i piatti panorami locali. Come ci è capitato più volte in passato osservare, il terrakon è davvero interessante: si tratta di montagne, solitamente a forma di cono vulcanico, composte della terra estratta dalle miniere che a seconda di stagione, riflessi del sole e vegetazione, riescono ad assumere colorazioni cangianti.

Recuperiamo la strada principale calcolando in almeno mezz’ora il tempo perso. Gli ultimi chilometri di Ucraina sono senza dubbio i peggiori, con strada gelata e ricca di buche. Arriva finalmente il momento della dogana che più temiamo, quella di Izvarine-Donec’k, che ben conosciamo per esserci passati altre volte. Le operazioni sul lato ucraino si ultimano in appena venti minuti. Passiamo alla Russia, dove solitamente la burocrazia regna sovrana, e anche quando tutto fila liscio le attese non sono brevi. Dopo la compilazione delle carte di immigrazione e l’ammissione in dogana si passa al controllo passaporto, dove la bionda e carinissima funzionaria, della quale segnaliamo un convincente smalto blu, alterna sorrisi a perplessità sulle differenze tra il visto di Emanuele (scopi umanitari) e quello di Guido e Giacomo (turistico). Nel frattempo il conducente designato, in questo caso Guido, affronta le problematiche relative al furgone cominciando dall’ispezione del carico. Vestiti, cibi, vini, il tutto viene da noi spacciato per regali di Natale e Capodanno onde evitare domande sui motivi umanitari del viaggio e sulla destinazione finale degli aiuti. Dubbi nascono anche dal fatto che il veicolo dell’azienda Piccini viene portato in Russia da soggetti che apparentemente fanno turismo. Per fortuna i dubbi non si trasformano in ennesime problematiche. L’ultima perla viene da un baffuto doganiere che ci chiede degli euro in moneta per la sua collezione numismatica. In un primo momento pensiamo al ritorno di moda della corruzione, invece il nostro amico seleziona con cura le monetine che gli mancano lasciandoci tutte le altre.

Eccoci finalmente in Russia dopo altre due ore (senza contare le due di fuso orario), ma ancora senza aver completato le formalità, ovvero la copertura assicurativa. L’ufficio al di fuori della frontiera è gestito da tre ragazze all’interno di un prefabbricato nel quale veniamo ospitati. Sediamo in un letto e assistiamo alla compilazione dei moduli che ci riguardano. Cinquanta euro completano il percorso. Le tre assicuratrici riescono a rifilare al conducente designato anche un’ulteriore assicurazione medica probabilmente inutile.

Conquistati dei rubli nella banca più vicina ed effettuata una lunga sosta ad un passaggio a livello dove transita un treno merci con ben quattro locomotori, siamo lungo la M-21, la lunga strada che ci condurrà a Volgograd. Prima di affrontare gli ultimi 300 chilometri ci concediamo un pranzetto a base di plov e pel’meni.

La M-21 è molto buona e di facile percorrenza nei mesi caldi, ma d’inverno è un nastro d’asfalto nel bel mezzo della steppa dove è facile che il vento porti la neve al centro della strada. Alterniamo momenti di veloce percorrenza ad altri dove la cautela deve essere massima soprattutto perché, volendo arrivare al traguardo finale, viaggiamo almeno due ore con il buio e quindi con il ghiaccio.
Emozionante, nonostante l’oscurità, è il consueto passaggio da Kalač-na-Donu con il ponte sul fiume Don e tutti i ricordi che si porta dietro soprattutto per noi italiani.

A meno di cento chilometri da Volgograd ci prendiamo un grande spavento quando ci troviamo al centro della strada un insolito cumulo di neve. In realtà si tratta della linea di separazione tra due corsie, una di marcia ed una di svolta, ma dove gli spazzaneve hanno lasciato i residui del loro lavoro. Ecco quindi che, impossibilitati a cambiare direzione a causa di altre auto, finiamo dritti nel cumulo bianco. L’unico correttivo che riusciamo ad applicare è rallentare la corsa del Daily poi definitivamente fermato, in modo soffice, dalla neve. Apparentemente le ruote non fanno presa nel manto nevoso e fatichiamo non poco ad uscirne combinando molte retromarce a piccoli avanzamenti. Riprendiamo il cammino e forti dell’insolita esperienza raddoppiamo la prudenza.

Alle 21,15 minuti dell’ora di Mosca (le 18,15 in Italia) siamo all’ingresso di Volgograd. Nonostante l’oscurità ci concediamo lo sfizio della foto con la storica insegna che porta i tre nomi di questo luogo: Caricin (Tsaritsin), Stalingrado e infine Volgograd, come la città si chiama dal 1961. Torneremo nei prossimi giorni a glorificare il nostro veicolo con delle foto diurne.

Se le strade cittadine principali sono state ripulite dalle grandi nevicate dei giorni scorsi, lo stesso non si può dire per le stradine del quartiere tzigano dove è ubicata la sede della Comunità Giovanni XXIII. Galleggiando tra la neve, e faticando per l’ultima volta in questo lungo giorno, raggiungiamo la destinazione, e troviamo ad aspettarci Marco, Ruslan, Jura, il tedesco Jonas e il fido cane Dik. Finalmente svuotiamo il Daily e saturiamo dispensa e magazzino del luogo dove saremo ospitati. Nei prossimi giorni, quelli più prossimi al Natale, i materiali saranno distribuiti ai senzatetto che la comunità segue.

La giornata conclusiva dell’ultimo giorno del viaggio di andata si chiude con un cenone a base di pel’meni e vino italiano, accompagnato dai racconti di Marco che ci aggiorna sulle novità che caratterizzano la vita della città.

Ritorno a Volgograd – Giorno 3

Sulla strada per Kiev con l'orso Misha.

Sulla strada per Kiev con l'orso Misha.L’hotel Europa di Brody è confortevole e pulito, ed è ubicato proprio nel centro della cittadina. Con i suoi 23.000 abitanti, oggi Brody è una sonnolenta comunità dell’Ucraina occidentale. Fino al 1941 era la città dell’ex Unione Sovietica con la più alta percentuale di popolazione ebraica. Con l’invasione nazista durante la Seconda guerra mondiale, gli Ebrei furono tutti deportati e quasi nessuno fece ritorno a casa. La toponomastica della città ci ricorda tuttora quest’importante presenza, mentre l’architettura ha subito la normale ricostruzione del dopoguerra alternando qualche edificio di valore storico con strutture funzionali ma bruttine.
Conoscevamo già la città di Brody grazie all’amicizia che ci lega a due ragazzi provenienti da questo luogo e che oggi abitano a Sansepolcro, i fratelli Vitalij e Viktoria Ivančuk, a conferma dell’importanza dell’amicizia con gli stranieri che vivono a Sansepolcro come occasione di scambio e di approfondimento culturale.

Il sabato sera a Brody non è il massimo della vitalità: diamo un’occhiata a due o tre locali presenti in centro ed optiamo per il ristorante Orion, collocato nella piazza centrale, vicino alla statua del poeta Taras Ševčenko. Dentro una grande sala arredata con quello stile un po’ trash che rimanda direttamente alla tradizione sovietica pasteggiamo insieme a una tavolata che festeggia un compleanno rallegrato da musica dal vivo. Veniamo ben presto coinvolti nei brindisi degli altri avventori che ci convincono persino a ballare le hit della tradizione locale, come la celeberrima “Kakaja ženščina!” (Che donna!). Intanto il brillante sessantenne Anatolij ci tesse le lodi delle poche ragazze presenti e si avventura in una digressione sul cinema citando il famoso (almeno nell’ex Urss) film italo-sovietico del 1973 “Una matta, matta, matta corsa in Russia”. Siccome il titolo originale è “Incredibili avventure di italiani in Russia”, Anatolij ride molto cambiandolo in “Incredibili avventure di italiani a Brody”. La nostra serata a Brody non si rivela così avventurosa, ma comunque ci divertiamo a calarci in una realtà decisamente insolita. Dopodiché, dopo 42 ore senza dormire, crolliamo in un indispensabile sonno ristoratore.

Più in forma che mai nelle prime ore del mattino, con temperature poco al di sotto dello zero, lasciamo Brody e ci incamminiamo lungo la strada M06 in direzione di Kiev. Nonostante qualche fiocco di neve che ci accompagna per tutto il percorso, i “cantonieri” ucraini hanno il merito di tenere questo tratto di asfalto in perfette condizioni. Scegliamo di consumare un caldo pasto nei pressi di Žitomir, dove facciamo amicizia con tre cani randagi a cui doniamo con piacere alcuni avanzi.

Recarsi a Kiev proprio oggi per certi aspetti può non essere la scelta più saggia: è infatti in programma una imponente manifestazione dell’opposizione al Governo, al culmine di una situazione di grande tensione politica che sta pesantemente agitando le città dell’Ucraina occidentale  da diverse settimane. Tuttavia domani mattina è previsto un incontro con i responsabili della sede locale dell’azienda Landi Renzo che ha realizzato il nostro impianto di alimentazione Dual Fuel e decidiamo di fare comunque tappa nella capitale. D’altra parte, al di là di qualche piccolo rischio, recarsi a capire di persona quello che sta accadendo a Kiev è per noi motivo di grande interesse, visto che le tematiche geopolitiche ci appassionano da sempre e sono uno dei motori dei nostri viaggi.

Prima di arrivare a destinazione, a circa 80 km dalla capitale, ci fermiamo a salutare un vecchio amico: si tratta dell’orso Misha, mascotte delle Olimpiadi di Mosca 1980, che figura in diverse grandi statue situate sulle arterie principali che conducono a Kiev. In particolare, questa statua è la stessa che benedisse il transito della Marea della Torino-Pechino nell’estate del 2008.

Giunti nella capitale prendiamo alloggio, anche per precauzione, in un hotel situato al di là del fiume Dnipr rispetto allo scenario centrale della manifestazione politica. Lasciamo il Daily ben protetto nel parcheggio dell’albergo e decidiamo di recarci con i mezzi pubblici verso piazza Majdan e i luoghi occupati dai manifestanti.

Approfondimento: la crisi ucraina

Riguardo alla crisi ucraina, va detto che forse la verità è più complessa di ciò che ci raccontano. I nostri media ci deliziano quotidianamente su quello che sta accadendo a Kiev, e spesso corrispondenze improvvisate dipingono le giornate di protesta con estrema semplicità e con grande leggerezza. C’è spazio per una sola chiave di lettura, quella di un popolo oppresso che si ribella ad una autorità lontana dai cittadini e fortemente repressiva. Le cose, probabilmente, sono invece un po’ diverse, e un cronista obiettivo dovrebbe almeno ricostruire la storia degli ultimi anni cercando di spiegare perché in Ucraina esista un’opinione pubblica spaccata in due.

L’Ucraina diviene indipendente nel 1991, contestualmente allo scioglimento dell’Unione Sovietica, ed è guidata per i primi anni da esponenti del vecchio Partito Comunista che all’improvviso diventano indipendenti, patriottici o nazionalisti. Nei primi anni i presidenti Leonid Kravčuk (1991-‘94) e Leonid Kučma (1995-2005) riescono a mantenere una politica di buon vicinato con la Russia, concedono l’uso della base navale di Sebastopoli in Crimea alla marina russa e conciliano le esigenze dei due popoli che vivono nel paese: gli ucraini che parlano ucraino, stanziati  prevalentemente nella parte nord-occidentale del Paese, e gli ucraini che parlano russo, concentrati soprattutto nell’area sud-orientale.
È della fine del 2004 la prima crisi che porta centinaia di migliaia di persone ad affollare le piazze della capitale Kiev, la cosiddetta Rivoluzione Arancione. Il tutto nasce dal risultato delle elezioni presidenziali che vedono il pupillo del presidente uscente Kučma, Viktor Janukovyč, sostenuto dalla Russia, prendere al primo turno gli stessi voti dell’avversario Viktor Juščenko, presidente della Banca Nazionale, finanziato dagli Stati Uniti. Russi e statunitensi sostengono alla luce del sole i rispettivi candidati. Al ballottaggio tra i due Viktor la spunta il filorusso Janukovič, ma immediatamente a Kiev scoppia il finimondo. Imponenti manifestazioni guidate da Jushenko e dall’alleata Yulia Tymošenko, la ricchissima magnate del gas, denunciano brogli elettorali avvenuti nell’est del Paese, Usa e Unione Europea non riconoscono le elezioni e la tensione in Ucraina sfiora la guerra civile. La Corte Suprema ucraina decide di ripetere le elezioni e stavolta vince il filo-occidentale Juščenko che nomina primo ministro Yulia Tymošenko. La Russia risponde alzando il prezzo del gas, da cui l’Ucraina dipende, e chiudendo le forniture, mettendo in difficoltà il nuovo governo incapace di trovare una soluzione.
Nei cinque anni di mandato presidenziale, Juščenko non riesce ad imporre la svolta europeista che i suoi sostenitori volevano, ed è addirittura costretto a silurare la Tymošenko e sostituirla con il rivale Janukovič, per poi permettere un secondo mandato all’alleata, che per un periodo governa addirittura con i voti di Janukovič e senza quelli di Juščenko. Il caos è assoluto e i governi sono via via sostenuti da maggioranze diversissime. Nei due anni che la coppia Juščenko-Tymošenko tiene il timone della nazione sono stipulati alcuni atti importanti, come la richiesta di adesione all’Unione Europea e alla Nato e un discutibile accordo di rinnovo dei prezzi del gas russo che la primo ministro stipula senza un mandato del governo ucraino. Proprio per quest’ultima operazione la Timoshenko è oggi sotto processo e agli arresti in ospedale.
Le successive elezioni presidenziali, nel 2010, vedono i tre protagonisti della politica ucraina sfidarsi tra di loro: al ballottaggio il filorusso Janucovič batte la Timoshenko, e stavolta la comunità internazionale riconosce i risultati. Nel 2012 si tengono le elezioni politiche, nelle quali il Partito delle Regioni di Janukovič vince con il 30% superando il blocco di Yulia Tymošenko, nel frattempo agli arresti per lo scandalo del gas, che si ferma al 25%. Entrano in parlamento pure i Comunisti (13%), alleati di Janukovič, il partito del pugile Vitaliy Klyčko (14%) e l’estrema destra nazionalista Svoboda (10%). La coalizione governativa ha 254 voti su 450 deputati totali. La composizione geografica del voto è come prevedibile geopolarizzata: il Partito delle Regioni e i Comunisti sono radicati nel sud-est del Paese e l’opposizione nel nord-ovest. È significativo il risultato dell’estrema destra, fortemente nazionalista e xenofoba, che polarizza tutti i suoi voti nelle aree al confine con Polonia, Ungheria e Romania.
Nasce così il governo Azarov, che guarda verso la Russia e poco verso l’Unione Europea. Il primo ministro apre trattative con il potente vicino e con la nuova unione doganale alla quale hanno aderito Russia, Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan e alle cui porte si appresta a bussare anche l’Armenia. Per Europa e Usa questo è un colpo pesante, perché quella che si è data il nome di Comunità Economica Euroasiatica appare come una realtà sovrastatale pericolosamente alternativa all’Unione Europea. Questo passaggio compromette i piani di Usa ed UE, che negli ultimi anni erano riusciti a destabilizzare l’area attorno al Mar Nero, sostenendo le coalizioni antirusse presenti in Georgia e Moldavia.

Ad oggi Europa, Usa e Russia si divertono a soffiare sul fuoco. Un eventuale incremento dello scontro potrà portare solo al collasso della nazione, con un possibile smembramento in due aree, una pronta ad avvicinarsi all’Europa e l’altra fagocitata dalla Russia. Il litorale del Mar Nero, compresi Odessa e la Crimea, ed i bacini carboniferi di Doneck, Dnipropetrovsk e Charkov andranno verso la Russia, mentre la capitale Kiev e le regioni come la Galizia, la Volinia, la Podolia e la Rutenia saranno facilmente europeiste. D’altra parte anche il recente abbattimento della statua di Lenin a Kiev non è stata un’azione anticomunista con 22 anni di ritardo, ma la distruzione di un simbolo di vicinanza alla Russia. Non è un caso che nell’est dell’Ucraina si trovino statue di Lenin o della zarina Caterina, mentre ad ovest di solito il posto del padre della rivoluzione russa viene preso dal poeta Taras Ševčenko, colui che per primo usò la lingua ucraina nella letteratura.
Questa è la vera partita che si gioca in questo pezzo di Europa, uno spazio largo oltre mille chilometri da est ad ovest e oltre 500 da nord a sud, abitato da circa 55 milioni di persone. Un tempo era il granaio dell’Urss ed esportava grano nel resto della nazione, mentre oggi, grazie a scellerate politiche economiche, non produce neppure per il proprio fabbisogno ed è costretta ad importare il frumento! Le privatizzazioni degli anni ’90 hanno portato a concessioni agricole lunghe decenni a prezzi ridicoli, permettendo a molti italiani e francesi di produrre in Ucraina per rivendere in Europa. Alla faccia del chilometro zero.

Dopo questo approfondimento, è giunto il momento di recarsi a vedere con i nostri occhi costa sta succedendo a Kiev in queste ore…

A Volgograd con un sistema di alimentazione ecologico sperimentale

È in partenza da Sansepolcro un nuovo viaggio ecologico organizzato dai ragazzi della “Torino-Pechino”, associazione culturale nata in occasione dell’allestimento dell’impresa del 2008 che vide i tre giovani valtiberini Guerrini, Gnaldi e Dini raggiungere la Cina e rientrare in Italia a bordo di una Fiat Marea a gpl.
La destinazione del nuovo viaggio è Volgograd, nel sud della Russia, e in particolare il centro gestito dall’Associazione Giovanni XXIII, che si occupa di progetti di assistenza ai senzatetto. Volgograd è già stata raggiunta da viaggi dell’associazione, con l’equipaggio Guerrini-Calchetti, nell’inverno del 2011, su Gonow a gpl, e nell’estate del 2012, di nuovo sulla Marea “cinese”.
Stavolta il team in viaggio si arricchisce di una nuova figura:  il 33enne di Pieve Santo Stefano Giacomo Benedetti, di professione guida ambientale. Altra novità assoluta è il veicolo scelto: si tratta di un furgone Iveco Daily alimentato con il nuovo sistema sviluppato dalla ditta Landi Renzo che prevede l’impiego di una miscela di gasolio e metano. L’utilizzo di questo veicolo, messo a disposizione dalla ditta Piccini Impianti di Sansepolcro ed allestito in collaborazione anche con Galardini Gomme, consentirà di testare per la prima volta il nuovo sistema di alimentazione su un percorso così impegnativo come è quello per raggiungere la Russia in pieno inverno.
“Come nostro solito”, commenta Guido Guerrini, “tra gli obiettivi che ci prefiggiamo c’è quello di contribuire alla pubblicizzazione di modalità di propulsione che permettano di avere un ridotto impatto ambientale: in questo caso si tratta di un sistema che garantisce circa il 15% in meno di emissioni di CO2, il 60% in meno di emissioni di PM10, un’autonomia del 20% in più e, non ultimo, un risparmio economico di circa il 30%”.
Il viaggio di andata attraverserà Austria e Ungheria per poi addentrarsi nell’Ucraina e da lì accedere alla Russia meridionale, attraversare il fiume Don e raggiungere finalmente Volgograd. Il tutto con rifornimenti di metano agevolati dalla collaborazione con il portale EcoMotori.net, che mappa tutti i distributori “ecologici” d’Europa.
“La durata del viaggio varierà in base alle condizioni meteorologiche, ma orientativamente pensiamo di raggiungere la ex Stalingrado dopo 5 o 6 giorni di marcia”, spiega Giacomo Benedetti, “dopodiché Guido ed io ci tratterremo presso il centro Giovanni XXIII circa una settimana, mentre Emanuele rimarrà a collaborare con quella realtà per tre mesi”.
Proprio Calchetti, che ha già vissuto a Volgograd per diversi mesi nel corso degli ultimi due anni, spiega che “come due anni fa, prima della partenza siamo riusciti a raccogliere, grazie alla generosità di amici e sponsor come BMA e Io vivo in Toscana, molti vestiti pesanti da portare al centro, dove si provvederà a distribuirli ai senzatetto, che nel pieno dell’inverno russo si trovano ad affrontare condizioni di vita di particolare ed ovvio disagio”.
Il viaggio del trio valtiberino potrà essere seguito tramite aggiornamenti in diretta sul sito dell’associazione www.torinopechino.it e su www.ecomotori.net.

Giappone, Palestina e Russia protagonisti del Festival del Racconto di Viaggio

A Sansepolcro la quarta edizione della kermesse. L’ultima sera cena con menù russo-ucraino.

È in programma dal 19 al 21 dicembre a Sansepolcro la quarta edizione del Festival del Racconto di Viaggio, rassegna organizzata dal 2009 dall’Associazione Culturale Torino-Pechino.
Il festival ha in questi anni ospitato in Valtiberina molti viaggiatori, che hanno raccontato al pubblico le proprie storie fatte di avventure con i più disparati mezzi di locomozione: dall’auto al camper, alla vespa, alla moto, alla bicicletta, senza escludere i viaggi a piedi e quelli in barca a remi o in canoa. Tra i protagonisti delle passate edizioni Oliviero Beha, Roberto e Rita Chiodi, Alex Bellini, Claudio Sabelli Fioretti, Danilo Elia, Franco Marchi e tanti altri che hanno intrattenuto gli spettatori con i loro avvincenti resoconti.
Quest’anno gli appuntamenti saranno tre: si comincia il 19 dicembre alle 21 con “Com’è la vita in Giappone… lo vorrei tanto sapere”: a raccontare, aiutato da interessanti contributi video, sarà il giovane biturgense Mosè Mondonico, reduce da una originale esplorazione dell’Estremo Oriente.
La sera successiva, sempre alle 21, sarà la volta di Simona Lucarini con “Ritorno alle origini: gli angeli di Betlemme”, descrizione dell’esperienza vissuta in Palestina in compagnia del sacerdote di Sansepolcro don Mario Corgnoli. Infine, venerdì 21 alle 19,30, con “Volga Express” Emanuele Calchetti e Guido Guerrini parleranno della loro ultima esperienza nell’Est Europa. Il racconto conclusivo sarà seguito poi da una particolarissima cena con menù russo e ucraino, curato dai cuochi ucraini Nelya Fulko e Vitalij Ivanchuk e la collaborazione del georgiano, ma ormai biturgense d’adozione, Emanuel’ Shevardnadze.
Sia i racconti che la cena (per cui è necessaria la prenotazione) si svolgeranno all’osteria Il Giardino di Piero di Sansepolcro: “Quest’anno, dati i tempi di crisi – dice il presidente dell’Associazione Torino-Pechino Guido Guerrini – abbiamo scelto di fare un’edizione del festival fatta in casa, o per meglio dire al ristorante. Abbiamo utilizzato un budget estremamente limitato, senza in alcuna maniera avanzare richieste di contributi pubblici, che in questo momento storico è probabilmente più opportuno destinare ad altro. Nonostante questo – aggiunge Guerrini – credo che le tre serate di questa edizione saranno sicuramente interessanti”.
Intanto è già in cantiere l’edizione 2013 del festival, che cambierà formula e si svilupperà durante tutto l’anno con incontri a cadenza mensile.

Completata la nuova spedizione a Volgograd dell’associazione Torino-Pechino

Nei prossimi giorni brevi tappe in Calmucchia e sul mar Caspio.

Alle 18, ora di Mosca (le 16 in Italia) di mercoledì 20 giugno la vecchia Marea a gpl dell’associazione Torino-Pechino, che nel 2008 riuscì a raggiungere la capitale cinese, è approdata a Volgograd. I ragazzi toscani, dunque, sono tornati nella città della Russia meridionale che un anno e mezzo fa era stata la meta di un altro viaggio, affrontato in pieno inverno a bordo del fuoristrada Gonow GA200, anch’esso a gpl.
“Nonostante la meta fosse la stessa, il viaggio è stato competamente diverso”, dichiara Guido Guerrini: “al bianco delle distese di neve si è sostituito il giallo delle distese di grano, ai fiumi completamente gelati il blu delle acque del Don e del Volga, ai picchi di -30° dell’inverno le elevatissime temperature di questa stagione, che raggiungono già i +40°. L’unica cosa rimasta simile è la condizione delle strade russe, che anche senza neve e ghiaccio mostrano i devastanti segni dell’inverno”.
Dopo l’arrivo a Volgograd i ragazzi di Sansepolcro si sono incontrati con il referente locale dell’associazione Giovanni XXIII, che assiste emarginati e senzatetto. Spiega Emanuele Calchetti: “Con il passaggio a un capitalismo senza regole che ha fortemente indebolito lo stato sociale, è indispensabile l’attività delle realtà legate al volontariato, che si occupano dei tantissimi che negli ultimi venti anni hanno perso tutto”.
Tra gli altri obiettivi di questa nuova spedizione, per l’associazione toscana c’è anche quello di mappare i distributori di gpl e metano presenti nell’area attraversata, rendendo un significativo servizio per tutti coloro che intendono avventurarsi per queste strade senza voler inquinare troppo.
Nei prossimi giorni l’equipaggio della Torino-Pechino visiterà Elista, la capitale della Repubblica autonoma di Calmucchia, unica entità europea abitata in maggioranza da buddisti, e la città tatara di Astrachan, ubicata sul delta del fiume Volga.