il 21 gennaio 2011 fa partiva lo storico viaggio invernale verso la ex Stalingrado e la valle del Don sulle tracce dei soldati italiani dispersi in Russia. Un viaggio che ha cambiato la vita ai due protagonisti.
Sotto una storica nevicata che bloccò per alcune ore le principali strade del centro Italia, nella notte tra il 21 e 22 gennaio 2011 prendeva il via la Roma-Volgograd-Roma, un viaggio dedicato ai soldati italiani dispersi in Russia e svolto in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia.
Per i ragazzi dell’Associazione Culturale Torino-Pechino non fu certo il viaggio più lungo tra quelli vissuti fino a quel momento, ma era uno dei più complicati da organizzare ed effettuare.
Già guidare in inverno nelle basse temperature delle strade dell’Europa orientale non è una cosa semplice, ma a questo andavano aggiunte problematiche burocratiche per attraversare alcune complicate frontiere e portare un carico di aiuti umanitari destinati all’Associazione Giovanni XXIII di Volgograd.
L’idea del viaggio nacque alcuni mesi prima in occasione del Motor Show di Bologna durante una cena in un albergo in Via Stalingrado, l’arteria stradale a nord di Bologna dove si trova la famosa Fiera che ospita eventi importanti. Un importatore di fuoristrada cinesi, un installatore di impianti gpl e dei folli viaggiatori che volevano visitare e raccontare i luoghi dove si svolsero alcuni dei più importanti fatti della Seconda guerra mondiale furono gli ingredienti della ricetta del viaggio che in seguito portò anche alla pubblicazione di un fortunato libro che porta proprio il titolo di “Via Stalingrado”. L’equipaggio fu composto da Guido Guerrini ed Emanuele Calchetti con l’indispensabile aiuto da remoto di Andrea Gnaldi che si occupò della parte social e comunicativa.
Il viaggio si poneva alcuni obiettivi tecnici e altri umanitari. Tra i primi c’erano da dimostrare l’affidabilità di un fuoristrada “made in China” e la capacità dell’impianto a gpl di funzionare anche a temperature vicine ai -30°C. La jeep se la cavò eccellentemente nella neve ed ebbe qualche problema solo nel fango incontrato nel sud della Moldavia. In ogni caso le quattro ruote motrici permisero sempre di uscire da ogni situazione complessa. L’imprevisto più difficile da gestire fu la rottura del meccanismo che muove il vetro del finestrino che si congelò e piegò in modo irrecuperabile. Un artigiano russo ci mise una pezza inventandosi un sopporto di legno per impedirci di viaggiare con il vetro abbassato. Sotto l’aspetto umanitario il nostro carico di vestiti, cibo e altri doni riuscì ad arrivare quasi intatto sulle rive del Volga. Ogni dogana fu un calvario da superare con grande pazienza e qualche “regalo”.
Durante il viaggio di andata trovammo moltissima neve sia in Italia che in Slovenia, Ungheria e anche Romania. Quest’ultima, in particolare le città di Timisoara e Bucarest, divennero il nostro quartier generale avanzato grazie all’ospitalità delle amiche Alexandra e Viorica. Il gelo ci accompagnò anche in Moldavia e nella ribelle Transnistria, stato autoproclamato nella parte orientale della Moldavia, dove conoscemmo l’italiano Sergio, che saremmo tornati a trovare anche nel viaggio di ritorno. L’ingresso in Ucraina e in particolar modo la costa sul Mar Nero da Odessa alla Crimea ci costrinsero a marciare a ritmi lentissimi a causa della presenza continua di ghiaccio e camion intraversati. A tal proposito per la prima volta nella nostra vita vedemmo il mare completamente ghiacciato.
Curiosamente mente trovammo tempo e temperature migliori nei primi giorni trascorsi in Russia. Nella sosta nella ex Stalingrado fummo ospitati dalla comunità Giovanni XXIII e grazie al responsabile Marco Giovannetti e agli ospiti della casa famiglia di Volgograd potemmo esplorare la città proprio in occasione del 2 febbraio, anniversario della vittoria sovietica nella decisiva battaglia di Stalingrado. Vivere con Marco ci ha permesso anche di capire l’importanza del loro grande lavoro quotidiano a sostegno di persone che nella transizione tra sistema politico precedente ed economia di mercato hanno perso tutto.
Da Volgograd ripartimmo verso nord per visitare la valle del Don dove erano posizionati i soldati italiani durante la Seconda guerra mondiale. Il fiume congelato all’epoca reggeva il peso di un carro armato, oggi del nostro fuoristrada. Villaggi fatti di “izbe” che se non fosse per la presenza di qualche auto sembrerebbero uguali a quelli dove trovarono scampo i nostri connazionali più fortunati nella disastrosa ritirata del 1943. Il nostro viaggio di ritorno seguì proprio la rotta di quella ritirata. Come quella volta il maltempo fu padrone della situazione. Nulla di paragonabile con la marcia per la sopravvivenza degli Alpini: per noi solo difficoltà a capire dove passava la nostra strada, essendo tutto il paesaggio ricoperto da un manto bianco. La visita a Doneck fu l’occasione per conoscere una città che qualche anno dopo si sarebbe trovata ad essere epicentro di una guerra civile. Nell’ultima settimana di viaggio le temperature si alzarono trasformando le distese di ghiaccio e neve moldave in fango soprattutto nelle strade prive di asfalto. Ci concedemmo un nuovo passaggio da Timisoara e una giornata di vacanza a Belgrado prima di fare ritorno in Italia.
Dopo il viaggio seguì un’ulteriore fase fortunata della storia della Associazione Torino-Pechino con la programmazione di ulteriori viaggi invernali svolti negli anni successivi, che ci misero nuovamente alla prova nella guida su ghiaccio e neve. Sempre il viaggio del 2011 diede vita a sempre più stretti rapporti con la Russia portando i due protagonisti a trascorrerci parte della propria vita, imparare le lingua, approfondire la cultura e tutti gli aspetti che solo prolungati soggiorni possono fare apprezzare.
Infine, come già ricordato, dalla Roma-Volgograd nacque anche l’esperienza editoriale di “Via Stalingrado”, un diario di viaggio che oltre a snocciolare informazioni su quella avventura, dati chilometrici e sui consumi del nostro veicolo, tenta anche di raccontare aneddoti storici su una parte di mondo sul quale da sempre è carente l’informazione da parte dei media occidentali. A distanza di dieci anni un pensiero va a chi rese possibile quel viaggio e alle persone che non ci sono più, alcune delle quali furono co-protagoniste del nostro viaggio, e a quelle che hanno dovuto lasciare le proprie case a seguito del conflitto in Ucraina orientale.