Giorno 58 – Ulan Bator, una città in grande trasformazione

12 agosto 2018, Ulan Bator (km 12) – Tot. 19.040

La statua di Sukhbaatar nel 2008 e, a destra, come appare oggi. Tutte le coppie di foto di questo articolo sono confronti con dieci anni fa.

La nostra domenica ad Ulan Bator comincia in stile italiano grazie ad un perfetto espresso bevuto in tarda mattinata nel piccolo caffè “Ti Amo”. La città è quasi deserta e questo concilia molto la passeggiata nella parte centrale della capitale mongola. La piazza dove si trova il parlamento, il Grande Hural, è dedicata a Sukhbaatar e al centro si trova una statua dell’eroe mongolo a cavallo. Ricordavamo la statua di colore rosso mentre oggi è nera. Sulla parte centrale del palazzo del parlamento, al posto del mausoleo che ospitava fino al 2005 le spoglie di Sukhbaatar, c’è oggi una statua di Gengis Khan seduto.

La cosa più impressionante è la presenza di enormi palazzi, anche grattacieli, sul lato meridionale della piazza. Guardando le fotografie del 2008 possiamo notare solo uno di questi in costruzione. L’espansione urbana della città è ben visibile soprattutto in periferia, dove si affollano centinaia di gher e nuove case di quella parte della popolazione che si sposta in cerca di fortuna nella capitale. Dieci anni fa la popolazione era attorno al milione mentre oggi si sono aggiunte altre 500.000 persone. Anche l’intera Mongolia sta vivendo un boom demografico visto che, analizzando sempre lo stesso periodo, si sono superati i tre milioni contro i due e mezzo del 2008. I palazzi del centro non sono destinati ai nuovi residenti, ma piuttosto ad uffici di compagnie private che si occupano di sfruttamento delle risorse minerarie del paese.

Lasciando la piazza finalmente ritroviamo qualcosa di simile al viaggio precedente: il telefonista pubblico. Trattasi di un simpatico personaggio che da sempre è accampato attorno all’ufficio postale centrale offrendo con un radiotelefono la possibilità di telefonare a prezzi modesti. A questo servizio abbinava anche la possibilità di pesarsi in una bilancia e la vendita di fiammiferi. Il tipo è sempre quello e dimostra la stessa simpatia che cogliemmo nelle foto scattate nel 2008. Siamo ben felici, per 10 centesimi di euro, di ripetere la nostra pesatura e comprare una scatola di cerini.

All’ora di pranzo riusciamo a metterci in contatto con Padre Ernesto Viscardi, altro interessante personaggio conosciuto nell’occasione precedente e ci diamo appuntamento per la cena di stasera.

Nel frattempo, terminato il pranzo consumato in una panetteria-pizzeria, saltiamo a bordo della nostra Hilux e senza rilevanti problemi di traffico raggiungiamo alla periferia sud della città il monumento-belvedere Zaisan. In questa collina che domina Ulan Bator, i sovietici realizzarono un punto panoramico dedicato all’amicizia tra Unione Sovietica e Mongolia. Una serie di mosaici ricordano l’aiuto dato dai russi per l’indipendenza dello stato mongolo dalla Cina e la costruzione comune del progresso popolare attraverso la via socialista. Altre scene ricordano l’ulteriore aiuto dell’Urss contro le mire espansionistiche del Giappone, la partecipazione di un contingente di mongoli alla battaglia finale per la conquista di Berlino fino al primo ed unico volo di un cosmonauta locale nello spazio in una missione Soyuz.

Quello che precedentemente era un belvedere sulla città e sugli spazi verdi circostanti, oggi si è trasformato in un balcone su un enorme centro commerciale e su una serie di nuovi palazzi che stavolta sono destinati alla parte di popolazione più benestante. Incredibilmente anche la scalinata che portava in cima al monumento oggi è in parte inglobata all’interno di un centro commerciale. La stessa nuova struttura divide il memoriale dai carri armati, un tempo parte del complesso e oggi rimasti alla base della collina. Anche un enorme Buddha che precedentemente viveva al centro di un parco oggi si trova imprigionato tra i palazzi.

Rientriamo al nostro alloggio da dove ripartiamo per un’ulteriore passeggiata nel centro cittadino, interrotta per circa venti minuti da un forte temporale.

Arriva l’ora dell’incontro con Padre Ernesto e insieme ci rechiamo a mangiare qualcosa in un pub del centro. Qui ascoltiamo ben volentieri i progressi che la missione da lui coordinata ha effettuato in questi dieci anni. Ci eravamo lasciati nel 2008 con circa quattrocento cattolici in un paese dove il cristianesimo non è mai esistito in precedenza. Oggi i cattolici sono triplicati e sono sorte sei parrocchie in quattro diverse città della Mongolia centrale. Non entriamo nei particolati dell’attività di Padre Ernesto poiché nella giornata di domani potremo visitare una delle missioni nella città di Arvajheer. La cosa che giudichiamo interessante è il fatto che la Chiesa in questa terra ha scelto una politica di evangelizzazione non aggressiva, prediligendo la creazione di scuole o centri professionali rispetto al proselitismo. L’umanità e semplicità con cui Padre Ernesto racconta il proprio impegno per cercare di migliorare la situazione nelle periferie di Ulan Bator o nei paesini sperduti è davvero ammirevole. Siamo ben lieti di ritrovare questo missionario con lo stesso entusiasmo con cui lo avevamo incontrato la prima volta nel 2008. Affrontiamo anche il tema della situazione sociale ed economica in Mongolia e parliamo anche delle strade che dovremo percorrere nei prossimi giorni per raggiungere, attraverso percorsi asfaltati e altri in terra battuta, il confine più occidentale tra la Russia e la Mongolia. La serata si conclude con una ulteriore passeggiata nell’isola pedonale di Seul Street, strada molto animata e ricca di gruppi o solisti impegnati in musica dal vivo.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Il boom urbanistico di Ulan Bator è enorme. La cementificazione ha raggiunto tutti i quartieri periferici e attorno alla piazza principale sono stati costruiti nuovi imponenti palazzi.

– La statua di Sukhbaatar al centro dell’omonima piazza ha cambiato colore. Quella di Lenin poco vicino non c’è più.

– I cattolici in dieci anni sono più che triplicati passando da circa 400 a circa 1400.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Andrea Gnaldi, Claudia Giorgio

Giorno 57 – Cinquanta sfumature di verde

11 agosto 2018, Sukhbaatar-Ulan Bator (331 km) – Tot. 19.028

I viaggiatori della Torino-Pechino, di nuovo insieme, si concedono qualche ora in più di riposo alzandosi dal letto più tardi del solito. Ad attenderli c’è la strana colazione dell’Hotel Selenge a base di tè e minestra con pezzi di lardo. Il tutto preparato dalla inquietante receptionist che lavorava con gli occhiali da sole anche in piena notte. La somiglianza con Morticia Adams in salsa mongola è notevole. L’Hotel non accetta carte di credito e neppure valuta straniera. Siamo costretti a lasciare Claudia e i bagagli in ostaggio e andare alla ricerca di tigrit mongoli. Il primo tentativo viene fatto alla stazione del treno da dove l’addetta alla vendita dei biglietti ci consiglia di fidarsi di un suo amico per effettuare il conveniente cambio. Il tipo ci propone 2000 tigrit per un euro quando il valore ufficiale è 2800. Rinunciamo all’affare e cerchiamo una banca, cosa che di sabato risulta non essere facile neanche in Mongolia. Alla fine risolviamo il tutto in un bancomat della piazza principale di Sukhbaatar che porta lo stesso nome della città e al cui centro c’è la statua di colui a cui sono dedicate sia la piazza che la città.

Saldato il conto partiamo per Ulan Bator, consapevoli che la giornata sarà volutamente lunga e dedicata anche a molti chilometri fuori dalla strada principale per vedere come si vive nelle gher, le tipiche tende mongole. Dopo pochi chilometri ci avviciniamo infatti ad un piccolo insediamento di pastori e timidamente cominciamo a interagire con gli abitanti di un gruppetto di gher. Nonostante la difficoltà di comunicazione verbale riusciamo ad entrare in sintonia grazie alla sempre valida gestualità e ad un reciproco scambio di doni: magliette, penne e cappellini dei nostri sponsor vengono ricambiati con del formaggio, latte ed un giro a cavallo. Il tutto si conclude con una foto di gruppo e tanti sorrisi. Riprendiamo la nostra strada arricchiti da una sensazione di gratitudine per questa piccola lezione di vita e generosità offertaci nella massima semplicità.

Dopo aver attraversato valli disseminate di yurte, cavalli e bestiame di vario genere, decidiamo di ripercorrere le stesse tappe del viaggio di dieci anni fa. Ci fermiamo quindi per il pranzo nella cittadina di Darkhan, che ci appare molto diversa da come la ricordavamo. Non riusciamo a ritrovare il locale dove avevamo mangiato la volta scorsa e optiamo per un piccolo ristorantino dove ci viene servito un abbondante piatto di plov che, seppur non molto fedele alla ricetta originale, risulta comunque gustoso.

Dopo la pausa ristoro il capo spedizione Guido cede la guida ad Andrea che con grande emozione e piacere percorre la manciata di chilometri che mancano per raggiungere Ulanbator. Quando mancano circa un centinaio di chilometri al fine-tappa un momento di grande emozione coinvolge l’equipaggio: dopo averlo cercato per tutto il giorno, ecco apparire all’improvviso il luogo esatto in cui nel 2008 fu scattata lo foto che poi divenne la copertina del libro “Aregolavanti”. Doverosa quindi la foto di rito dei “dieci anni dopo”.

Prima dell’arrivo in città colpisce la nostra attenzione un importante impianto di energia fotovoltaica che fa ben sperare per il futuro, considerando che in questa nazione l’energia viene ancora prodotta per la maggior parte dalla combustione del carbone. A favore dell’aspetto ecologico ci rincuora veder circolare molte auto ibride e contare lungo la strada decine di stazioni di gpl per autotrazione.

L’entrata nella capitale è al tramonto e in mezzo ad un traffico molto confuso e impegnativo. Prendiamo alloggio nella guest house che aveva già ospitato nei giorni scorsi Andrea e Claudia. A pochi metri dalla nostra residenza mongola sorgeva il ristorante Marco Polo dove ci è capitato di mangiare nel 2008. Come spesso accaduto in questo viaggio, scopriamo con amarezza che anche questa realtà non esiste più. Decidiamo di ripiegare in un ristorante uzbeko per mangiare shasliki di carne di montone, poi piccola passeggiata in centro città propedeutica alla destinazione finale della giornata: il letto.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– In Mongolia alcuni tratti stradali sono divenuti a pagamento. In ogni caso si paga meno di due euro per 370 chilometri. Anche il traffico è decisamente aumentato.

– I tre distributori di gpl del 2008 oggi sono diventati un rete presente in ogni città.

– Incredibile come almeno la metà delle auto in circolazione siano ibride e in particolare modo Toyoya Prius, dal primo all’ultimo modello prodotto.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Andrea Gnaldi, Claudia Giorgio

Giorno 56 – Riuniti al confine

10 agosto 2018

Team1, Arej-Sükhbaatar (km. 526) – Tot. 18.697

Le prime ore del mattino ci permettono di apprezzare meglio il luogo dove abbiamo dormito. Non solo lo squallido piazzale sterrato pieno di buche, ma anche un ridente lago con strutture ricreative. Questo spiega il motivo dei tanti bambini presenti in albergo a fare una esperienza tipo campi estivi. Approfondendo il tema scopriamo che il Lago di Arej è più popolare di quanto potessimo pensare.

Prima delle 8.00 siamo già in marcia con la speranza di raggiungere il confine con la Mongolia nel primo pomeriggio. La prima sorpresa della mattina è, con gli occhi ancora affaticati dal poco sonno, l’incontro con alcuni ciclisti della Red Bull Trans Siberia Extreme. Trattasi di una corsa da Mosca a Vladivostok nella quale gli atleti sono liberi di fermarsi quando vogliono e dove vogliono. I più competitivi riescono a completare il percorso di quasi 10.000 chilometri in circa tre settimane dormendo pochissime ore.

A metà mattinata è il momento di prendere una decisione che potrebbe influenzare la giornata. La strada più breve segnalata dai nostri telefonini, duecentocinquanta chilometri invece che cinquecento, è appena riportata nelle mappe stradali. Il rischio ci affascina e come al solito scegliamo di percorrere questa nuova tratta che ci permette di risparmiare carburante e ci regalerà certamente emozioni. Infatti la prima sorpresa è non incontrare edifici in muratura, ma solo in legno, per almeno cento chilometri. La seconda è vedere l’asfalto precario trasformarsi in pista di terra battuta nei boschi di betulle. La terza è cercare di evitare le profonde buche senza scontrarsi con cavalli, mucche, pecore e fauna selvatica. In tutto questo non ci accorgiamo del cambio di fuso orario al non segnalato confine tra Transbajkalia e Buriazia, dove l’orologio deve tornare indietro di un’ora.

La comparsa della cittadina di Bichura non è un miraggio. Qui troviamo asfalto, stazioni di benzina, un luogo per mangiare e una banca per cambiare denaro, e tutto questo ci permette di riprendere energie per affrontare gli ultimi chilometri prima della dogana. Circa cinquanta chilometri prima della cittadina di frontiera di Kjachta costeggiano il confine. Veniamo fermati dai militi che pattugliano la frontiera perché di fatto dobbiamo percorrere la strada che passa tra il filo spinato e le torri di guardia. Ci viene fatto un permesso che sarà poi riconsegnato alla fine della zona militare e riceviamo la raccomandazione di non avvicinarsi al reticolato che divide la Russia dalla Mongolia. Finito anche questo ulteriore tratto di strada ecco comparire Kjachta che, oltre ad ospitare una delle tre dogane internazionali dove gli stranieri possono transitare tra i due Paesi, fu protagonista di una lunga notte durante la Torino-Pechino 2008. L’albergo “Amicizia” di quel giorno di luglio è ancora attivo e al proprio posto.

Lunghissima la sosta presso la parte russa del confine dove la disorganizzazione regna sovrana. Sorprendentemente i doganieri decidono di dividere in due gruppi coloro che aspettano. I mongoli da un lato e i russi dall’altro. Essendo solo tre le auto russe e almeno venti quelle mongole, decido di unirmi a quelli somaticamente più simili a me. Questa è la svolta del pomeriggio, grazie alla quale riusciamo a guadagnare molte posizioni ed anticipare anche le procedure della parte mongola. Alla fine le ore di sosta saranno cinque comprensive di assicurazione per l’auto (un mese a circa 25 euro) e altre tasse ecologiche per complessivi cinque euro.

Esattamente come dieci anni fa, i primi minuti di Mongolia trasmettono una strana euforia. Sentiamo il bisogno di fare foto con le immense steppe verdi e con il cartello di inizio della nazione. Il tutto nella cornice del tramonto che ci ricorda che sarebbe bene raggiungere Andrea e Claudia al più preso. Appena venticinque chilometri per incontrare gli altri membri della spedizione alla stazione ferroviaria di Sükhbaatar e finalmente abbracciarsi in modo liberatorio viste le difficili giornate che hanno preceduto questo ricongiungimento.

Team 2, Ulanbator-Sükhbaatar

Il risveglio ad Ulanbator è accompagnato da una leggera pioggia che rende ancora più fresca l’aria mattutina. Dopo una buona colazione a base di pane tostato con uova, marmellata e crema spalmabile, Andrea e Claudia si accordano con la proprietaria della Guest House per lasciarle in custodia i bagagli. Infatti, una volta rientrati nella capitale mongola con il capospedizione Guido ed il fedele Bruno, soggiorneranno nuovamente lì avendo riservato una quadrupla ad un prezzo speciale.
Mini-zaino in spalla, i nostri si dirigono verso la stazione dove li attende il treno che in sole 10 ore coprirà i circa 300km che li separano da Suhbaatar.
Il viaggio trascorre piacevolmente con la possibilità questa volta, complici le ore di luce, di godere del panorama circostante: valli che si alternano a zone montuose, villaggi di case in mattoni e legno che cedono il posto alle tipiche yurte, mandrie di buoi e gruppi di cavalli selvaggi.
Con uno stentato inglese il team2 fa amicizia con i vicini di posto, tra cui un giovane padre che si divide tra il lavoro nella capitale e la famiglia che vive in un villaggio a 3 ore di treno.
Una volta arrivati a Sükhbaatar, in attesa di ricongiungersi con il team 1, trovano sistemazione per la notte in un originalissimo ed un po’ equivoco albergo degli anni 50, il Selenge hotel.

FINALE DI GIORNATA COMUNE

La cena a base di carne arrosto e verdure in un tipico ristorante mongolo è l’occasione per aggiornarsi sui rispettivi viaggi e per programmare le attività del fine settimana nella capitale mongola. La città che ci vede di nuovo assieme è intitolata a Damdin Sukh, detto Sükhbaatar, padre della Mongolia socialista e padre dell’indipendenza dalla Cina nel 1921. Dopo Gengis Khan è sicuramente il mongolo più apprezzato in questa nazionel.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La dogana di Kjachta è finalmente aperta 24 ore al giorno e sette giorni alla settimana, mentre dieci anni fa era aperta solo di giorno e chiusa la domenica.

– Con sopresa scopriamo che il costo dell’assicurazione è diminuito, forse anche per la svalutazione che il Tigrit, la moneta locale, ha avuto nello stesso periodo.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Andrea Gnaldi, Claudia Giorgio

Giorno 55 – Verde Mongolia

9 agosto 2018

Team1: Erofej Pavlovic-Arej (km. 975) – Tot. 18.171

La sveglia del telefono suona ancora nel fuso orario di Vladivostok, quindi un’ora prima. Ci accorgiamo della cosa quando abbiamo già portato le valigie in auto e quindi di fatto partiamo in anticipo rispetto al programma. Ieri sera avevamo deciso di regalarci un’oretta in più di sonno, ma nei fatti questo non è avvenuto. Lasciamo lo sterrato che collega Erofej Pavlovich con la “Avtodoroga P-297” e riprendiamo la marcia verso ovest. Il tratto che affrontiamo oggi è quello che alcuni siti di viaggio inglesi chiamano “Zilov Gap”. Come già raccontato in precedenza fino a quindici anni fa questa parte di strada non esisteva e l’Unione Sovietica prima e la Russia poi erano divise in due. Unica cerniera era la Ferrovia Transiberiana. Nel 1995, un gruppo di motociclisti americani che si faceva chiamare “Moto Enduro”, capitanato da Austin Vince, protagonista di numerose trasmissioni Tv anglosassoni dedicate ai viaggi estremi, fu protagonista  di una singolare avventura. Nel loro giro del mondo in moto decisero che sarebbero riusciti a superare lo Zilov Gap. All’epoca la parte non esistente si limitava ai circa 600 chilometri da Chernyshevsk a Skovorodino. I bikers erano convinti che usando alcune stradine di manutenzione della ferrovia e altri collegamenti nei campi tra i vari villaggi sarebbero potuti in qualche modo passare. Il ragionamento in parte era giusto, ma restavano i circa trenta guadi, di cui almeno due molto più profondi dell’altezza di un uomo, e tutte le zone di fitta vegetazione e altre eternamente acquitrinose e paludose. Il ritmo era di meno di tre chilometri al giorno. La leggenda narra che dopo circa 300 chilometri le moto fossero ormai inutilizzabili e che grazie ai lavoratori di una miniera furono rimesse in sesto. Altri cento chilometri, e i nostri eroi rinunciarono all’impresa caricando le moto sul treno. Peccato che in realtà mancassero solo un paio di valli e poi avrebbero potuto seguire il fiume che passa proprio da Erofej Pavlovic e da lì raggiungere facilmente la strada vera a Skovorodino. Va precisato che la P-297 percorre 2165 chilometri completamente nuovi, evitando di sovrapporsi ai tratti di strada precedentemente esistenti, anzi spesso allontanandosi molto dal precedente percorso.

Nel frattempo i due team della Torino-Pechino riescono a sentirsi telefonicamente e organizzare l’incontro al confine russo-mongolo che avverrà domani tardo pomeriggio. Il fatto che Andrea e Claudia arriveranno in treno a Sükhbaatar definisce l’ultimo dubbio stradale di Guido e Bruno, ovvero da quale confine entrare in Mongolia. La scelta di fatto cade su quello di Kjachta, già attraversato nel viaggio del 2008 e che permette di percorrere molti chilometri in Russia su strada migliore delle piste mongole. Queste ultime non mancheranno di essere protagoniste della parte di viaggio successiva.

In tutte le poche stazioni di rifornimento presenti ci sono file molto lunghe visto che molti automobilisti non possono aspettare quelle successive a cento o duecento chilometri di distanza. Questo fatto ci fa apprezzare ancora di più la presenza del diesel-metano che ci permette di sostare per rifornirci di gasolio ogni 1400-15000 chilometri invece dei consueti 700-800 che il nostro veicolo senza metano avrebbe come autonomia.

La nota di colore più interessante di oggi è il verde imperante in ogni valle che attraversiamo e che caratterizzerà i prossimi giorni in Mongolia. Del resto proprio il verde dei boschi, dei campi, oppure dei pascoli è il colore che domina nel paese mongolo. Durante il viaggio di andata la pioggia e la nebbia disturbarono notevolmente la possibilità di apprezzare il paesaggio, ma oggi il sole e un cielo magnificamente azzuro ci regalano paesaggi spettacolari. Bruno più volte chiede e ottiene il permesso di fare piccole passeggiate nei verdi prati che circondano la strada.

Tra i vari caffè Rosneft e il pranzo a Chernyshevsk, a metà pomeriggio gli oltre 2100 chilometri della P-297 sono finalmente terminati con l’ingresso a Cita e le relative foto commemorative. Un brutto episodio accade nella specie di tangenziale che bypassa la città. In una zona transennata per impedire ai pedoni di invadere la carreggiata riservata alle auto, una signora anziana viene centrata da un motociclista. Va peggio alla signora che termina la propria vita sull’asfalto della tangenziale di Cita. Si tratta del primo incidente mortale a cui assistiamo dopo averne osservati almeno altri quattro dove non c’erano morti e neppure feriti gravi. Il fatto ci turba e ci fa ricordare l’importanza della prudenza in ogni situazione.

Forse è proprio per prudenza che il viaggio di oggi si ferma ad Arej, circa 230 chilometri dopo Cita e meno di 100 dall’altra città, Chilok, che poteva essere l’obiettivo di giornata. I chilometri alla frontiera di domani sono circa cinquecento, percorribili senza problemi per consentire il passaggio del confine nel pomeriggio. L’alloggio nel piccolo albergo lungo la strada non è certo il migliore di quelli dove siamo capitati, idem per il kafé del piano terra, ma la notte incombe e il numero elevato di animali vaganti incontrati nell’ultimo chilometro, in particolare mucche e cavalli, fa propendere per evitare inutili rischi.

Team 2: arrivo a Ulanbator
Il risveglio di Andrea e Claudia all’alba è reso lieto dal panorama fiabesco del deserto del Gobi che scorre sotto le rotaie del treno: mandrie di mucche, cavalli allo stato brado e le yurte, tipiche tende dei nomadi mongoli.
Sono le 9:30 quando il treno entra nella stazione di Ulanbator, molto affollata di gente e mercanzie varie. Dopo un breve confronto telefonico con il capospedizione Guido il team2, considerata positiva l’esperienza dell’appena trascorsa trasferta di 14 ore, prontamente acquista due ulteriori biglietti per raggiungere l’indomani la città di Sükhbaatar, meta definita per il ricongiungimento con il team1.
La giornata ad Ulanbator è dedicata al riposo ed alla visita dei principali siti della città tra cui il tempio di Gandan dove è custodita una imponente statua di Budda alta ben 26,5 metri.
Per la sosta Andrea e Claudia hanno scelto Wonder Mongolia, una graziosa guesthouse nei pressi del centro cittadino.
Ulanbator si conferma una capitale, come dieci anni fa, proiettata al turismo ed agli investimenti esteri. Tanti sono infatti i turisti occidentali incontrati in centro città.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Per la prima volta nella storia di Erofej Pavlovic due turisti, Guido e Bruno, tornano appositamente per dormire e mangiare in questa non ridente cittadina.

Equipaggio del giorno:

Team 1: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Team 2: Andrea Gnaldi, Claudia Giorgio