Dieci anni dalla Roma-Volgograd nell’inverno russo

il 21 gennaio 2011 fa partiva lo storico viaggio invernale verso la ex Stalingrado e la valle del Don sulle tracce dei soldati italiani dispersi in Russia. Un viaggio che ha cambiato la vita ai due protagonisti.

Sotto una storica nevicata che bloccò per alcune ore le principali strade del centro Italia, nella notte tra il 21 e 22 gennaio 2011 prendeva il via la Roma-Volgograd-Roma, un viaggio dedicato ai soldati italiani dispersi in Russia e svolto in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia.

Per i ragazzi dell’Associazione Culturale Torino-Pechino non fu certo il viaggio più lungo tra quelli vissuti fino a quel momento, ma era uno dei più complicati da organizzare ed effettuare.

Già guidare in inverno nelle basse temperature delle strade dell’Europa orientale non è una cosa semplice, ma a questo andavano aggiunte problematiche burocratiche per attraversare alcune complicate frontiere e portare un carico di aiuti umanitari destinati all’Associazione Giovanni XXIII di Volgograd.

L’idea del viaggio nacque alcuni mesi prima in occasione del Motor Show di Bologna durante una cena in un albergo in Via Stalingrado, l’arteria stradale a nord di Bologna dove si trova la famosa Fiera che ospita eventi importanti. Un importatore di fuoristrada cinesi, un installatore di impianti gpl e dei folli viaggiatori che volevano visitare e raccontare i luoghi dove si svolsero alcuni dei più importanti fatti della Seconda guerra mondiale furono gli ingredienti della ricetta del viaggio che in seguito portò anche alla pubblicazione di un fortunato libro che porta proprio il titolo di “Via Stalingrado”. L’equipaggio fu composto da Guido Guerrini ed Emanuele Calchetti con l’indispensabile aiuto da remoto di Andrea Gnaldi che si occupò della parte social e comunicativa.

Il viaggio si poneva alcuni obiettivi tecnici e altri umanitari. Tra i primi c’erano da dimostrare l’affidabilità di un fuoristrada “made in China” e la capacità dell’impianto a gpl di funzionare anche a temperature vicine ai -30°C. La jeep se la cavò eccellentemente nella neve ed ebbe qualche problema solo nel fango incontrato nel sud della Moldavia. In ogni caso le quattro ruote motrici permisero sempre di uscire da ogni situazione complessa. L’imprevisto più difficile da gestire fu la rottura del meccanismo che muove il vetro del finestrino che si congelò e piegò in modo irrecuperabile. Un artigiano russo ci mise una pezza inventandosi un sopporto di legno per impedirci di viaggiare con il vetro abbassato. Sotto l’aspetto umanitario il nostro carico di vestiti, cibo e altri doni riuscì ad arrivare quasi intatto sulle rive del Volga. Ogni dogana fu un calvario da superare con grande pazienza e qualche “regalo”.

Durante il viaggio di andata trovammo moltissima neve sia in Italia che in Slovenia, Ungheria e anche Romania. Quest’ultima, in particolare le città di Timisoara e Bucarest, divennero il nostro quartier generale avanzato grazie all’ospitalità delle amiche Alexandra e Viorica. Il gelo ci accompagnò anche in Moldavia e nella ribelle Transnistria, stato autoproclamato nella parte orientale della Moldavia, dove conoscemmo l’italiano Sergio, che saremmo tornati a trovare anche nel viaggio di ritorno. L’ingresso in Ucraina e in particolar modo la costa sul Mar Nero da Odessa alla Crimea ci costrinsero a marciare a ritmi lentissimi a causa della presenza continua di ghiaccio e camion intraversati. A tal proposito per la prima volta nella nostra vita vedemmo il mare completamente ghiacciato.

Curiosamente mente trovammo tempo e temperature migliori nei primi giorni trascorsi in Russia. Nella sosta nella ex Stalingrado fummo ospitati dalla comunità Giovanni XXIII e grazie al responsabile Marco Giovannetti e agli ospiti della casa famiglia di Volgograd potemmo esplorare la città proprio in occasione del 2 febbraio, anniversario della vittoria sovietica nella decisiva battaglia di Stalingrado. Vivere con Marco ci ha permesso anche di capire l’importanza del loro grande lavoro quotidiano a sostegno di persone che nella transizione tra sistema politico precedente ed economia di mercato hanno perso tutto.

Da Volgograd ripartimmo verso nord per visitare la valle del Don dove erano posizionati i soldati italiani durante la Seconda guerra mondiale. Il fiume congelato all’epoca reggeva il peso di un carro armato, oggi del nostro fuoristrada. Villaggi fatti di “izbe” che se non fosse per la presenza di qualche auto sembrerebbero uguali a quelli dove trovarono scampo i nostri connazionali più fortunati nella disastrosa ritirata del 1943. Il nostro viaggio di ritorno seguì proprio la rotta di quella ritirata. Come quella volta il maltempo fu padrone della situazione. Nulla di paragonabile con la marcia per la sopravvivenza degli Alpini: per noi solo difficoltà a capire dove passava la nostra strada, essendo tutto il paesaggio ricoperto da un manto bianco. La visita a Doneck fu l’occasione per conoscere una città che qualche anno dopo si sarebbe trovata ad essere epicentro di una guerra civile. Nell’ultima settimana di viaggio le temperature si alzarono trasformando le distese di ghiaccio e neve moldave in fango soprattutto nelle strade prive di asfalto. Ci concedemmo un nuovo passaggio da Timisoara e una giornata di vacanza a Belgrado prima di fare ritorno in Italia.

Dopo il viaggio seguì un’ulteriore fase fortunata della storia della Associazione Torino-Pechino con la programmazione di ulteriori viaggi invernali svolti negli anni successivi, che ci misero nuovamente alla prova nella guida su ghiaccio e neve. Sempre il viaggio del 2011 diede vita a sempre più stretti rapporti con la Russia portando i due protagonisti a trascorrerci parte della propria vita, imparare le lingua, approfondire la cultura e tutti gli aspetti che solo prolungati soggiorni possono fare apprezzare.

Infine, come già ricordato, dalla Roma-Volgograd nacque anche l’esperienza editoriale di “Via Stalingrado”, un diario di viaggio che oltre a snocciolare informazioni su quella avventura, dati chilometrici e sui consumi del nostro veicolo, tenta anche di raccontare aneddoti storici su una parte di mondo sul quale da sempre è carente l’informazione da parte dei media occidentali. A distanza di dieci anni un pensiero va a chi rese possibile quel viaggio e alle persone che non ci sono più, alcune delle quali furono co-protagoniste del nostro viaggio, e a quelle che hanno dovuto lasciare le proprie case a seguito del conflitto in Ucraina orientale.

VIDEO: Da Sansepolcro a Volgograd, un’avventura in dual fuel

È online una breve clip che ripercorre il viaggio compiuto dai membri dell’Associazione Torino-Pechino nel dicembre 2013 da Sansepolcro a Volgograd a bordo di un Iveco Daily dual fuel diesel-metano. Nelle immagini la lunga traversata dell’Europa orientale e l’incontro con i volontari dell’Associazione Giovanni XXIII in Russia.

7.507 chilometri, 24 giorni, 13 confini, 3 fusi orari, 2 bombe, una rivoluzione, un capodanno

Perfettamente riuscito l’esperimento di attraversare l’Europa d’inverno con un impianto dual fuel alimentato con metano e gasolio installato sull’Iveco Daily della Piccini Impianti.

Partito (in tre) lo scorso 13 dicembre e rientrato (in due) il giorno prima dell’Epifania, l’equipaggio valtiberino composto da Guido Guerrini, Giacomo Benedetti ed Emanuele Calchetti può finalmente stilare il bilancio della propria avventura, fortemente caratterizzata da eventi sociopolitici e attentati terroristici.
“Diventare testimoni delle bombe di Volgograd e della rivoluzione di Kiev non era nel programma di questo viaggio”, afferma ad inizio conferenza stampa il pievano Giacomo Benedetti, “ma senza dubbio ciò ha caricato di ulteriori forti emozioni questa esperienza che dovrà essere ricordata per i due motivi principali della nostra avventura: gli aiuti alla Comunità Giovanni XIII della città russa e il test drive sul veicolo ecologico messo a disposizione dalla Piccini Impianti”.
Proprio per portare un carico di vestiti invernali raccolti in Valtiberina e per consegnare vettovaglie in occasione delle festività natalizie era nato il progetto di questo viaggio invernale dell’Associazione Torino-Pechino che da anni si occupa si sostenere le realtà sociali incontrate nel corso dei propri viaggi. La meta era Volgograd, dove da anni opera la Comunità Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi. “Grazie alla collaborazione con Piccini Impianti si è potuto allestire il furgone dove abbiamo caricato i materiali consegnati lo scorso 19 dicembre; allo stesso modo abbiamo potuto testare positivamente il risparmio energetico ed economico e il minor impatto ambientale del nuovo impianto dual fuel commercializzato da Landi Renzo e Piccini Impianti, dimostrando l’affidabilità anche a temperature difficili come nell’inverno russo”. Sono queste le parole di Guido Guerrini, che evidenzia la propria “soddisfazione per essere riusciti a rifornire di metano il nostro veicolo anche in luoghi remoti come l’interno dell’Ucraina e la steppa del Kuban in Russia”.
Guerrini e Benedetti, dopo aver trascorso un piacevole capodanno a Odessa, hanno fatto ritorno alla loro case, mentre Emanuele Calchetti si tratterrà in terra russa dove proseguirà “sul campo” la collaborazione con l’associazione che localmente si occupa di assistenza ai senza tetto. “Non ho mai pensato di lasciare la Volgograd nonostante il clima che si è creato all’indomani degli attentati: ogni problema, anche il peggiore, può essere affrontato prendendo maggiori precauzioni e cercando di evitare rischi inutili, come stanno facendo gli oltre un milione di abitanti di questa città”, aveva detto all’indomani dei giorni più difficili Emanuele Calchetti.
Soddisfazione sia in casa Piccini Impianti sia per l’Associazione Torino-Pechino, visto che tutti gli obiettivi prefissati di questo viaggio sono stati raggiunti. Gli aiuti sono arrivati a destinazione, il veicolo e il sistema di alimentazione dual fuel che miscela gasolio e metano ha raggiunto dati di consumo assolutamente soddisfacenti, mentre ancora una volta il “Generale Inverno” è stato sconfitto dai prudenti guidatori dell’Associazione Torino-Pechino, che stabiliscono anche il piccolo record di essersi riusciti a rifornire di metano nonostante nei paesi attraversati esistessero ben tre tipologie diverse di aggancio al rifornimento del più pulito tra i combustibili ecologici.
Un ringraziamento particolare è stato rivolto dall’equipaggio a tutti coloro che hanno messo a disposizione i capi di abbigliamento portati in dono, ed in particolare a Bma di Marcello Brizzi ed “Io vivo in Toscana” di Nicola Cestelli, oltre che a Piccini Impianti e Galardini Gomme per l’allestimento del veicolo.

 

Ritorno da Volgograd – Giorno 7

L’ultimo giorno di viaggio!

Prima degli ultimi mille chilometri che ci riporteranno a casa decidiamo di goderci una rilassante serata in quella grande capitale europea che è Belgrado. La città serba è uno dei posti che meglio conosciamo, e lì abbiamo molti amici. Solo nell’anno appena trascorso, i vari membri dell’associazione Torino-Pechino hanno avuto modo di passare giorni a Belgrado almeno tre volte tra gare del Campionato Mondiale ad Energie Alternative, censimento dei distributori a metano svolto per Ecomotori.net o esclusivamente per vacanze presso i nostri amici. La vitalità artistica, storica, culturale e in particolar modo musicale di questa città di circa due milioni di abitanti la rende centro di numerosi eventi che attirano visitatori. Fortunatamente i tempi delle problematiche con le altre repubbliche ex jugoslave sembrano essersi allontanati, facilitando il ritorno di Belgrado ad un ruolo centrale nello scacchiere balcanico ed internazionale.

Anche la Serbia è un paese ortodosso, di conseguenza il brulicare di persone in giro per il centro cittadino è dovuto anche agli ultimi acquisti di regali di Natale. Il clima è fortemente natalizio e non manca nei pressi di Piazza Repubblica un grande contenitore dove i più giovani mettono regali per i bambini del Kosovo. Dopo una buona birra serba guardando il passeggio cittadino, scendiamo al quartiere di Skadarlija, dove ceneremo in un ristorante tipico. Con questa definizione intendiamo piatti serbi, vini locali, l’immancabile rakjia, il tutto condito dall’inseparabile scia di musicisti che ti seguono eseguendo le tipiche musiche balcaniche. Sembra di essere in un film di Kusturica con le consuete musiche di Goran Bregovic. Proprio alle “Tri Sesire” (Tre Cappelli) ci incontriamo con i nostri amici di Belgrado: Jovanka, Milica e Lenko. Racconti del nostro viaggio e aggiornamenti sul natale in Serbia accompagnano i nostri numerosi brindisi. Nonostante il fatto che domani sarà ancora una lunga giornata, la tensione del viaggio dei giorni precedenti è ormai lontana. Il peggio è passato, conosciamo le strade, le frontiere, i distributori di metano lungo il tragitto di ritorno. La serata si conclude nel classico modo “belgradese”, ovvero in un locale letteralmente inventato dentro un palazzo del centro. Uno di quei luoghi raggiungibili solo se sei con persone del posto, visto che fino al varcare la soglia della porta sembra di essere in un tranquillo condominio! Anche qui ci sono altri amici tra cui una coppia che fino a poco tempo fa viveva in Italia, esattamente a Trento. In perfetto italiano ci raccontano che pure loro hanno lasciato l’Italia, diretti in Canada, e che le condizioni di vita nel Belpaese non sono più in grado di attrarre stranieri… Il fascino di questa città è, come già accennato, dato dalla incredibile vitalità dei suoi abitanti che sanno sempre come e dove fare festa. Concetto ancora più valido se si considera che siamo sotto le vacanze natalizie.

Da notare il curioso episodio che vede Giacomo fermato dalla locale polizia ed identificato poiché camminando ha accarezzato, in modo involontario, un veicolo blindato dei tutori dell’ordine. Ovviamente tutto si conclude senza conseguenze. Il taxi ci riporta in albergo per le poche ore di sonno che restano.

La colazione retrò della nostra vecchia “casa dei lavoratori jugoslavi per l’educazione” ci fa iniziare in modo poco leggero la giornata. Caricate le valige e lasciato il centro di Belgrado ci trasferiamo a Novi Beograd, presso la nuova abitazione di Milica, dove prima dei recenti lavori di restauro Guido aveva avuto il piacere di alloggiare, visto che i rapporti con la famiglia di Milica vedono legami tra Sansepolcro e Belgrado da almeno due generazioni. Spuntino per il pranzo e ultimi saluti ad altri amici e al gatto Tafi, quest’ultimo in procinto di trasferirsi a Novi Sad. La giornata è decisamente calda, e quando lasciamo Belgrado ci sono ben 14 gradi.

Dopo appena cento chilometri, alla dogana tra Serbia e Croazia abbiamo il primo problema del lungo viaggio. Gli zelanti doganieri serbi, per motivi a noi non comprensibili, forse infastiditi dalle centinaia di auto turche di ritorno verso la Germania e che intasano dogana e autostrada, ci spediscono a fare la fila doganale con i tir. Non capiamo la cosa, visto che in tutto i confini precedenti, fuori e dentro l’Unione Europea, abbiamo fatto tutte le operazione con le auto, viaggiando su un veicolo sotto le 3,5 tonnellate. Dopo una lunga e noiosa attesa passiamo il confine senza alcun problema, dato che il Daily è vuoto e non trasporta nulla di controllabile.

I trecento chilometri di autostrada croata scorrono velocemente mentre sfruttiamo le ultime ore di luce e di bel tempo. Tentiamo vagamente il rifornimento di metano nel centro di Zagabria, fallendo a causa dell’orario di chiusura pomeridiano di una delle due stazioni di metano della Croazia. Pochi minuti e si arriva al vicino confine sloveno, ancora presente nonostante la Croazia sia entrata nel luglio scorso nell’Unione Europea. I controlli sono fatti congiuntamente e si perde del tempo solo per la lunga fila “turca”.

Per percorrere l’autostrada slovena, come molti sanno, è necessario procurarsi la vignetta di transito per un periodo minimo di una settimana. A questo punto è giusto raccontare come in Austria, in Ungheria, in Romania, in Serbia e in Croazia, ovvero i paesi dove abbiamo pagato i pedaggi autostradali o le vignette stradali, il nostro veicolo era assimilato alle auto o pagava circa il 25% in più nei singoli pedaggi. In Slovenia un veicolo come il nostro per attraversare i meno di 200 chilometri di strada in circa due ore paga ben 40 euro, contro i 15 di una normale auto. Ne fossimo stati certi prima di arrivare al confine, e se non fosse stato decisamente tardi, probabilmente da Zagabria saremmo scesi a Rijeka e da lì a Trieste, boicottando le autostrade slovene! Grazie al collegamento Rijeka (Fiume)-Zagabria è possibile evitare l’autostrada in Slovenia se dall’Italia si va verso Zagabria e Belgrado, mentre se si deve andare a Budapest basta seguire la strada austriaca e dopo Graz piegare verso est. Da 30 a 60 minuti di viaggio in più, ma con la soddisfazione di sfuggire ad un latrocinio!

Dopo 23 giorni di viaggio incontriamo per la prima volta la pioggia, che ci fa una poco piacevole compagnia anche al rifornimento di metano di Lubiana. Gli ultimi chilometri che ci portano fino al confine italiano sono battuti da un vento fortissimo che rende pericolosa la guida in più occasioni. Si risolve tutto rallentando la velocità. Nonostante siano ormai le 22 non ci rassegniamo ad un panino. La voglia di sapori italici si concretizzerà come sempre nella Trattoria Pola ad Ontagnano di Gonars, dove senza problemi di orario ci servono un ottimo piatto di affettati e delle casarecce tagliatelle al ragù. Da ormai diversi anni questo simpatico paesino in provincia di Udine diventa la nostra stazione di “decompressione” dal ritorno di ogni viaggio. Sempre a Gonars di chiude il cerchio che abbiamo tracciato nella nostra cartina, visto che proprio al bivio della A23 nei pressi di Palmanova l’itinerario stradale di andata si era separato da quello di ritorno.

Le note di Radio Birikina accompagnano le strade venete fino al metano autostradale nei pressi dell’attraversamento del Po. Sarà questo l’ultimo rifornimento del viaggio. La stanchezza è tale che prende la guida del Daily anche Giacomo, nonostante la sua patente sia dispersa nella terra di Odessa. e da quel momento per evitare discussioni con le polizie europee non abbia più guidato.

Alle ore 4, dopo che la parte pievana della nostra squadra è sbarcata in località Selvella e che Guido e il Daily sono arrivati a Sansepolcro, si fermano le ruote dell’affidabile veicolo. Il contachilometri segna quota 7.507, e nei prossimi giorni saremmo in grado di comunicare anche i dati esatti sui consumi, che al momento appaiono più che confortanti.

Un ringraziamento va a tutti coloro che hanno reso possibile questa avventura, a chi ci ha sostenuto ogni giorno e in particolare modo durante i concitati momenti degli attentati a Volgograd. Per noi tutti è stato un Natale molto diverso dalle nostre abitudini, ma grazie alla vicinanza di molti lettori dei nostri diari ci è sembrato di avere attorno una grande famiglia ben distribuita tra Italia, Russia, Ucraina e tutti i paesi attraversati.

Ritorno da Volgograd – Giorno 6

Primavera a Belgrado

Il penultimo giorno di viaggio regala sole e alte temperature fin dal primo mattino. Al metano di Belgrado stupore per un veicolo alimentato anche a gasolio.

Per la prima volta ci svegliamo in un Paese che ha lo stesso fuso orario dell’Italia. Dalla finestra dell’unico albergo aperto, in questo periodo, a Kladovo vediamo le lunghe chiatte danubiane andare verso le chiuse della diga delle Porte di Ferro. Un salto di 35 metri e potranno proseguire fino ad oltre Belgrado. Dopo una colazione decisamente continentale lasciamo la città e cominciamo anche noi la lunga e lenta risalita del fiume. Non perdiamo mai d’occhio la strada gemella che passa sull’altra sponda, dove sventola un’altra bandiera e vige un altra ora. Chissà che cosa curiosa quando a capodanno dalle case serbe hanno visto i fuochi rumeni saltare con un’ora di anticipo e viceversa dai villaggi della Romania avranno ammirato il capodanno ritardatario dei serbi. Visti i tranquilli controlli tra le due dogane, potevamo vagliare la possibilità di fare due capodanni alternativi.

Risalire il fiume in queste strette gole è davvero impressionante, non sembra possibile che fino a quaranta anni fa, prima che il livello dell’acqua salisse, in questa parte di fiume ci fossero rapide, scogli che affioravano e una duemillenaria strada romana costruita ai tempi di Traiano. Proprio la “Tavola Traiana” è una antica iscrizione che ci piacerebbe ammirare, scampata all’innalzamento delle acque poiché spostata più in alto. Nessun cartello indica dove si trovi e come fare a raggiungerla, di conseguenza siamo costretti ad accontentarci del faccione del capo dei Traci Decebalo scolpito in una roccia della sponda rumena. Proprio Decebalo fu colui che fece dannare i romani durante la conquista della Tracia.

Tra stretti canyon, tornanti e galleria nella roccia la strada e il fiume proseguono il loro percorso. Notiamo la presenza di cartelli per eventuali turisti in bici. Buona l’idea, peccato che rischierebbero la vita ad ogni curva e galleria percorrendo la nostra stessa strada. Presenti lungo le strade dei piccoli paesi che si affacciano nel Danubio anche numerosi affittacamere. Molti di questi paesini si sono spostati più in alto a causa dell’allagamento del precedente nucleo abitato. Tra tutti i luoghi scomparsi dalla carta geografica merita una citazione l’Isola di Ada Kaleh, pezzo di terra fortificato che sorgeva nei pressi di Orsova. Per lunghi anni era stata una enclave ottomana circondata dall’impero austroungarico, un porto franco che la rendeva zona di grande interesse.

Nei pressi del paesino di Golubac lasciamo l’argine del Danubio per spostarci rapidamente su Belgrado attraverso l’autostrada. Piccolo spuntino a base di pljeskavica nel quartiere di Konjarnik all’ombra dei tre grandi palazzoni che costituiscono la moderna porta orientale della città. Resteremo a Belgrado solo una sera e per facilitare la ripartenza del giorno successivo provvediamo a rifornire di metano e di gasolio il nostro Iveco Daily. Di puro stupore la reazione dei dipendenti della stazione di rifornimento di Novi Beograd quando dopo il pieno di metano hanno capito che volevamo mettere anche il gasolio. Hanno cercato di convincerci che non era possibile andare a metano e gasolio! Alla fine gli abbiamo fatto capire che esiste anche questa nuova possibilità ed hanno voluto fare la foto con il nostro furgone.

Finiti i compiti ci dirigiamo presso il piccolo Hotel Dom, già di nostra conoscenza, dove ci apprestiamo a vivere l’ultima giornata di sosta del nostro lungo viaggio! L’ultimo racconto, da Belgrado alla Valtiberina verrà postato al termine della nostra avventura!!!

Ritorno da Volgograd – Giorno 1

Lasciamo Volgograd nel giorno più infame. Appena lasciata la città veniamo a sapere della strage della stazione.

Questa triste pagina di diario tiene solo marginalmente conto del grave fatto accaduto alla stazione ferroviaria della città dove abbiamo vissuto undici giorni. Nelle prossime ore pubblicheremo un resoconto solo su questo argomento cercando di esaminare il perché di questi episodi di violenza, che uccidendo innocenti non possono essere utili a nessuna causa.

Assieme alla nostra partenza arriva la parte più fastidiosa delle insidie del Generale Inverno, il ghiaccio. Da alcuni giorni le temperature erano scese, ma la spruzzatina di neve della giornata di ieri ha trasformato l’asfalto e i marciapiedi in superfici decisamente scivolose. Di primo mattino assistiamo a numerose scivolate di pedoni mentre attraversano al strada o aspettano il tram.
Tutto questo serve da monito ad una guida attenta, visto che le prime due ore di viaggio saranno accompagnate dall’oscurità, grazie all’abolizione dell’ora solare di cui abbiamo già parlato nel viaggio di andata.
L’ultimo atto in quel di Volgograd sono i rifornimenti di gasolio e metano a prezzi incredibilmente convenienti. Un litro di gasolio costa circa 0,65 euro, un metro cubo di metano appena 0,20! Per completezza di informazione: la benzina è attorno agli 0,67 euro e il gpl ben 0,33. Tra l’altro non mancano i distributori: nella zona di Volgograd ci sono tre stazioni di metano delle quali la più comoda è sulla tangenziale nei pressi del bivio per Rostov, la nostra direzione.

Comincia quello che sarà il nostro lungo viaggio di ritorno, che ci vedrà riattraversare tutta l’Ucraina, questa volta seguendo la costa del Mar Nero. Negli occhi e nelle orecchie ancora restano i saluti di Marco, Ruslan, Andrej, Jura, gli amici della casa che ci ha visto ospiti per undici giorni. L’ultimo saluto è quello di Dik, che ci regala l’immancabile leccata, massimo gesto di affetto nel mondo canino.

Emanuele scatta l’ultima foto del nostro Daily che parte dall’innevato parcheggio davanti a casa, e noi lo salutiamo dal finestrino nonostante la temperatura sconsigli il gesto. Ora, invece, non ci passa minimamente per la testa di muovere i finestrini: il rischio che il gelo blocchi il meccanismo di apertura è alto, come del resto sarebbe potuto succedere alle serrature del veicolo, sulle quali abbiamo spruzzato quotidianamente spray antigelo.

I primi 350 chilometri, lungo la M-21,  sono gli unici che coincidono on il viaggio di andata, con la differenza che stavolta li facciamo di giorno ammirando il panorama della steppa innevata che circonda la regione di Volgograd. È spettacolare riuscire a vedere il Don completamente gelato nei pressi del grande ponte di Kalač-na-Donu, che grazie al ghiaccio sulla strada percorriamo a meno di 30 km orari.
Proprio in questo momento, superato il Don, cominciano ad arrivare le notizie dell’attentato alla stazione di Volgograd. I primi sms arrivano dall’Italia, poi la radio russa annuncia il fatto, infine la conferma da Emanuele. L’argomento diventa il triste protagonista della nostra giornata e seguiamo in radio tutte le informazioni sulla cosa. Molti amici ci contattano per sapere se siamo coinvolti, ma almeno Giacomo e Guido sono ad oltre 150 chilometri dalla città. Emanuele invece era nei pressi della stazione, ma non è stato coinvolto se non nel vedere il terribile spettacolo poco dopo l’accaduto.

Alla fine della mattinata passiamo sulla M-4, la veloce strada che collega Mosca con il porto di Rostov-na-Donu, alla foce dell’omonimo fiume, dove effettuiamo il secondo rifornimento di metano. Lasciati Rostov e il suo fumoso traffico, che ci blocca per oltre due ore, facciamo passare sotto le nostre ruote gli ultimi chilometri di Russia presentandoci alla frontiera di Taganrog-Novoazovsk. Il confine è situato lungo la strada più diretta verso la Crimea ed Odessa, ma essendo decisamente lontani dall’estate non temiamo particolare file. Invece sbagliamo: dopo l’attentato alla stazione di Volgograd le misure di controllo a tutti i veicoli in uscita dalla Russia sono molto più attente e ci costringono ad oltre due ore tra fila e ispezioni minuziose al nostro veicolo.

Contrariamente al viaggio di andata, stavolta il confine ci permette di guadagnare due ore di fuso orario che in parte si compensano con il tempo perso in dogana. Siamo in Ucraina ed è buio pesto. La  prima considerazione è l’aumento della temperatura visto che tocchiamo i 4 gradi, che sono il record positivo del viaggio. La seconda è il peggioramento del manto stradale e la scomparsa della cartellonistica nei pressi della città di Melitopol. Il risultato è il perdersi dapprima nella città e successivamente nelle campagne circostanti. Alla fine recuperiamo la strada giusta dopo aver dissipato un’altra oretta. Arriviamo a Berdjans’k, città di sosta anche nella Roma-Volgograd 2011, dopo oltre 14 ore di viaggio e circa 750 chilometri di strada. Berdjans’k è una meta del turismo estivo e nonostante siamo fuori stagione ci permette di trovare un alloggio confortevole e un ristorante per un’ottima cenetta a base di vareniki e carne alla Stroganoff bagnati con vino georgiano della regione di Khaketi.
Esausti ci rifugiamo nelle stanze dell’Hotel Berdjans’k da dove domani tenteremo di raggiungere Odessa in un’unica giornata di viaggio.

Go West!

Partita questa mattina la spedizione di ritorno da Volgograd dell’Associazione Torino-Pechino

Dopo 11 giorni di permanenza a Volgograd, la ex Stalingrado, per due dei tre membri dell’Associazione Torino-Pechino, Giacomo Benedetti e Guido Guerrini, è arrivato il momento di ripartire. Emanuele Calchetti, invece, si trattterrà fino a meta marzo in terra russa continuando la collaborazione con la Comunità Giovanni XXIII che fino a questo momento ha ospitato tutto il team.
Per l’Iveco Daily della Piccini Impianti comincia un nuovo test di poco meno di 4.000 chilometri, finalizzato a capire se i buoni risultati, relativamente ai consumi, del viaggio di andata siano ripetibili. Un esito che ha lasciato positivamente stupiti anche tutti coloro che hanno scelto l’impianto Landi Renzo per questo viaggio inusuale e teso a dimostrare l’affidabilità del sistema che miscela gasolio e metano.
Il viaggio di ritorno si svolgerà lungo un itinerario più meridionale di quello dell’andata, seguendo la costa del Mar Nero, percorrendo una strada più lunga, ma allo stesso tempo meno problematica dal punto di vista delle temperature. Capodanno in movimento per Guerrini e Benedetti, con ogni probabilità nella città portuale di Odessa, in Ucraina. Nei primi giorni di gennaio, dopo aver attraversato Moldavia, Romania, Serbia, Croazia, Slovenia e mezza Italia, il Daily sarà di nuovo pronto per riprendere il normale servizio lavorativo, senza dubbio su tratte stradali meno impegnative.
“La scelta di un itinerario di ritorno differente non è solo legato alle condizioni climatiche meno proibitive, ma anche al proseguimento del censimento dei distributori di metano dell’ex Unione Sovietica” precisa Guido Guerrini, che aggiunge che “grazie al nostro lavoro è possibile mettere a disposizione informazioni per tutti coloro che con un’auto normale o un veicolo pesante vogliono raggiungere la Russia usando come combustibile principale il metano”.
Convinto della positività della propria esperienza pure il pievano Giacomo Benedetti, che sottolinea che “oltre quindici giorni tra Ucraina e Russia mi hanno aiutato a comprendere meglio questi paesi dei quali in Italia si parla davvero poco. È da sottolineare”, aggiunge, “come attraverso esperienze di vita quotidiana sia stato possibile entrare in contatto con molte persone del luogo, una ricchezza che solo viaggi come questo possono regalare”.
Per Emanuele Calchetti, che per la terza volta si tratterrà a lungo in terra russa, “è strano non essere a bordo dopo aver condiviso un viaggio d’andato ricco di momenti interessantissimi e divertenti, ma  altrettanto stimolante e arricchente sarà rimanere qui a Volgograd, che ormai è la mia seconda casa”.
Con la nuova partenza dell’equipaggio riprenderà la pubblicazione quotidiana del diario di bordo nei portali www.torinopechino.it e www.ecomotori.net.

La settimana di Natale a Volgograd

Breve testimonianza di un 25 dicembre non festivo in una delle parrocchie più grandi del mondo.

Il 25 e il 26 dicembre, qui in Russia, non sono giorni rossi sul calendario. Scismi che si perdono nei secoli (circa 1000 anni fa) e calendari che dai tempi di Papa Gregorio XIII (1582) non collimano hanno creato differenze nelle date in cui ortodossi e cattolici festeggiano il loro Natale. Secondo il calendario della Chiesa Russa Ortodossa il Natale si festeggia il 7 gennaio e di conseguenza tutte le ricorrenze si spostano in avanti di 14 giorni. Ma le differenze non finiscono qui, visto che anche altri aspetti tradizionali cambiano notevolmente. Babbo Natale vestito di rosso che porta i doni alla vigilia di Natale esiste sono nei supermercati ed è relegato ad un aspetto meramente consumistico. La tradizione vede Nonno Gelo (Ded Moroz) vestito di blu, o in alternativa di bianco, portare i doni a grandi e piccini il 31 dicembre. Nonno Gelo non vive né al Polo Nord e neppure a Rovaniemi: arriva da Velikij Ustjug, nel nord della Russia europea, e solitamente è aiutato da un nipotina di nome Sneguročka, che spesso assume le vesti di una bella ragazza.

Ma quanti sono e chi sono i cattolici in Russia? Si tratta di una minoranza nelle minoranze, perché non ci sono particolari motivi storici per giustificare la presenza della confessione religiosa cattolica romana in queste lande, quindi quasi tutti i frequentatori delle parrocchie sono membri di famiglie di origine polacca, tedesca, lituana, ucraina, armena, molti italiani ed europei che vivono qui e numerosi studenti universitari di origine africana o asiatica. Abbiamo partecipato alla messa di Natale nell’unica chiesa cattolica di Volgograd, dedicata a San Nicola: tra le circa 200 persone presenti, quasi tutta la comunità locale, si notava una forte multietnicità, a cominciare dal sacerdote di origine indonesiana. La cerimonia, ovviamente in lingua russa, è durata oltre un’ora e mezza ed è stata decisamente imponente, con una partecipazione forte di una piccola comunità che nell’indifferenza generale ha vissuto quello che è il momento più importante del proprio credo. Tra i partecipanti alla cerimonia religiosa, in prima fila, i pope ortodossi locali che con spirito ecumenico hanno condiviso questo momento con i cattolici.
Se si desidera frequentare la messa in un’altra parrocchia bisogna fare dai 300 ai 500 chilometri per raggiungere Elista, Astrachan’ o Saratov, quest’ultima sede del vescovato. Una diocesi immensa che comprende tutta la parte meridionale della Russia e comincia poco a sud di Mosca per arrivare in fondo al Caucaso. Alcune informazioni per comprendere meglio: la diocesi di Saratov, dedicata a San Clemente, si estende nei territori delle repubbliche autonome di Adihezia, Baschiria, Ciuvascia, Daghestan, Inguscezia, Cabardino-Balcaria, Calmucchia, Karacaj-Circassia, Mordovia, Ossezia settentrionale-Alania, Cecenia, Tatarstan e nelle provincie di Belgorod, Orenburg, Penza, Rostov, Samara, Saratov, Tambov, Uljanovsk, Volgograd, Voronez, Astrachan’, Krasnodar e Stavropol. Un territorio pari a 4,5 volte l’Italia suddiviso in 57 parrocchie. Su 47 milioni di abitanti, i cattolici sono circa 35.000: meno dell’uno per mille, mentre i religiosi che operano sono una settantina tra uomini e donne.

I nostri amici di Volgograd, ortodossi, con curiosità ci hanno chiesto come viene vissuto il Natale nella nostra tradizione, cosa si mangia, come ci si comporta, ed hanno provato ad essere partecipi assieme a noi della nostra festa.

Nella parte sociale del nostro viaggio, dedicata agli aiuti che portavamo con noi nel Daily, in questi giorni abbiamo concretizzato la parte relativa alla consegna dei materiali ai senzatetto di Volgograd e alle comunità di Astrachan’ ed Elista, le altre sedi della Giovanni XXIII in Russia. Le consegne sono avvenute nelle mattinate del 23 e del 26 dicembre presso la piccola mensa Caritas ubicata nella parte settentrionale della città. Alcuni dei capi di vestiario raccolti in Valtiberina, grazie alla collaborazione di molte persone a cui va il nostro ringraziamento e delle aziende Bma e “Io vivo in Toscana”, sono stati consegnati direttamente ai senzatetto. Altri sono fermi al deposito Caritas onde evitare fenomeni di accaparramento e conseguente rivendita da parte dei senzatetto più furbi. Quindi i materiali sono filtrati e consegnati durante l’intero inverno sotto la supervisione dei volontari.

La situazione in questi tre anni, da quando frequentiamo Volgograd, non è molto migliorata. Se la locomotiva Russia cresce dal punto di vista economico, i vagoni che rimangono indietro non hanno speranze di recupero. Molte delle persone di cui raccontavamo le problematiche sociali nel libro “Via Stalingrado” sono ancora al loro posto nelle strutture abbandonate e senza tetto nel parco dell’Ospedale numero 12 di Volgograd, non si registrano reinserimenti sociali, semmai decessi. Una vita per strada con problematiche peggiori di un “barbone” italiano, viste le temperature che costringono per sopravvivere ad accamparsi nei pressi delle tubature del gas che emanando calore attenuano i rigori dell’inverno. In una nazione dove lo stato sociale è assente, queste persone sopravvivono grazie alla Giovanni XXIII e alle altre realtà che collaborano con la Caritas locale.

Ritorno a Volgograd – Giorno 6

L’ultimo risveglio in Ucraina è di quelli difficili. Siccome perderemo due ore di fuso orario passando la frontiera, decidiamo di anticipare la partenza per non subire passivamente la perdita di due importanti ore di viaggio. È curioso passare da un’ora di anticipo rispetto all’Italia alle tre ore che avremo stasera. Fino a poco tempo fa le ore erano due, ma una delle recenti riforme di Putin ha previsto la soppressione dell’ora solare e l’accorpamento dei fusi orari che da 11 scendono a 6. Questo comporta che da una zona all’altra della Russia l’orario cambia di due ore alla volta. Per alcuni aspetti è una riforma interessante visto che semplifica la vita di coloro che vivono in vaste aree della Russia, ma come controindicazione ha il fatto che in ogni confine di fuso orario il salto orario è significativo.

Usciamo dalla laboriosa e trafficata Lugansk senza incontrare grossi problemi. Ovviamo alla carenza di cartellonistica orientandoci verso un’accecante alba che ci guida verso est. Invece a Krasnodon la cartellonistica c’è, ma delle due è ingannevole: per farci evitare il centro cittadino ci spinge verso stradine periferiche completamente gelate, dove sperimentiamo la prima leggera scivolata su ghiaccio del nostro lungo Daily. La gita attorno al paese prosegue con un paradossale tour attorno ai “terrakony” delle miniere di Krasnodon. Sono le uniche asperità che rendono meno noiosi i piatti panorami locali. Come ci è capitato più volte in passato osservare, il terrakon è davvero interessante: si tratta di montagne, solitamente a forma di cono vulcanico, composte della terra estratta dalle miniere che a seconda di stagione, riflessi del sole e vegetazione, riescono ad assumere colorazioni cangianti.

Recuperiamo la strada principale calcolando in almeno mezz’ora il tempo perso. Gli ultimi chilometri di Ucraina sono senza dubbio i peggiori, con strada gelata e ricca di buche. Arriva finalmente il momento della dogana che più temiamo, quella di Izvarine-Donec’k, che ben conosciamo per esserci passati altre volte. Le operazioni sul lato ucraino si ultimano in appena venti minuti. Passiamo alla Russia, dove solitamente la burocrazia regna sovrana, e anche quando tutto fila liscio le attese non sono brevi. Dopo la compilazione delle carte di immigrazione e l’ammissione in dogana si passa al controllo passaporto, dove la bionda e carinissima funzionaria, della quale segnaliamo un convincente smalto blu, alterna sorrisi a perplessità sulle differenze tra il visto di Emanuele (scopi umanitari) e quello di Guido e Giacomo (turistico). Nel frattempo il conducente designato, in questo caso Guido, affronta le problematiche relative al furgone cominciando dall’ispezione del carico. Vestiti, cibi, vini, il tutto viene da noi spacciato per regali di Natale e Capodanno onde evitare domande sui motivi umanitari del viaggio e sulla destinazione finale degli aiuti. Dubbi nascono anche dal fatto che il veicolo dell’azienda Piccini viene portato in Russia da soggetti che apparentemente fanno turismo. Per fortuna i dubbi non si trasformano in ennesime problematiche. L’ultima perla viene da un baffuto doganiere che ci chiede degli euro in moneta per la sua collezione numismatica. In un primo momento pensiamo al ritorno di moda della corruzione, invece il nostro amico seleziona con cura le monetine che gli mancano lasciandoci tutte le altre.

Eccoci finalmente in Russia dopo altre due ore (senza contare le due di fuso orario), ma ancora senza aver completato le formalità, ovvero la copertura assicurativa. L’ufficio al di fuori della frontiera è gestito da tre ragazze all’interno di un prefabbricato nel quale veniamo ospitati. Sediamo in un letto e assistiamo alla compilazione dei moduli che ci riguardano. Cinquanta euro completano il percorso. Le tre assicuratrici riescono a rifilare al conducente designato anche un’ulteriore assicurazione medica probabilmente inutile.

Conquistati dei rubli nella banca più vicina ed effettuata una lunga sosta ad un passaggio a livello dove transita un treno merci con ben quattro locomotori, siamo lungo la M-21, la lunga strada che ci condurrà a Volgograd. Prima di affrontare gli ultimi 300 chilometri ci concediamo un pranzetto a base di plov e pel’meni.

La M-21 è molto buona e di facile percorrenza nei mesi caldi, ma d’inverno è un nastro d’asfalto nel bel mezzo della steppa dove è facile che il vento porti la neve al centro della strada. Alterniamo momenti di veloce percorrenza ad altri dove la cautela deve essere massima soprattutto perché, volendo arrivare al traguardo finale, viaggiamo almeno due ore con il buio e quindi con il ghiaccio.
Emozionante, nonostante l’oscurità, è il consueto passaggio da Kalač-na-Donu con il ponte sul fiume Don e tutti i ricordi che si porta dietro soprattutto per noi italiani.

A meno di cento chilometri da Volgograd ci prendiamo un grande spavento quando ci troviamo al centro della strada un insolito cumulo di neve. In realtà si tratta della linea di separazione tra due corsie, una di marcia ed una di svolta, ma dove gli spazzaneve hanno lasciato i residui del loro lavoro. Ecco quindi che, impossibilitati a cambiare direzione a causa di altre auto, finiamo dritti nel cumulo bianco. L’unico correttivo che riusciamo ad applicare è rallentare la corsa del Daily poi definitivamente fermato, in modo soffice, dalla neve. Apparentemente le ruote non fanno presa nel manto nevoso e fatichiamo non poco ad uscirne combinando molte retromarce a piccoli avanzamenti. Riprendiamo il cammino e forti dell’insolita esperienza raddoppiamo la prudenza.

Alle 21,15 minuti dell’ora di Mosca (le 18,15 in Italia) siamo all’ingresso di Volgograd. Nonostante l’oscurità ci concediamo lo sfizio della foto con la storica insegna che porta i tre nomi di questo luogo: Caricin (Tsaritsin), Stalingrado e infine Volgograd, come la città si chiama dal 1961. Torneremo nei prossimi giorni a glorificare il nostro veicolo con delle foto diurne.

Se le strade cittadine principali sono state ripulite dalle grandi nevicate dei giorni scorsi, lo stesso non si può dire per le stradine del quartiere tzigano dove è ubicata la sede della Comunità Giovanni XXIII. Galleggiando tra la neve, e faticando per l’ultima volta in questo lungo giorno, raggiungiamo la destinazione, e troviamo ad aspettarci Marco, Ruslan, Jura, il tedesco Jonas e il fido cane Dik. Finalmente svuotiamo il Daily e saturiamo dispensa e magazzino del luogo dove saremo ospitati. Nei prossimi giorni, quelli più prossimi al Natale, i materiali saranno distribuiti ai senzatetto che la comunità segue.

La giornata conclusiva dell’ultimo giorno del viaggio di andata si chiude con un cenone a base di pel’meni e vino italiano, accompagnato dai racconti di Marco che ci aggiorna sulle novità che caratterizzano la vita della città.

Ritorno a Volgograd – Giorni 1&2

Attraversamento dei Carpazi in Ucraina

Attraversamento dei Carpazi in Ucraina

Venerdì 13 è una data che si ricorda bene: per molti è un giorno portatore di malasorte, per altri una combinazione fortunata. Per noi dell’associazione Torino-Pechino è la giornata dell’ennesima partenza per un viaggio all’insegna di ecologia, solidarietà e un pizzico di avventura. Già l’ampia partecipazione alla conferenza stampa organizzata presso la sede della Piccini Impianti è un ottimo risultato, ed oltre alle testate giornalistiche di Sansepolcro e della parte toscana ed umbra della vallata sono presenti anche gli amici Monica e Nicola di Ecomotori, arrivati da Milano proprio per noi.

Dopo i pieni di metano e gasolio presso la stazione di rifornimento “Piccini”, alle ore 12 ha inizio il lungo cammino che porterà l’Iveco Daily fino alla lontana Volgograd. La prima sosta è già a Forlì, per caricare i regali di Natale che i responsabili della Comunità Giovanni XXIII e i familiari del gestore del centro di Volgograd Marco Giovannetti hanno preparato per riempire ancora di più il nostro furgone della solidarietà.
All’interno del Daily non ci sono però solo regali, ma pure capi di abbigliamento pesanti per i senzatetto, messi a disposizione dalla BMA di Marcello Brizzi e da “Io vivo in Toscana” di Nicola Cestelli. A tutto questo si aggiungono vini e vettovaglie sempre per le festività della succursale di Volgograd dell’associazione di volontariato.

Nicola e Monica ci scortano fino a Bologna, e dopo i saluti di rito puntiamo dritti verso il nord attraversando la pianura Padana. Primo riferimento per i nostri consumi è il distributore di metano di Porto Marghera. Confrontando telematicamente i nostri dati con quelli di Andrea Mercati, detto Toro, l’uomo che ci ha preso in custodia per conto della Piccini Impianti, già possiamo notare come il nostro stile di guida sobrio e attento al risparmio di energia abbia fatto registrare una sostanziale parità tra il consumo di gasolio e metano.

Sotto le nostre ruote scorrono gli ultimi chilometri d’Italia alternando la nebbia del Veneto e del basso Friuli al cielo stellato della Carnia e del Tarvisiano. Il secondo rifornimento è in terra austriaca, nella capitale della Carinzia Klagenfurt. Si tratta del primo test per il nostro adattatore che rende l’attacco del sistema italiano compatibile con quello europeo. In Austria troviamo la benzina a circa 1,50 euro, il gasolio a 1,45, il metano a 1,06 a metro cubo e il gpl a 0,9 al litro
Nei pressi di Graz tocchiamo il chilometro numero 730 e subito dopo, in mezzo ad una terribile nebbia che ci delizierà per l’intera notte, siamo in Ungheria. La cattiva visibilità ci dà tregua solo dentro Budapest, che attraversiamo alle 4 del mattino: qui ci riforniamo per la terza volta di metano e gasolio presso il distributore, a dire il vero non logisticamente comodissimo, situato al di là del ponte sul Danubio, che abbiamo attraversato in pieno centro cittadino, a quell’ora deserto. I prezzi ungheresi sono pressoché identici a quelli austriaci, e in entrambi i Paesi rifornirsi fuori dall’autostrada significa spendere anche 20 centesimi in meno al litro su benzina e gasolio.

All’orizzonte appaiono le luci dell’alba e la notte di guida, oltre alla fastidiosa nebbia, si avvia alla conclusione. Facciamo colazione nei pressi del confine tra Ungheria e Ucraina, per poi apprestarci ad intraprendere le operazioni doganali con un pizzico di ansia, vista la grande mole di cose che popolano il retro del Daily. Pochi minuti sono sufficienti per soddisfare la curiosità della polizia ungherese, non troppo interessata a ciò che portiamo fuori dall’Unione Europea. Eccoci oltre il ponte sul fiume Tisa, storico confine un tempo tra magiari e sovietici, oggi tra magiari e ucraini. Siamo nelle grinfie della polizia della giovane repubblica: polizia che in passato ci ha più di una volta creato problemi, arrivando pure ad estorcerci piccole somme. Stavolta abbiamo a che fare con personale giovane e capace di parlare addirittura italiano! Aprono scatoloni per verificare il contenuto, ma la rassicurazione che tutto quello che vedono andrà in Russia e non in Ucraina serve a facilitare le cose. I doganieri sono molto colpiti e forse affascinati dal nostro cinghiale Bruno e dalla mascotte aggiunta “Čeburaška”, personaggio molto popolare nell’ex Urss e che abbiamo sia   in versione pupazzo che come adesivo sul furgone.

Passiamo il confine in appena un’ora, a cui va aggiunta quella persa a causa del fuso orario.
Dopo lo scalo ferroviario di Čop, e dopo aver constatato il cambio dell’alfabeto nella cartellonistica stradale, con il cirillico che sostituisce o affianca il carattere latino, si entra a Užhorod, cittadina di medie dimensioni e posto di frontiera con la vicina Slovacchia. Raggiungiamo uno dei due distributori di metano nella “tangenziale” e in meno di 24 ore ci apprestiamo a fare rifornimento con il terzo sistema di aggancio al veicolo differente. Qui si usa quello “sovietico”, che chiamiamo in questo modo perché è comune anche alle altre repubbliche dell’ex Urss. Non esiste in commercio un adattatore che renda compatibile questo sistema e quello italiano e/o quello europeo, ma è grazie ad un amico di Cesena, che spesso si reca in Ucraina, che siamo in possesso di un adattatore artigianale che permette la compatibilità con il nostro rifornimento. Tanto per generare invidia a chi ci segue: in Ucraina la benzina costa circa un euro, il diesel 85 centesimi, il gpl 55 centesimi e il metano 60 centesimi (però a metro cubo e non al kg!).

Va sottolineato che in Ucraina è assolutamente normale vedere auto, bus, mezzi militari, camion alimentati a metano o gpl. La cultura del combustibile gassoso è radicata negli anni ed esiste una rete molto sviluppata che in Occidente è praticamente sconosciuta.

Abbeverato in forma estremamente economica il nostro veicolo ci avviamo verso l’ultima difficile prova, il superamento dei Carpazi. Non sono le altitudini a preoccupare, ma piuttosto la pesante nevicata degli scorsi giorni. La strada è in buone condizioni e la neve è accumulata sui lati della carreggiata. La scelta d affrontare questa prova nelle ore più “calde” della giornata ci permette di evitare che la strada bagnata si trasformi in strada gelata. Vedere questa regione montuosa colorata di bianco in questa giornata soleggiata ci consente di ammirare dei panorami montani davvero gradevoli. Ed è questo uno dei motivi che ci spinge a fermarci per il pranzo, dopo appena 24 ore consecutive di viaggio: menù a base di piatti della tradizione locale con birre russe ed ucraine, anche analcoliche per chi deve ancora guidare.

Il cammino prosegue e quando arriviamo nei pressi dello scalcinato anello stradale che prova a migliorare la circolazione attorno a Leopoli siamo sorpresi dal buio. Ancora 80 km di fatica per raggiungere la cittadina di Brody, dove decidiamo di pernottare e finalmente riposare. Ormai siamo ad appena 450 chilometri da Kiev, obiettivo della giornata di domani.