24 luglio 2018, Chabarovsk-Ussurijsk (km. 674) – Tot. 14.385
Restituite le chiavi alla agenzia che ci ha affittato il piacevole appartamento in Via Carlo Marx, andiamo diretti ad imboccare l’ultima strada federale della parte russa del nostro viaggio, la A-370, che con i suoi circa 750 chilometri ci porterà all’Oceano Pacifico. Per la prima volta abbandoniamo la direzione est per virare decisamente a sud. E appena fuori Chabarovsk tocchiamo il punto stradale più orientale dell’intero viaggio. La nebbiolina che avvolge la città dove abbiamo dormito si dirada e le temperature sono già alte di primo mattino. Capiamo che andremo incontro ad una giornata decisamente calda, ma non immagiamo che ci saranno 34° per tutto il pomeriggio.
Nei primi cento chilometri di viaggio troviamo difficoltà nel fare colazione. Tutti i piccoli kafè dove sostiamo sono privi dei “pirozhkì” a cui ormai siamo abituati. Finiamo per mangiare delle paste confezionate di un piccolo supermercato oltre a delle ottime banane comprate il giorno precedente. Il paesaggio assume contorni sempre più mediterranei, in alcuni tratti tornano il grano e i girasoli che non vedevamo da quando eravamo in Europa. Scompaiono le betulle, e la vegetazione e la conformazione del territorio attorno a noi ci ricordano i paesaggi toscani anche grazie alle numerose “rotoballe” che notiamo nei campi lungo la strada. Attorno all’ora di pranzo ci fermiamo nei pressi della città di Dal’nerechensk, dove oltre a cibarci decidiamo che è arrivato il momento di lavare l’auto per togliere da esterno ed interno la polvere e lo sporco accumulato in quasi tre settimane di Siberia. Si occupa dell’operazione un efficiente team di wash-girl locali.
Il fiume Ussuri, che segna il confine con la Cina, scorre ai margini di questa cittadina e proviamo ad avvicinarci alle militarizzate sponde per provare a scorgere l’ingombrante vicino di casa. L’impresa si rileva difficile poiché tutte le stradine che scendono verso il fiume sono presidiate dall’esercito russo. A tal proposito è utile ricordare che a pochi chilometri da questa città nel marzo del 1969 scoppiò un conflitto tra Unione Sovietica e Cina per il possesso di una piccola isola, Damanskij in russo e Zhenbao in cinese, al centro del fiume. Tale scontro vide perire circa 150 soldati per parte, anche se i dati esistenti sono piuttosto contrastanti. Ad ogni modo questi numeri sembrano sproporzionati se si pensa al valore strategico della posta in palio; sarebbero stati molto più grandi se l’episodio si fosse esteso ad una vera e propria guerra, come si rischiò che accadesse.
Finalmente riusciamo a trovare una collinetta panoramica, sempre presidiata dall’esercito, ma aperta al passaggio dei civili poiché è presente un cimitero di guerra. Dalla collinetta è possibile, grazie ad una terrazza rialzata in cemento, osservare la Cina e con un buon binocolo anche i movimenti delle guardie di frontiera, oltre alle attività della vicina città di Hutouzhen. Il cimitero di guerra dove ci troviamo è il luogo di sepoltura di alcuni soldati sovietici morti durante la seconda guerra mondiale, nell’agosto del 1945. Anche le rovine attorno al cimitero ora assumono una chiara spiegazione. In questa altura avvenne uno scontro tra i giapponesi che occupavano la Manciuria cinese e le truppe sovietiche che su richiesta degli Stati Uniti aprirono nell’estate del 1945 un secondo fronte contro il Giappone. Incredibile pensare che tra le vittime potrebbero esserci sopravvissuti alle battaglie di Stalingrado o Berlino che settimane dopo la fine della guerra in Europa potrebbero essere finiti a morire nell’Estremo oriente.
Il viaggio riprende con l’obiettivo di avvicinarsi il più possibile a Vladivostok senza entrarvi per lasciare alla mattina successiva, con tutte le energie del riposo, la soddisfazione per il compimento dell’impresa. Il caldo e i panorami toscano-maremmani continuano a scorrere sotto i nostri occhi, intervallati da qualche centrale elettrica e dall’enorme cementificio, che merita di essere citato, di Spassk-Dal’nij. Qui beviamo un caffè in un curioso bar orgogliosamente dedicato alla storia del cementificio locale. Una curiosità che non viene subito colta guardando un atlante geografico è che siamo esattamente alla stessa latitudine di Sansepolcro, nostra terra di origine. Questo spiega il perché della vegetazione mediterranea e del caldo compatibile con la toscana alla fine di luglio. Un altro elemento di riflessione è che nonostante siamo a pochi chilometri dalla Cina, dalla Corea e poche miglia marine dal Giappone, nulla in questa parte di Russia ci ricorda di essere in Asia. Paradossalmente è come vivere in una lunghissima appendice d’Europa che si spinge fino al confine con queste tre storiche culture. Ci fermiamo a circa cento chilometri da Vladivostok, presso la città di Ussurijsk, che in Russia tutti conoscono per essere una sorta di capitale della tigre siberiana. Non è un caso che nella piazza principale del paese si possa trovare la statua del guardiacaccia con il cucciolo di tigre. Questa specie, una dei più grossi felini del pianeta, fino a poco tempo fa era in serio rischio di estinzione. Oggi si stima che gli esemplari dovrebbero essere tornati sopra al centinaio di unità. Come è facile immaginare il pericolo non è affatto rientrato, ma il lavoro delle autorità russe, cinesi e nordcoreane per favorire il ripopolamento sta dando i risultati sperati. L’hotel Nostalgy e il suo kafè del piano terra ospitano il nostro ultimo riposo prima dell’arrivo a Vladivostok e sull’oceano!